Mao Valpiana: “..la violenza ci indigna, la nonviolenza ci ingegna!”
Comunicato di Mao Valpiana, presidente del Movimento Nonviolento
Dopo aver raccolto più informazioni possibili, mi permetto di fare
alcune considerazioni sul triste epilogo della manifestazione del 15
ottobre a Roma: come già a Genova nel 2001, l’esito era facilmente
prevedibile.
Gli ingredienti, più o meno, sono gli stessi. Una grande massa di
persone desiderose di manifestare le loro giuste rivendicazioni, il
centro di una città come scenografia, la polizia mandata in forze a
presidiare, e un manipolo di guastafeste capaci di tutto. Per far
scattare la trappola, basta poco: il lancio di un sanpietrino, un
bancomat fracassato, una vetrina sfasciata, e il gioco è fatto. Non
serve, poi, dissertare se il blocco nero da cui è partita la
provocazione era quello della polizia o quello con i passamontagna. I
caschi sono gli stessi, cambia solo il colore, come sui campi da rugby.
Il problema, perciò, non è la polizia, e non sono nemmeno i cosiddetti
black bloc.
Il problema sta negli obiettivi e nell’organizzazione della
manifestazione, cioè nel fine e nel mezzo.
Il clima che precede una manifestazione di massa è importante, ed è
determinato anche dalle dichiarazioni e dalle “parole d’ordine” degli
organizzatori. Se i toni si esasperano, attirano gli esasperati. Capisco
bene che l’indignazione sia una categoria allettante per i giornalisti,
ma non ne farei un programma politico. Poi c’è da chiedersi perché si
propone sempre e solo il tradizionale corteo, con gli slogan urlati, la
musica assordante, la testa da conquistare, gli spezzoni da comporre: è inevitabile che emerga lo spirito da tifoseria, con tutte le sue
degenerazioni. Infine, il percorso del corteo, che si snoda nel centro
città, con i suoi luoghi simbolo, le zone proibite, gli obiettivi
sensibili e i facili bersagli. La miscela è già esplosiva in partenza.
Venti giorni prima della manifestazione di Roma, si è svolta la marcia
Perugia-Assisi. Penso che un confronto fra i due avvenimenti sia opportuno.
Le tematiche della Perugia-Assisi non erano certo più leggere o più naif
di quelle di Roma. La necessità di uscire dall’economia di guerra e
ricercare un’economia di giustizia, non è meno politica e rivoluzionaria
delle aspettative degli “indignati”. L’una e l’altra iniziativa avevano
obiettivi comuni: disarmare la finanza e investire sul sociale e sul
lavoro; una parte dei manifestanti – ad Assisi e a Roma – erano gli
stessi, ma il contesto e i metodi scelti erano totalmente diversi, e
hanno fatto la differenza.
Anche alla Perugia-Assisi si sapeva che sarebbe giunta una grande massa di persone (e dunque potenzialmente dei rischi), ma il clima era
assolutamente rilassato, essendo determinato dalle due parole-chiave
convocatrici: “pace e fratellanza”. Il percorso, che si è sviluppato tra
le campagne e le colline umbre, non dava adito a nessuna possibile
provocazione; il verde degli alberi e le simbologie francescane hanno
aiutato la voglia di comprensione piuttosto che la sopraffazione. Con
duecentomila persone in cammino da Perugia ad Assisi non c’è stato il
minimo incidente.
Se si vuole trovare una via d’uscita, non cadere più nelle trappole,
uscire dalla violenza e avviarsi sulla strada della nonviolenza, bisogna
cambiare totalmente strategia. Non si tratta di isolare o respingere i
vandali, ma semplicemente di creare le condizioni affinché costoro non
si presentino nemmeno alle prossime iniziative politiche.
Innanzitutto bisogna proclamare preventivamente il carattere nonviolento delle manifestazioni. E poi bisogna metterlo in pratica davvero.
Basta con i cortei gridati. Si pensi piuttosto a dei sit-in in grandi spazi, meglio ancora se nei parchi, con la musica classica come colonna sonora.
In un contesto così i black bloc sarebbero semplicemente ridicoli, e la
polizia sarebbe fuori luogo.
Poi, si rinunci alla mega manifestazione, sempre a Roma, e si
privilegino tantissime piccole manifestazioni, collegate fra loro, in
ogni città e in ogni paese, dando davvero a tutti la possibilità di
partecipare, soprattutto alle famiglie, ai bambini, agli anziani. Anche
in questo caso i black bloc sarebbero messi alla berlina, ed invece
della polizia ci sarebbe il vigile.
Poi, invece di urlare slogan, si può cantare o stare in silenzio. Al
posto dei comizi finali si può fare una veglia, e anche il digiuno
sarebbe un buon antidoto contro i fanatici agitatori.
Il movimento per un’economia nonviolenta ha bisogno di chiarezza. La
nostra deve essere una proposta assolutamente limpida: nella strategia, negli obiettivi, nella tattica, nelle alleanze, nel linguaggio, nello spirito.
La violenza ci indigna, la nonviolenza ci ingegna.
Verona, 19 ottobre 2011
P.S.
Il vecchio leader radicale, l’ottantunenne Marco Pannella, si è
presentato sia alla marcia pacifista Perugia-Assisi che alla
manifestazione indignata di Roma.
Al Meeting dei 1000 giovani per la pace, che ha preceduto la marcia,
Pannella ha partecipato come relatore ad un seminario. E’ stato accolto con non troppo entusiasmo: alcuni giovani, vedendolo arrivare, si sono alzati e in silenzio se ne sono andati; altri, interessati o incuriositi, sono stati ad ascoltare e l’hanno applaudito.
A Roma gli indignati (la parte “buona” del corteo) hanno accolto
Pannella a male parole “venduto, provocatore, buffone, ladro, carogna,
vattene!”, e qualcuno gli ha anche sputato in faccia, costringendolo ad andarsene prima che la situazione degenerasse.
Due modi opposti di intendere l’ospitalità e la tolleranza.
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