Mario Monti ed il governo “transnazionale”, dei poteri “possibili”, all’opera… (od all’operetta?)

Noi di “Critica Liberale”, ancora prima che la crisi del berlusconismo giungesse al punto terminale, abbiamo voluto dire la nostra opinione, che purtroppo è quasi sempre controcorrente o, per dirla alla moda, si trova in contraddizione col pensiero mainstream.

Agghiacciati dai disastri berlusconiani, individuiamo la soluzione non nell’antipolitica, né nella ripetizione in forme nuove dei pilastri veri del berlusconismo: populismo, demagogia e personalizzazione della politica, che intrappolano anche gli altri partiti dell’”opposizione”. Il nostro fascicolo e le iniziative parallele sul “Partito-che-non-c’è” intendono invece sollecitare l’attenzione delle menti riflessive su progetti fortemente riformatori e liberali per le questioni centrali del paese, irrisolte da sempre, e su proposte di modifica sostanziale delle strutture del “fare politica”, ovvero di quel che rimane da noi della democrazia. Vorremmo che l’Italia scavalcasse le Alpi. Da qui l’elogio della politica, che per noi è sinonimo appunto di democrazia, ma di quella vera.

Nel frattempo il paese è scivolato precipitosamente nel baratro. Si è creata una situazione di fatto che non lasciava alternative: o il fallimento del paese o soluzioni straordinarie.

Si è arrivati così al Governo Monti, salutato da tutti (noi compresi) come l’unico rimedio. C’era in effetti poco da discutere. Le elezioni anticipate non si potevano neppure prendere in considerazione perché, se si fossero aggiunti tre-quattro mesi di campagna elettorale (peraltro con leader improvvisati in entrambi gli schieramenti), nel giorno delle elezioni gli elettori si sarebbero trovati senza l’oggetto del contendere, cioè col fallimento dell’Italia.

Quindi Governo Monti. Necessariamente. Abbiamo aspettato la lista dei ministri per esprimere il nostro parere, nel frattempo ci siamo divertiti a leggere le preoccupazioni di coloro che tremavano di fronte ai pericoli della tecnocrazia. Ora non osiamo neppure fare un confronto tra i ministri uscenti e i nuovi, perché sarebbe oltremodo offensivo. Diciamo solo che sostenere che Gelmini fosse una “politica” e Profumo un tecnico significa bestemmiare. Ci pare paradossale giudicare “tecnici” i ministri nuovi solo perché sprovvisti dell’ignoranza sesquipedale dei loro predecessori, o perché privi nel loro passato dell’esperienza politica “politicante”. Invece erano “politici” i vecchi ministri berlusconiani con l’unico apprendistato nei cabaret televisivi o nelle camere da letto o nelle vecchie sezioni di squadristi fascisti”? Gasparri che firma, probabilmente senza neppure averla letta, l’indecentissima legge ad aziendam che porta il suo nome, è un politico?

Forse sì, ma solo nell’accezione della politica che è nella mente di Berlusconi. Perlopiù erano ministri-barzelletta, e tra le barzellette sconce meno riuscite del loro Capo-Padrone. Erano immondizia e basta.

Ora abbiamo di fronte persone “normali”, esperte. Se saranno anche capaci, si potrà giudicare solo nel futuro. Ma il Gabinetto di cui fanno parte non è “tecnico”, bensì squisitamente “politico”.

E va giudicato come tale. Si è abituati a far coincidere la qualifica di “politico” con quella di “partitico”. È una perversione di significato che non nasce ora, ma risale alla degenerazione partitocratica della Prima repubblica. Francamente era difficile rifiutare il titolo di “politico” a un Luigi Einaudi solo perché tecnico sopraffino. Il tempo dei “nani e delle ballerine”, per dirla con Formica, era lontano. Poi ha prevalso solo quello. È inutile che ci prendiamo in giro discutendo di cose fuorvianti.

Facciamo qualche passo indietro. Noi abbiamo sostenuto negli anni scorsi che la via principe per uscire dal berlusconismo fosse una grande alleanza tipo Comitato di Liberazione Nazionale, in cui tutte le forze di destra e di sinistra si univano per espettorare la malattia che avrebbe ucciso il paese. In nome della democrazia, della politica e della decenza. Nessuno ha voluto mai esplorare davvero questa via e ne pagheremo il prezzo carissimo in futuro.

Forse lo stiamo pagando già adesso. La responsabilità degli inciucisti su questo punto è addirittura storica. La demonizzazione degli antiberlusconiani e la legittimazione del nemico del paese hanno reso impraticabile una soluzione che avrebbe avuto il pregio della chiarezza e del riconoscimento “alto” sia della Destra sia della Sinistra. E hanno portato tutto lo schieramento progressista all’irrilevanza.

Probabilmente Bersani ancora non si è accorto della sua liquidazione. Se ne accorgerà presto, e al difensore di Fazio ben gli sta. Il berlusconismo ha dovuto fare tutto da sé: si è liquefatto pur di fronte all’impotenza dei suoi oppositori. È diventato avversario di se stesso, lo strappo di Fini è stato determinante. Il resto è venuto dal fatto che in un sistema complesso non si può essere per così tanto tempo incapaci, arroganti, dilettanti, predatori. Cosi i berlusconiani si sono suicidati constatando, anche se con colpevole ritardo, della contrarietà progressivamente sempre più accentuata dell’Europa, dei mercati e – non dimentichiamolo – dell’opinione pubblica italiana.

Di fronte a due dati “oggettivi” come la contrarietà dei parlamentari a non interrompere anzitempo la loro “preziosa” azione legislativa e l’impossibilità di andare alle urne con una crisi economica cosi devastante, la soluzione più lineare sarebbe stata quella indicata da noi: una coalizione politica destra-sinistra di unità nazionale, fondata sulla ripulsa del berlusconismo e sul riconoscimento delle sue gravissime responsabilità in una crisi che, continuando cosi anche solo per poche settimane, sarebbe diventata irreversibile. Avrebbe avuto i voti necessari questa coalizione?

Crediamo di sì, almeno valeva la pena provarci, perché il Pdl si stava sfasciando tutto e l’argomento che fece vincere Berlusconi il 14 dicembre dello scorso anno si era rivoltato contro di lui: i parlamentari di destra e i mercenari avrebbero votato qualunque soluzione pur di continuare la legislatura. E il Governo Berlusconi, ormai putrido, aveva smesso di garantire questa esigenza. Già gli avevano fatto mancare la maggioranza. Bastava un altro solo passo. Ma per arrivare a questa soluzione politica ci sarebbe voluto un Partito democratico vero, e non quel coacervo di incoerenze, di opportunismi e di non-valori che è sempre stato ed è.

Non rimaneva che il Governo del Presidente. Che è stato salutato dal giubilo popolare. Ma la lista dei ministri è molto rivelatrice. Questo governo, pur benedetto da Napolitano, non è né “il Governo del Presidente”, né “il Governo tecnico”, bensì è un governo molto politico che viene dopo Berlusconi ma non intende superarlo, ed è stato voluto per costruire una nuova destra, questa volta “civile” e non truffaldina, che avrà bisogno dei voti e di spezzoni berlusconiani. Da qui l’emarginazione della sinistra, oggi maggioritaria nel paese, e la presa diretta del potere da parte delle gerarchie cattoliche.

Non è il “Governo del Presidente”, perché altrimenti Napolitano avrebbe dovuto garantire nel suo governo la presenza di tutte le componenti culturali e politiche significative del paese. E questo non è, a occhio nudo. Non è un governo compromissorio, nel senso alto della parola, è politicamente un monocolore cattolico e basta. Sono stati accettati dei veti altrimenti incomprensibili, Sono state escluse personalità che avrebbero meritato di partecipare a un governo di salute pubblica.

Non ci sono né i Rodotà, né i Guido Rossi, né i Veronesi, né i Laterza, né gli Zagrebelsky, né i Settis… È quindi un governo sbilanciato Oltretevere. Potrà certamente fare molto del bene al nostro paese, e venendo dopo sfacciati avventurieri farà sicuramente un figurone, ma non può essere spacciato come il governo rappresentativo di tutto il paese.

L’operazione è evidente: si sono neutralizzati perlopiù con elementi dell’amministrazione pubblica i ministeri che dovranno gestire la normalità e garantire tutti (esteri, interni, difesa, giustizia); i ministeri economici ci riporteranno in Europa (speriamo che ce la facciano) riscoprendo la concertazione tra le parti sociali e quindi cercando di compensare i sacrifici con qualche ammortizzatore; e tutti i ministeri dove c’è sostanza politica (scuola, sanità, beni culturali, integrazione, rapporti col parlamento) sono andati nella mani della chiesa cattolica. (Chiariamo bene.

Non di cattolici, giacché non ci interessa per niente la fede privata dei ministri, ma di persone legate a doppio e triplo filo alla gerarchia vaticana). A questo si deve aggiungere la presenza di Gnudi, garante di Casini, e di Catricalà, che nominato Garante da Berlusconi, in tutti questi anni ha saputo così bene sconfiggere il conflitto d’interesse e applicare rigorosamente i principi antimonopolistici…

Questo governo, aldilà delle apparenze, non è nato sul Colle, ma a Todi e nella Cattolica di Milano e nella stanza di Letta. Un Letta più andreottiano che berlusconiano. E Napolitano lo ha doverosamente ringraziato. Dopotutto questo Governo dichiaratamente si pone l’obiettivo non di superare il berlusconismo, l’èra più disonorevole della nostra recente storia patria, ma di sopire la “contrapposizione e gli scontri nella politica nazionale”.

Come se questi siano stati e siano i problemi. Monti, che eppure godeva della condizione assolutamente inedita dell’appoggio convinto dell’opinione pubblica e di mille altri presupposti che congiuravano tutti a suo favore, si è trovato inerme di fronte alle lobby. Ha ceduto, e naturale appare la vittoria della più potente tra queste.

Speriamo che il Governo Monti ci riporti in Europa e nel consesso internazionale, sopisca gli scontri sociali e generazionali, restituisca un po’ di dignità al paese, restauri un po’ di decenza nei comportamenti pubblici. Ma riteniamo che non sarà in grado di varare vere riforme liberali, né di rendere finalmente moderno e autonomo il nostro Stato sempre più a sovranità limitata. Perché non si può essere servitori di due padroni.

Enzo Marzo – Critica Liberale

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