Massimo Bonfatti: “Fukushima e l’incompresa lezione di Chernobyl”

Riflettere sui “bambini di Fukushima”

Chernobyl è diventata ormai un’icona mediatica e, intorno alla tragedia, ha prodotto – esaltandole – modalità di attrazione che rispecchiano quelle tipiche dell’industria del marketing. Una di queste modalità è rappresentata dall’“accoglienza dei bambini di Chernobyl”. Nulla di strano e nulla di male! Ci si aspetterebbe, però, che, dopo quasi 20 anni, un sentimento di maggiore consapevolezza pervadesse il vasto movimento dell’accoglienza. Forse non è cosi e se è così, probabilmente, mancano gli strumenti per esplicitarla.

Chernobyl resta, invece, un monolita, il catalizzatore di un’attenzione unilaterale che veicola i sentimenti e che diventa l’ombelico del mondo per giustificare il proprio operato in una condanna (purtroppo, a volte, generica, se non speculativa) della follia nucleare.

I nuovi “bambini di Chernobyl” sono i “bambini di Fukushima”.

I “bambini di Fukushima” sono esposti ad un futuro già segnato, come quello già visto in passato e sperimentato per i “bambini di Chernobyl”, ma con un doppio inganno perché, da una parte, falsamente “protetti” dalle menzogne dell’AIEA, della TEPCO e del governo giapponese; dall’altra, isolati all’attenzione internazionale da parte della terza potenza economica mondiale, che si ritiene autosufficiente dilavando, così, i sensi di colpa nello “yen” e minimizzando ed immolando le conseguenze del fall out in una nuova efficienza sociale e in una rinnovata e orgogliosa ripresa economica.

Cosa ci ha insegnato Chernobyl?

Ci ha insegnato che la sua pericolosità maggiore non è legata alla quantità massima di radiazioni emesse immediatamente, che colpisce una parte limitata di popolazione direttamente esposta. Il pericolo è legato alle piccole quantità quotidiane che vengono assorbite da milioni di persone. Per di più, questo tipo di assunzione, attraverso l’alimentazione, significa un assorbimento per via interna. Le cellule vengono esposte per anni o decenni a piccole quantità quotidiane di radioisotopi e quindi di radioattività. Nei bambini soprattutto, ma in generale nei soggetti in via di sviluppo in cui gli organi e i tessuti si stanno formando, la tossicità è ancora maggiore.

È quanto ha scoperto il professore Bandazhevsky nelle sue ricerche e, unicamente per aver diffuso i suoi studi di scienziato indipendente, ha pagato con il carcere e l’esilio. Il ricercatore non si è arrestato davanti ai dogmi ed alle immutabili verità ufficiali ed ha scardinato il sistema di omertà e di compromissione fra l’OMS e l’AIEA. A livello scientifico ha messo in discussione il modello obsoleto, disegnato dai fisici e non dai biologi e tanto meno dai medici, che tiene conto della cosiddetta dose totale assorbita e che valuta, ma in maniera assolutamente teorica, a tavolino, i rischi come legati direttamente, in modo proporzionale, alla dose totale. Le sue ricerche, condotte assieme alla moglie Galina, a Gomel in Bielorussia, hanno dimostrato che ciò non ha niente a che vedere con quello che realmente succede e, in particolare modo, per quanto riguarda l’incorporamento del Cesio 137 nelle fibre cardiache.

Queste informazioni dovrebbero essere chiare a tutti i volontari di Chernobyl: in esse trovano sostanza e validità i loro sforzi per i “bambini di Chernobyl”; in esse c’è la ragione dell’ostinazione e della continuazione dell’aiuto. Non capirlo cambia completamento il senso dell’intervento tramutandolo in aiuto generico o indirizzandolo verso altri ambiti, legittimi, ma distanti dal significato e dalle motivazioni che definiscono gli interlocutori come “bambini di Chernobyl”.

Come afferma Ernesto Burgio, coordinatore del Gruppo ISDE – Medici per l’Ambiente, rivedendo tutti gli studi epidemiologici a partire da Hiroshima e poi soprattutto proprio su Chernobyl, la quantità di patologie che realmente è stata prodotta direttamente dall’esposizione, quindi sulle popolazioni che vivevano in Ucraina, in Bielorussia e nei paesi limitrofi e soprattutto via, via che la nube è stata studiata più a fondo per quanto riguarda gli effetti e la deposizione in particolare del cesio nelle catene alimentari, è stato verificato che c’è un aumento abbastanza marcato delle leucemie infantili in proporzione diretta. Lì dove è stato trovato un livello alto di cesio, in proporzione sono aumentate le leucemie infantili.

Chernobyl, inoltre, è stata un ingrediente fondamentale nell’aumento dei tumori infantili che abbiamo in Italia. Si rileva, addirittura, un incremento nel primo anno del 3% dei tumori infantili che in 15/20 anni significa un aumento veramente significativo.

E che dire dello Iodio 131? C’è stato un aumento notevole di patologie tiroidee in tutta Europa e nelle zone più vicine all’incidente: un incremento di centinaia di volte del carcinoma tiroideo infantile, tumore raro che colpisce la tiroide perché proprio lo iodio 131 si fissa sulla ghiandola producendo una proliferazione cellulare neoplastica.

E gli effetti sull’embrione e sul feto? Le piccole dosi quotidiane di incorporazione interna dei radionuclidi attraverso la madre, interferiscono addirittura sulla programmazione dei tessuti. Lo hanno rilevato gli studi che hanno dimostrato l’aumento delle leucemie attorno alle centrali. Ma non è importante l’esposizione diretta dei bambini a dosi massive, come già accennato e come continuano a pensare, rassicurando, le istituzioni e tutti i centri compromessi con la politica della minimizzazione dell’AIEA e delle lobby interessate al business nucleare: le dosi piccolissime quotidiane, soprattutto per via interna, sono proprio quelle più pericolose.

E dall’undici marzo 2011 è quello che sta avvenendo ai bambini di Fukushima e alle loro famiglie.
Chris Busby, del Comitato Europeo sui Rischi da Radiazioni, usando studi europei dopo Chernobyl, ha predetto 400 mila casi di cancro per la popolazione che vive entro 200 chilometri da Fukushima, compresa la periferia di Tokyo. I cancri includono quello alla tiroide, al pancreas, alla prostata, ai polmoni, alla pelle, alle ossa e la leucemia e qualsiasi altro tipo di cancro che esiste. Questo è quello che causano le radiazioni agli organismi viventi. (Busby ha basato, fra l’altro, il suo studio sulle osservazioni decennali di Tondel sull’ aumento di tumori in Svezia. Nel paese scandinavo si è osservato un aumento dell’11% di incidenza dei casi di tumore per ogni 100 kBq/m² di contaminazione radioattiva).

Ma come mai Fukushima non ha il richiamo di Chernobyl?

Se Chernobyl è stato un problema mondiale, Fukushima lo è ancora di più. A quasi tre mesi dal terremoto, nessun sarcofago ricopre Fukushima, nessun artifizio messo in atto ha ancora arrestato la fuoriuscita di radionuclidi. A differenza di Chernobyl c’è stata contaminazione del mare e quindi potrà avvenire una contaminazione per via alimentare ancor più difficile da controllare (coinvolgendo pesci, molluschi, uccelli e così via).

Perché la solidarietà manifestata nei confronti dei “bambin di Chernobyl” non decolla per i bambini di Fukushima?

“Mondo in cammino” (www.mondoincammino.org) ha lanciato una campagna chiara, dai contenuti precisi a favore dei “bambini di Fukushima”, l’ha estesa a tutto il volontariato di Chernobyl (e non solo), ma le risposte sono state scarse.

L’amarezza è tanta. Non per una campagna che non ha avuto il consenso sperato, non per il prestigio dell’associazione, non per un’insufficiente campagna di marketing che l’associazione, d’altronde, non sa e non può fare.

Semplicemente perché pare confermare un atteggiamento emotivo di fronte alle tragedie, direttamente proporzionale alla possibilità di potere gestire i sentimenti e le relazioni affettive e familiari che ne derivano. Un atteggiamento confortato dalla possibilità – anche per maggiore vicinanza geografica – del ritorno immediato nei confronti dell’impegno profuso, gratificante per la sua continuazione, anche al di là degli obiettivi iniziali, anche oltre gli obiettivi iniziali, indipendentemente dalla loro risoluzione.

Ma potere gestire le emozioni risolve il problema della contaminazione? (Molti bambini di Chernobyl sono diventati genitori di Chernobyl, i loro figli sono diventati nuovi bambini di Chernobyl; gli scarsi strumenti posseduti dai padri e dalle madri nella gestione del rischio radioattivo sono diventati, a distanza di una generazione e a dispetto di migliorate condizioni economiche apportate proprio dall’aiuto umanitario, gli stessi uguali strumenti per i figli. Non è la regola, ma sicuramente la realtà maggiore).

E forse, allora, si smetterà di occuparsi dei “bambini di Chernobyl” se non ci sarà più la possibilità di ospitarli o di andare nei loro territori? Oppure la contaminazione è indipendente da ciò?

Il problema della contaminazione è legato al coinvolgimento dei volontari o va oltre?
Forse la distanza maggiore fa sentire più immuni dal problema?
Forse Chernobyl lava la coscienza per tutte le altre cose che non si vogliono vedere?
E tutte queste domande se li pone in prima persona chi scrive (senza facili o compiacenti assoluzioni).
È facile immaginare che tutte le risposte che ne conseguono siano retoriche o, perlomeno, ovvie.

Ma se Chernobyl non ha insegnato niente o poco, si può almeno sperare che aiuti a traghettare l’attenzione verso altre realtà, soprattutto quelle che, col tempo, saranno peggiori?

Se Chernobyl era aggravata da una situazione economica difficile delle popolazioni coinvolte (e, quindi, umanamente più attraente e coinvolgibile), Fukushima è aggravata da una maggiore consapevolezza omertosa delle autorità e degli Enti preposti al caso che, in nome e per conto della capacità e forza economica di ripresa, le condanna ancor più criminalmente ad un destino in cui le bugie, incominciate l’11 marzo 2011, diventeranno, sempre più, il volto buono di una normalizzazione in cui, queste stesse popolazioni locali, saranno costrette a credere da buoni samurai.

Non possiamo essere complici di questa delittuosa minimizzazione.

Chernobyl è oggi Fukushima e Fukushima può diventare la nostra Chernobyl del domani (e ancor di più come i dati in proiezione sembrano dimostrare, a dispetto della distanza, delle vittorie nazionali ai referendum in materia nucleare ecc.).

Non dimentichiamocene!

“Per quanto voi vi crediate assolti , siete per sempre coinvolti!”

E, se possibile, per aiutare il nostro futuro, aiutiamo il presente dei bambini di Fukushima e delle loro famiglie (http://www.progettohumus.it/public/forum/index.php?topic=1779.0). Non solo è criminale la politica di minimizzazione, ma anche non sfruttare la conoscenza, la progettualità e il know how (laddove esistano) derivati dall’esperienza con i “bambini di Chernobyl

Fukushima arriverà “in differita” anche da noi…aiutare loro sarà anche aiutare noi: un investimento per il futuro che non guarda la forma degli occhi e il colore della pelle….a proposito dei quali non si possono dimenticare, per esempio, anche le malefatte del Niger (altrimenti che consapevolezza sarebbe?)

Non sentire Fukushima come una “propria” tragedia è regalare al nucleare la possibilità camaleontica di riciclarsi e di porre sotto ricatto il futuro delle prossime generazioni.

Dove incomincia il nucleare finisce la democrazia; laddove prevale il silenzio/disinteresse prolifera l’inganno nucleare; laddove vince l’inganno nucleare è impossibile pensare ad un mondo pacificato e sicuro.

Fukushima ce lo sta ribadendo. Chernobyl è stata la prima campanella, Fukushima la seconda. Ci sarà la terza?
Le daremo il tempo per suonare o suonerà per dirci che non c’è più tempo?

Massimo Bonfatti
info@mondoincammino.org

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