Franco Pinerolo: “Risposte alla crisi economica ed alla speculazione fiananziaria…”
Mentre in Spagna il forte movimento degli “indignados” ha imposto 12 punti al programma di governo del nuovo candidato della sinistra alle prossime elezioni, in Italia le proposte del movimento per rispondere alla crisi e alla speculazione sono ancora confuse e incerte.
La straordinaria mobilitazione di sabato 15 ottobre per le strade di 950 città della Terra, da Honk Kong a Boston, da San Paolo a Kuala Lumpur, da Sidney a Tokyo, ha dimostrato chiaramente che tutti i popoli del mondo non hanno più indugi a partecipare attivamente per denunciare le politiche di austerità praticate dai Governi a causa dalla crisi economica.
Ma queste immense manifestazioni, che hanno acceso tante speranze, da sole non bastano se le proposte, le piattaforme politiche di questo movimento, o non ci sono o non offrono strumenti per capire ciò che sta avvenendo e fornire prospettive e risposte chiare alla crisi.
QUALI RISPOSTE ALLA CRISI E ALLA SPECULAZIONE FINANZIARIA LA RISPOSTA ULTRALIBERISTA, OVVERO: POLITICHE DI AUSTERITÀ.
È quella della «troika» rappresentata da Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale. Essi vogliono far funzionare il fondo salva-Stati Efsf per acquistare titoli di Stato della zona euro sul mercato secondario (non primario!) a condizioni capestro per il Paese di cui vengono sottoscritti i titoli. In pratica approfittano dello tsunami che si sta abbattendo sui prezzi dei titoli e fa aumentare i tassi d’interesse per far tagliare la spesa sociale (sanità, scuola, pensioni, pubblica amministrazione), precarizzare, attaccare i diritti e le tutele del lavoro, far svendere ai privati beni e servizi pubblici fondamentali.
Il risultato di queste inaccettabili politiche di “austerità” lo vediamo in Grecia, già tecnicamente fallita, perchè la domanda di merci, la produzione, l’occupazione, i redditi e perciò le entrate fiscali si riducono ulteriormente, e quindi diventa sempre più difficile rimborsare i debiti, alimentando così anche la speculazione finanziaria. Proseguendo lungo questa via anche l’Italia, il Portogallo e la Spagna finiranno verso un inesorabile crollo. LA RISPOSTA SONNO-LENTA DELLE OPPOSIZIONI ISTITUZIONALI Di fronte all’incalzare della speculazione, al liberismo selvaggio della troika europea, le opposizioni della sinistra istituzionale, anche a livello europeo, arrancano, abbozzano, tentennano e si muovono con ritardi e contraddizioni insopportabili. Emblematico, ad esempio, in Italia quanto avvenuto nel PD dopo la famosa lettera di Draghi e Trichet, quando abbiamo assistito all’ennesima divisione interna, questa volta tra i neoliberisti (Letta, Veltroni, Fioroni, Follini) e gli antiliberisti (Stefano Fassina), l’ennesima frattura al vertice di un Partito che sembra irrimediabilmente attratto dalle sirene liberiste e oscurantiste dell’UDC.
Pensare di costringere Berlusconi alle dimissioni attaccandolo sul terreno della insufficiente coerenza nella politica di austerity e nella esecuzione delle direttive Draghi-Trichet pare quanto di più assurdo possa fare il centro-sinistra!Serve segnalare inoltre che, ad oggi, il PD, maggiore partito di opposizione, ancora risulta Partito Desaparecido per quanto riguarda una mobilitazione di piazza contro le politiche di austerità ispirate dal neoliberismo, nonostante il desiderio diffuso nella base di manifestare ed impegnarsi.
LA CONFUSA PROPOSTA ANTI CRISI PREVALENTE NEL MOVIMENTO DEGLI INDIGNATI ITALIANI
La confusa piattaforma del movimento in risposta alla crisi appare in tutta la sua evidenza in quello che viene definito il “Ripudio del debito”, cioè il default.È difficile essere d’accordo sul rifiuto unilaterale di pagare il debito perchè:
1) l’Italia è lontanissima da condizioni di prefallimento dello Stato perché il risparmio privato è il secondo in Europa dopo quello tedesco, mentre il patrimonio pubblico e quello privato sono immensi.
2) il default sul debito italiano (che è in titoli di Stato) sarebbe pagato in parte non piccola proprio da lavoratori e pensionati che considerano i titoli di Stato un mezzo sicuro per mantenere i propri risparmi. Infatti, secondo stime di Morgan Stanley del luglio 2011, i cittadini italiani possiedono tra il 25% e il 30% dell’intero debito pubblico: direttamente attraverso l’acquisto di titoli di Stato, o indirettamente attraverso fondi e polizze che acquistano titoli di Stato. Non serve neppure proporre un “default selettivo”, perché rispetto a uno stesso titolo di Stato è impossibile scegliere i creditori da privilegiare.
3) Dopo un default i mercati internazionali dei capitali sarebbero indisponibili a finanziare l’Italia per diversi anni. Sarebbe dunque necessario un forte avanzo primario, un rigido controllo del deficit verso l’estero, e perciò politiche sul bilancio molto più dure di quelle oggi richieste dagli ultraliberisti europei
4) Francia e Germania, nelle cui banche sono quasi metà dei titoli pubblici italiani attuerebbero misure devastanti verso la popolazione italiana.
5) non pagare il debito significa uscire dall’euro e tornare alla lira, quindi subire un’inflazione a due cifre, e la distruzione dei risparmi e delle pensioni. Infatti nel 1992, sotto l’attacco della speculazione, il governo italiano decise di sganciare la lira dal cambio fisso con il marco, ma per impedire che la svalutazione della lira e il conseguente aumento del prezzo delle merci importate comportassero una rincorsa salariale, i lavoratori subirono un accordo sul costo del lavoro che li fece pagare sia a causa delle politiche di austerità che a seguito del freno imposto ai salari
6) dopo un eventuale ritorno alla lira ci ritroveremmo con il franco a 500 lire, mentre era a 300 prima dell’euro, col marco a 2000 lire mentre era a 1000 prima, e la sterlina a oltre 3000. Se ciò potrebbe favorire le vendite all’estero, infliggerebbe invece un colpo durissimo all’economia italiana a causa del pagamento delle importazioni da cui molto dipendiamo in termini di energia, cibo, gas ecc, con conseguenze disastrose sull’innalzamento del debito pubblico.
7) La decisione di non pagare il debito sarebbe di natura monetaria, e l’Italia non ha sovranità monetaria, essendo di pertinenza dell’UE.
SU QUALI PROPOSTE MOBILITARSI PER USCIRE DALLA CRISI In Spagna il forte movimento degli “indignados” ha imposto 12 punti al programma di governo del nuovo candidato della sinistra alle prossime elezioni. In Italia è ora che la mobilitazione si ponga obiettivi ben precisi:
1) siccome l’aumento del debito pubblico è in parte dovuto alla speculazione che ha fatto perdere fiducia nei Paesi e quindi salire i tassi d’interesse anche dei Titoli di Stato e perciò allargare il debito sovrano, la mobilitazione di movimento dovrebbe porsi l’obiettivo di obbligare la Banca centrale a dominare la speculazione, avendo essa tutti gli strumenti per farlo (acquisto diretto sul mercato primario dei titoli del debito pubblico dagli stati europei; politiche monetarie; tassa sulle transazioni di obbligazioni e azioni; proibire le “vendite allo scoperto”, emissione di Eurobond; separazione per le banche delle attività speculative da quelle commerciali; sospensione delle valutazioni delle agenzie di Rating per i Paesi sotto programma di aiuti; istituzione di un’agenzia pubblica di Rating ecc).
2) bisogna battersi per una progressiva democratizzazione delle decisioni economiche perché la «troika» iperliberista (Commissione europea, Bce, Fmi) opera di fatto come il direttorio della Ue, come un podestà straniero, che agisce in materia di politica economica da strozzino e affamatore dei popoli pur non essendo stata eletta da nessuno. Allo stesso modo bisognerebbe battersi per sottoporre la politica monetaria della Banca centrale europea al potere degli organi elettivi.
3) Lo statuto della Banca centrale europea va modificato, affinché il suo compito principale non sia più la stabilità valutaria e la lotta all’inflazione, ma il sostegno all’economia, alla crescita e all’occupazione dei Paesi, come fanno la Banca del Giappone, la Banca d’Inghilterra, la Fed statunitense
4) poichè l’aumento del debito pubblico è dovuto anche a un crollo della domanda interna (e quindi a una diminuzione di introiti fiscali per lo Stato) causata dalla riduzione dell’occupazione e del reddito bisogna che l’autorità pubblica si faccia creatrice di prima istanza di nuova occupazione attraverso la produzione di quei “beni base” fondamentali per il progresso sociale e civile dell’umanità. Attivare un nuovo motore interno dello sviluppo economico europeo, sul modello del “Job act” di Obama, significa che lo Stato deve rientrare nella produzione a partire da quella di servizi in regime di monopolio fino alle produzioni avanzate e innovative, che i privati non coprono, spingendosi fino alla nazionalizzazione delle banche, facendo crescere l’occupazione, riducendo l’orario di lavoro, aumentando i salari, dando maggiori servizi, deduzioni fiscali, potenziando ricerca, formazione, tecnologia, scuola e università, con investimenti su green economy e conoscenza, e difendendo il carattere pubblico di beni comuni quali acqua, energia, servizi alla persona, istruzione, sanità, trasporti, aziende municipalizzate, attività industriali pubbliche, immobili ecc., proposta quest’ultima portata da settori di movimento. L’esigenza di tornare a crescere dopo una crisi, o dopo anni di stagnazione e recessione, non è nuova. In passato ci si è riusciti con successo: esemplare il caso dell’uscita dalla Grande Depressione interbellica e del New deal roosveltiano. I fondi vanno reperiti da chi possiede di più, cioè le persone (fisiche e giuridiche) titolari di grandi patrimoni anche immobiliari, e chi le tasse non le paga (l’evasione è a 120 mld l’anno!); con una maggiore tassazione delle rendite finanziarie esclusi i Titoli di Stato, la riduzione dell’assurda spesa militare, tagli ai costi della politica, una politica fiscale ispirata a criteri di legalità e giustizia, Ici sulle attività di lucro della Chiesa; recupero dei capitali occultati all’estero (230 miliardi solo in Svizzera!), utilizzo del surplus di riserve auree di Bankitalia.
5) è indispensabile mobilitarsi perché vengano introdotte forme di bilancio e di fiscalità europea che permettano, attraverso un debito comune, di ripartire gli oneri e i vantaggi dell’unione valutaria tra gli stati forti e quelli deboli; bisogna ottenere prioritariamente uno “standard retributivo europeo”, che consentirebbe di interrompere la competizione salariale in atto tra i paesi dell’Unione.
6) Dal momento che l’aumento del debito pubblico è dovuto anche a un notevole calo delle entrate fiscali statali per la riduzioni dell’onere fiscale e i crediti agevolati concessi agli imprenditori (30 miliardi di euro l’anno), è indispensabile battersi per fare piena luce e disboscare questi finanziamenti. Le aziende poi che delocalizzano pagando le imposte all’estero anziché nel paese d’origine, devono restituire i finanziamenti pubblici ottenuti.
7) Il governo Berlusconi prima ha negato la crisi, poi ha accettato senza opporsi la revisione più stringente delle regole di Maastricht decisa al Consiglio Europeo del 24 marzo di quest’anno, imponendo una manovra economica iniqua e di macelleria sociale. Il discredito internazionale e l’incapacità di Berlusconi pesano sul debito pubblico, che è dovuto anche alla mancata lotta alla grande evasione fiscale del suo governo e dei governi DC-PSI dagli anni 70. Mandare a casa Berlusconi diventa dunque un obiettivo prioritario per ogni mobilitazione contro le politiche di austerità.
QUESTA CRISI, IL FALLIMENTO DEL NEOLIBERISMO, OFFRONO UN’OCCASIONE STRAORDINARIA PER COSTRUIRE UN NUOVO MODELLO DI SVILUPPO BASATO SUL BENESSERE DEI POPOLI, LA CRESCITA, LA SALVAGUARDIA DELL’AMBIENTE, IL LAVORO AL SERVIZIO DELL’UOMO E NON VICEVERSA. NON SPRECHIAMO QUESTA OCCASIONE!
Franco Pinerolo