Teodoro Margarita e la prima buona azione ortolana del 2011… Poesia scombinata scritta, di ritorno, sulla strada da Canzo ad Asso

In dicembre il gelo ha colpito duro: la terra è diventata

una crosta arida e

tagliente, le piante, che io so esser forti e pronte a

resuscitare a primavera,

mi mostrano il loro stato più simile alla morte: senza

foglie, spente,

abbattute. Proprio non c’è nulla che io possa fare: il

giardino, l’orto, il

boschetto intorno alla cascata, è tutto silenzio,

immobilità. Qualche merlo mi

ricorda che non è così e che ci si sforza con furia di

rimanere vivi, di

superare il momento.

La neve si va trasformando in ghiaccio, alcuni bidoni che

avevo per recuperare

l’acqua piovana, sono diventati una sorta di freezer, mio

figlio si è divertito

a capovolgere alcuni, più piccoli: il blocco di ghiaccio

che contenevano, è lì,

intatto, tre cilindri bianchi e grigiastri, quasi celesti,

sotto il sole,

strane strutture ipermoderne, iperreali.

E’ gennaio, ora. Il gelo si è allentato, ha pure preso a

piovere, ci voleva,

alcune piante non tollerano questo secco così rigido e,

innaffiando, si rischia

di far peggio: di notte potrebbe gelare e la piantina,

specie le tante talee di

lavanda, di timo, santoreggia, salvia che ho provato ad

interrare, potrebbero

danneggiarsi.

Una pioggia, molto più naturale, invece, ha salvato la

situazione.

Tornando da Canzo, verso casa, accanto ad un cestino di

rifiuti ho trovato uno

strano involto: cos’è? Mi son chiesto. Erano due azalee,

due piccole piante, in

vaso, gettate, abbandonate.

Le ho prese e le ho portate a casa.

Pronto soccorso vegetale, mi son detto, e dovrebbe

esisterne uno, come per gli

animali, come per gli esseri umani, per tutti gli esseri

viventi.

Chissà, quando sarò in pensione e avrò più tempo,

magari ne fondo uno.

Quante piante, specie in estate, semplicemente muoiono

perché nessuno le

innaffia, a migliaia muoiono soprattutto quelle nelle

fioriere, messe lì, solo

per impedire il parcheggio o per altri svariati fini, tutti

tranne che quello

di amore verso le piante stesse, puro addobbo o scusante

per conquistare magari

qualche metro da parte di un barista o di un ristorante:

quando chiudono, la

pianta, regolarmente, viene abbamdonata, lì, morta, riarsa

dalla sete.

Ma veniamo alle due azalee, queste, più fortunate.

Già lo scorso anno, tornando a casa dalla scuola, ne avevo

salvata una, su due

che erano, a fiore bianco.

Queste sono a fiore rosa e , a parte la perdita spaventosa

di foglie, mi

sembrano, quando le tolgo dai vasi, messe non male.

Sono state buttate per ignoranza: chi le aveva le ha viste

deperire e se n’è

disfatto, tutto qui.

Non ha minimamente pensato che bastava o asportare un pò

di radici,

sforbiciandole, oppure rinvasare in un recipiente più

capace.

Le ho messe in terra, direttamente, dopo aver sfrondato le

radici,

allargandole, divaricando leggermente, accanto alle altre

piantine da terreno

acido che ho.

Due eriche ed un agrifoglio hanno trovato compagnia, il

continuo piovere di

questi giorni ha allentato la morsa del gelo ed ho potuto

lavorare con la

vanghetta piccola, facile, eccole lì, in terra. E ce la

faranno, si, sono

forti, hanno un apparato radicale compatto, il fogliame è

ancora verde

brillante, si, ce la faranno.

Tutte queste cose me le dico e le ripeto anche a mio

figlio, sono la prima

operazione, secondo il calendario biodinamico, dalla

luna di fiori,

oltretutto, favorevole, nell’orto, nell’anno nuovo, questo

2011.

Non ho potuto fare altro, direttamente in terra. Però ho

riprodotto semi: gli

ultimi son stati dei cetrioli-limone.

Avevo quattro o cinque cetrioli limone in un canestro,

completamente

dimenticati. Sono marciti, alcuni implosi, letteralmente:

li ho aperti: tanti

semi ben formati attendevano solo di essere asciugati e

riposti. Dei bei semi

allungati, traslucidi, forti, dopo qualche giorno sulla

carta da pane, li ho

staccati uno per uno e riposti nella bustina artigianale

con la scritta:

Cetrioli limone 2010. Ne ho abbastanza, potrò donare a

qualche altro amico, è

una specie che oltre ad essere buona da mangiare è anche

bella da vedere: delle

palline gialle che si arrampicano, praticamente, proprio

allegre, i cetrioli

limone.

Pendono dal loro sostegno e spuntano in mezzo al fogliame,

son bellissimi,

hanno il colore dell’estate e sanno anche, vagamente,

proprio di limone.

Non si trovano al supermercato, a me son venuti, da una

decina d’anni ormai,

da soci di Civiltà Contadina, li riproduco, questi sono

sicuramente puri: non

avevo altri cetrioli con i quali si mischiano facilmente.

Mi dicevo, questi giorni di gennaio, che questi atti, la

riproduzione di

semi, specie se antichi e rari, il recupero di piante

buttate e sicuramente

destinate alla discarica comunale, equivalgono ad

altrettanti atti di

educazione. Ci si consegna al futuro, si tramanda una

visione ottimista

dell’avvenire, si può fare, si può intevenire per

cambiare, mutare, in meglio,

un frammento di storia. Credo che generazioni e generazioni

di contadini, di

giardinieri, abbiano scritto la storia, ora minacciata di

morte dalle

multinazionali degli OGM, della vita del pianeta, segnata

dalla riproducibilità

libera del seme.

Questo scrivo, questo dico a mio figlio. Questo, come una

carezza duratura,

come un abbraccio non effimero è anche il mio augurio a

voi tutti di un 2011

più verde, di un anno nuovo più fecondo, questa è la mia

speranza, questa è la

mia piccola illusione.

Da Cranno, vicino alla cascata Vallategna,

Teodoro Margarita

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