Il bioregionalismo e la comunità bioregionale di Roma, capitale d’Italia….
Comunicati Stampa 15 marzo 2011
Il 17 marzo 2011 viene celebrata in tutta la penisola la ricorrenza del 150° anniversario dell’unità politica della nazione. Ripropongo perciò l’attuazione bioregionale per la capitale d’Italia
Bioregionalismo e politica non sono antitetici, nel bioregionalismo si deve tener conto anche della struttura sociale e comunitaria di una bioregione.. La visione bioregionale infatti considera non solo gli aspetti ambientali di ma anche quelli culturali umani di un ecosistema (vedi il libro della Rete Bioregionale Italiana, La Terra Racconta: Il bioregionalismo e l’arte di disegnare le mappe locali, ed. AAM Terra Nuova, 1997).
Il bioregionalismo e la visione bioregionale non sono applicabili solo ad un bosco, lungo un fiume, su una catena montuosa, od in mezzo a una palude, etc. Dobbiamo considerare che c’è un’altra realtà ambientale, ormai maturata in secoli di civilizzazione, ed è la realtà bioregionale di una grande città, com’è ad esempio la capitale d’Italia.
Quando nel 1992 proposi per la prima volta di istituire una Bioregione specifica per Roma e sua area metropolitana non pensavo certo ad una ghettizzazione forzosa di una parte dell’umanità, costretta a vivere nel degrado e nell’inquinamento, mentre il circostante popolo campagnolo si difende con una serie di barriere. Non credo infatti, al contrario di Mao Tze Dong, che “la campagna deve assediare la città”, questa è una visione parziale che non tien conto della parità dei diritti di tutti gli esseri viventi, in qualsiasi ambito geografico ed ambientale essi vivano.
Una parte sostanziosa di umanità vive attualmente in aree urbane ed è un dato di fatto che questi particolari territori omogenei esistono. Ciò mi sprona a porre l’accento sull’attuazione di una sana qualità della vita. Se in città esistono dei problemi è evidente che le condizioni della vita devono essere riequilibrate alle esigenze dell’organismo bioregionale metropolitano e di tutti i suoi abitanti, rendendo così la città un luogo ideale. A parer mio una città diventa ideale non soltanto attraverso il rispetto di alcuni requisiti, per altro indispensabili, di armonia ambientale e sociale fra “civitas” ed “urbs”, ritengo infatti che le caratteristiche dell’idealità risiedano soprattutto nel pervicace e costante perseguimento di tale idealità.
Con ciò immagino che sia sempre presente nel consesso sociale ed ambientale della città una tendenza correttiva che porti a modificare, all’occorrenza, qualsiasi devianza dal criterio di armonia socio-ambientale. In verità questo è il compito da sempre delegato alle Leggi che hanno regolamentato la nostra società ma c’è differenza tra la compulsione forzosa di una Legge e l’autoaggiustamento spontaneo che dovrebbe essere sempre presente in una città ideale di carattere bioregionale.
Vanno però considerate alcune “condizioni” per il mantenimento di un centro urbano che persegua l’armonia ed alcune d’esse riguardano gli aspetti sociali del bioregionalismo, ovviamente altri aspetti vanno visti ed integrati con l’analisi delle diverse realtà, della composizione geomorfologica, architettonica, della flora e della fauna che compartecipa del particolare ambiente urbano esaminato. Ma l’idea politica di base, riguardo Roma, è di avvicinarsi al criterio federalista europeo attraverso il suo “riconoscimento” di Città Regione. Questo modello è stato già in parte attuato in Francia (con la Region Parisienne). Questo sarebbe un ottimo metodo per rendere le pari opportunità effettive, soprattutto in considerazione del fatto che le grandi città debbono essere europee e quindi il più possibile staccate da legami e concetti campanilistici. Quindi le capitali europee, secondo il nostro metodo, dovrebbero tutte divenire Città-Regione (è avvenuto anche in Germania con Monaco di Baviera).
Vorrei ora inserire un altro elemento di discussione, quello del controllo sull’espansione dei grandi nuclei urbani, una espansione spesso incontrollata che viene indicata come causa di sperequazione ecologica. Tale crescita delle aree metropolitane, sproporzionata alle reali possibilità di assorbimento del territorio, è dovuta alla rivoluzione industriale e tecnologica degli ultimi anni. Questo aspetto delle città moderne potrebbe esser compreso come un necessario sfogo prima della spallata finale: un’ultima ratio consumistica che, succube del criterio di un utilizzo incondizionato delle risorse, è in realtà una rincorsa prima del salto finale che porterà l’umanità all’attuazione del bioregionalismo.
In verità non dovrebbe esserci antitesi nella presenza umana su questa Terra, una città in sé stessa non può esser considerata negativa, infatti esistono città per molti esseri viventi (formiche, api, etc) e l’importanza del bioregionalismo sta nel capire il valore di un giusto equilibro fra la crescita ed il mantenimento della città che si pone armonicamente nell’ambiente.
Tutti conoscono la teoria dello Yin e dello Yang; secondo questa filosofia la Vita (Tao) adatta costantemente le sue manifestazioni all’ambiente che le ospita. Se un agglomerato urbano “Yang” è in espansione, oppure se esso è troppo cresciuto, bisognerà aprire al suo interno una fessura naturale “Yin”. Per far ciò occorre restituire alla natura ed al verde una parte della città, nonché interrompere la crescita delle sue appendici esterne. Un esempio? Il centro di Roma dovrebbe assomigliare a ciò che era ai suoi inizi, ovvero un territorio in cui nulla (o poco) veniva modificato, essenzialmente accettando i soli cambiamenti imposti dal trascorrere del tempo e delle stagioni. Insomma la parte storica di Roma diverrebbe uno spazio “liberato” in cui la vegetazione sia padrona di ammantare piazze e palazzi ed in cui gli animali si riapproprino di un loro habitat naturale. La presenza umana può essere mantenuta rispettando questi aspetti di riequilibrio. Le strade, ad esempio, potranno essere dei percorsi in terra battuta o selciato frequentati da animali come gli asini ed i cavalli. In questa “nuova” città, situata nel cuore della “vecchia”, si dovrebbero consentire unicamente quelle attività ecocompatibili, come l’artigianato, l’arte ed il gioco; tutto all’insegna di una semplicità di vita. Ovviamente non si può tornare all’età della pietra ed il cordone ombelicale con la tecnologia va mantenuto attraverso l’uso di energia pulita e di materie prime riciclabili.
Un siffatto Centro Urbano Bioregionale sarebbe inoltre una valvola di sfogo impagabile per gli abitanti metropolitani che ritroverebbero nella città stessa quelle condizioni di vita “selvatica” che vanno cercando nell’hinterland extraurbano.
Questo esperimento potrebbe essere inizialmente attuato in alcune aree specifiche della metropoli, meglio se le più antiche, in modo da riarmonizzare lentamente l’ambiente naturale con il costruito, mantenendo così la necessaria integrazione uomo-ambiente e conseguendo una costante ed elevata qualità della vita.
Paolo D’Arpini
Referente P.R. della Rete Bioregionale Italiana