Carmelo R. Viola a Rinascita: “Ecco le ragioni di un possibile commiato…!”
Da alcuni anni collaboro a questo quotidiano a dispetto della estrazione, certamente diversa dalla mia, dato che sono e da sempre antifascista e comunista convinto. Avevo raccolto il proposito di Ugo Gaudenzi, il Direttore, di superare gli anacronistici odi fratricidi di oltre sessant’anni fa (fine mobilissimo), che trova riscontro nel mio principio della convergenza, per cui, a differenza di quanti vogliono “non dimenticare”, si può e si deve collaborare sulla base delle cause comuni attuali ( quelle in comune con Rinascita sono davvero tante!) indipendentemente dal percorso di formazione di ciascun “compagno di lotta”. Ho subìto, ma messo a tacere, le minacce (di schiaffeggiamento) da parte di un gruppo di giovani comunisti e l’opposizione di un gruppo editoriale anarchico, che si è rifiutato di passare alle stampe il mio “Mafia per non dire capitalismo” se non a sèguito di… abiura! Ho dato poco peso a certe levate di scudi – ed offese – da parte di amici di Rinascita, cercando ciò che ci unisce.
M’è sembrato di esserci riuscito attraverso una successione di dialoghi, puntati, dagli interlocutori “Rinascita”, non sulle cause attuali ma sulla provenienza dell’esperienza politica, cioè su ciò che ci divide ed ho fatto del mio meglio per trasformare gli incontri in altrettante occasioni di comprensione umana e di amicizia.
Per questo trovo strana l’offensiva di Giuseppe Baimonte, giunta a scoppio (molto) ritardato con l’evidente intento di contestarmi delle convinzioni in fatto di fascismo e del Duce – ovvero di recuperare del terreno – pur sapendo che io non posso che confermarle, ma senza nulla togliere alla pratica affratellante della convergenza. Sono indispensabili alcune puntualizzazioni:
1 – Su di me, anzitutto. Sono un uomo di scienza, non di partito. Non sono marxista e meno che mai stalinista. Questo non m’impedisce di prendere atto del buono, che trovo nel marxismo e nello stesso stalinismo (ovviamente con esclusione dei crimini) così come prendo atto del buono prodotto dal fascismo (introduzione dello stato sociale, bonifica dell’Agro Pontino, difesa della lingua ed altro). Mi ritengo comunista sin da quando (anno 1946) cominciai a scrivere sul quotidiano Corriere di Tripoli nello spirito della massima “da ciascuno secondo la possibilità, a ciascuno secondo il bisogno”. Ma ciò non significa che io accetti per buono quanto viene fatto in nome del comunismo, distinguendo fra principi e fatti. Per fare un esempio: coloro che credono nel comandamento dell’amore del prossimo (principio) non identificano il loro cristianesimo con l’Inquisizione o con le Crociate o con uno qualsiasi degli innunmeri crimini commessi dalla Chiesa cattolica (fatti).
2 – Fascismo. Secondo me, il fascismo fu, nel bene e nel male, l’avventura di un uomo, Mussolini, il quale era un geniale groviglio di contraddizioni attorno ad un solo punto fermo: quello dell’amore del potere. Due esempi per tutti: da socialista fece bruciare la sede dell’Avanti, perseguitò per tutta la vita socialisti e socialismo (vedi leggi eccezionali, Tribunale Speciale con confino e così via). Il suo anticomunismo è l’estensione del suo antisocialismo. Infine, dulcis in fundo, aggredì il più grande paese socialista (o in fase di attuazione del socialismo). Per altro, Mussolini non realizzò mai alcun socialismo: il corporativismo con il divieto di sciopero è il congelamento della lotta sociale degli sfruttati contro gli sfruttatori. La nazionalizzazione (mi pare, oltre tutto, della sola Fiat e a ventennio chiuso) è semmai un provvedimento socialdemocratico. Ancora… Da ateo-anticlericale fece del cattolicesimo la religione di Stato (con tanti privilegi), ovviamente per meglio dominare le “folle oceaniche” per poi trovare incompatibile la catechesi cattolica in concorrenza con quella fascista, quindi sempre per motivi del proprio potere. Senza Mussolini, non c’è fascismo. Morto Mussolini, è morto anche il fascismo, che non ha rappresentato (come abbiamo visto) un’alternativa al socialismo-comunismo, ma ne ha abbozzato una concezione negativa. Il fascismo fu una religione in funzione di un capo (il Duce o “condottiero romano”), infallibile come il papa (o forse più del papa, che dice di esserlo solo quando parla (o vaneggia) “ex cathedra”).
3 – I fedeli. Fu un errore l’accettare il fascismo – ovvero la parola e l’atto del Duce – come una religione (magari fingendo per personale interesse) e tuttavia questo lo si poteva capire come risposta emotiva ad un protagonista fortemente carismatico. L’atto di fede, professato in assenza del maestro, è addirittura un’aberrazione perché l’avventura di un uomo non può fondare una religione, specie quando non rappresenta niente di nuovo e non può pertanto essere proiettata nel futuro.
4 – Non seguo alcuna vulgata ma, intenzionalmente, solo la verità che, in quanto acquisizione soggettiva, può essere errata e tuttavia non costituire atto di offesa per nessuno. Quanto alla diagnosi comportamentale di un uomo, che si fa deificare fino a fare o a lasciare scrivere sui muri di tutta Italia di “avere sempre ragione” (a conferma del dogma di fatto dell’ infallibilità), è ovvio che non si possa non coinvolgere anche la psichiatria.
5 – Il dialogo. E’ reso difficile ed aleatorio (e i fatti lo confermano) dall’atto di fede che gli interlocutori di parte mussoliniana praticano – e quasi subiscono – come un chiodo fisso: E’ il “culto del Duce” (ieri della persona, oggi, del ricordo storico – come, per analogia, del Cristo per i cristiani) che li fa sentire a posto con sé stessi. Essi restano condizionati da tale aberrante fede e non possono condurre un dialogo con spirito laico (cioè “dando a ciascuno il suo” senza pregiudizi di sorta per nessuno). Con spirito laico significa, più precisamente, senza alcun pregiudizio di carattere religioso – direi manicheistico - che attribuisce alla propria parte ogni valore positivo ed a quella contrapposta ogni valore negativo. Violenza c’è stata e da parte fascista e da parte partigiana.
Così, le vergogne delle foibe appartengono tanto ai fascisti quanto ai comunisti (evidentemente assai poco comunisti). E’ settario ricordare solo le vittime della violenza di una sola parte. Il fascismo si è macchiato di vergogne come quelle che ancora commettono gli uomini, quando indossando una divisa ed impugnando delle armi, ridiventano gli antropozoi terribili e si somigliano tutti. Barbarie hanno commesso i fascisti invadendo l’Albania e il Peloponneso ma soprattutto usando ogni espediente per piegare i paesi dell’Africa Orientale e, forse soprattutto, la Libia. Ci si aspettava da Gheddafi quella magnanimità in cambio della ferocia brutale che i fascisti usarono contro le popolazioni del suo paese e contro l’eroico Omar El-Muktar, cui sarebbe spettato l’onore delle armi e non la forca. Mi riconfermo l’impossibilità di dissuadere un credente. E tale è soprattutto colui, il cui oggetto di fede è un uomo e la sua avventura politico-clinica. Lo stesso rischio corrono quei comunisti, che recepiscono Marx o Gramsci o Lenin o chi so io, come una fonte infallibile di verità. E’ questo pregiudizio, che trasforma anche le ideologie laiche in religioni ma, per lo meno, il socialismo appartiene al futuro mentre il fascismo – peraltro mai definito – è improponibile senza Mussolini. A dire il vero Mussolini – l’ho scritto in un lontano articolo – non fu fascista perché il suo protagonismo patologico non gli avrebbe mai consentito di subire una dittatura come la sua. Lo fu a condizione di essere il capo dello proprio potere..
6 – A fine pagina – o in coda – della bella messinscena di centro giornale, c’è una noterella, che vuole essere letta subito ed è quanto ho fatto, convinto che fosse il gustoso dessert di un servizio squisito: la parola conclusiva di una lode perfino immeritata. Avevo cominciato a minutare la risposta (passo dopo passo in onore del nuovo amico) all’articolo di Baimonte, tratto da internet prima di ricevere il numero interessato, ma dopo la lettura della noterella, cambia tutta l’atmosfera e ricomincio tutto daccapo. Dunque, si è messa in evidenza la mia creatura, la Biologia del Sociale, solo per meglio farla precipitare nel fondo di un cesso. Mi sono sentito offeso mentre mi mancava il terreno da sotto i piedi. In verità, non mi sarei mai aspettato tanto da questo giornale, a cui mi sono affezionato e ai cui fautori ho offerto lealtà ed amicizia fino alla mia solidarietà ad Ugo Gaudenzi, il Direttore, niente di meno che contro dei comunisti (fedele all’impegno di dare a ciascuno il suo nello spirito della convergenza). Il Liazza, con poche righe ed un titolo ad hoc, ha svilito il concetto scientifico della Biologia del Sociale; mi ha contestato un mio giudizio su Mussolini ed Hitler – giudizio che sottolineo come verità storica; mi ha paragonato ai tifosi arrabbiati, frequentatori di bar, usi a litigare (quando io sono un contestatore del falso sport del calcio-impresa e mercato); dopo avermi fatto sentire un sociologo inattendibile come un certo pittore, quasi un impostore, mi dà del bugiardo e mi manda a quel paese.
Devo ritenere che l’occhiello di fondo pagina sia come un coefficiente che dia valore alla teatralità delle due pagine, che dà la parvenza di lodarmi per poi fare risultare meglio la mia pochezza. E tutto questo per avere visto con i miei occhi un uomo, oggetto di fede.
Comincio dalla fine. Devo confermare, signor Toni Liazza, che a mia moglie, che mi è compagna di vita da sessant’anni, una voce del coro musicale del Magistrale, facevano cantare “Deutschland uber alles” – in tedesco! – così spesso da ricordare per intero il titolo, che si conclude con le parole “in der Welt (cioè nel mondo). Fino a qualche tempo fa, ricordava a memoria tutto il testo. Se io non sono bugiardo, che cosa mai è Lei? Quanto all’offesa, in latino maccheronico, mi permetta di rispedirla al mittente con tassa a carico ovvero aggiungendo un proverbio in siciliano puro, che dice “cu si cucca cchi picciriddi agghiorna cacatu” ovvero “chi va a letto con bambini si risveglia cacato”. E’ quanto mi è appena capitato. Caro bersagliere, alla nostra età non è più il caso di fare dello squadrismo.
Concludo. Io accetto un dialogo vivace, perfino polemico purché leale e civile. Il vituperio volgare non l’accetto anche perché credo di non meritarlo. Mi ci vorrebbero, a questo punto – per salvare il salvabile – delle scuse bene articolate anche da parte del Responsabile, che ha lasciato passare tanto inutile veleno. Dubito che arriveranno, in caso negativo, questo sarebbe il mio COMMIATO (sia pure con rimpianto).
Carmelo R. Viola
Risposta a Giuseppe Baimonte e a Toni Liazza (V. Rinascita del 9 feb. u.s.)