La forza del destino… di Simone Sutra
“Non mi ricordo nulla, ti dico!”
Edwin De Boer, medico e amico, mi fissava con aria scettica.
“Eppure” disse, sollevando con le pinzette il piccolissimo dischetto nero “ti hanno inserito un chip sottocutaneo nel collo e non ti sei accorto di niente? Ma a chi la vuoi raccontare?”
“Fai quel che vuoi, non credermi, allora” e feci per andarmene. “ma guarda un po’” borbottai “ uno si rivolge a un amico – a quel che crede un amico, perlomeno” e con queste ultime parole gli indirizzai uno sguardo volutamente sdegnato “e quello nemmeno ti crede. Se tanto mi dà tanto…”
Mi ero rivolto a lui perchè da qualche giorno sentivo come una fitta al collo, non troppo forte ma fastidiosa; e quando si ha un amico medico si evita volentieri il pronto soccorso e tutto l’ambaradan degli ospedali. Mi aveva esaminato con cura e, non so come, aveva individuato il chip al tatto. Era leggerissimo, quasi impercettibile, ma lui lo aveva scovato e poi estratto, senza che sentissi nessun dolore. Ma quando, com’era successo che me l’ero ritrovato addosso? Come gli avevo detto, era qualcosa di cui non sapevo niente, anche se era impossibile non accorgersene, come lui giustamente sosteneva. Inquietante, certo; a maggior ragione proprio perchè non riuscivo a capire chi e come – e soprattutto quando – me lo avesse infilato nel collo.
“Senti, comunque sia….perchè non vai da Lazlo a fargli dare un’occhiata?” disse lui.
“Questa è un’idea. Va bene, vado e poi ti faccio sapere qualcosa, d’accordo?”
“D’accordo, e…non bere troppo in questi giorni”
“Edwin, dai! Sai benissimo che sono anni che non bevo un goccio: non penserai che….”
Fece l’atto di schermirsi con le mani distogliendo il capo, ma non disse niente.
Lazlo Zapotecky, un altro caro amico, era un informatico di altissimo livello che lavorava in proprio, elaborando sistemi di sicurezza molto sensibili per grosse imprese che, come tante, non volevano che qualcuno potesse ficcanasare nei loro database. Oltre che altre cosucce che faceva per il governo: ma si presumeva che questo non si sapesse in giro. Fu difficile ottenere con lui un appuntamento di pochi minuti.
“Che roba è?” mi chiese alzando uno sguardo interrogativo su me dopo averlo posato sulla scrivania dove avevo deposto l’affare.
“Vorrei che me lo dicessi tu, Lazlo: sei tu l’esperto, no?”
Lo esaminò una seconda volta, con una lente di ingrandimento.
“Dì un po’, sei andato a scassinare qualche deposito governativo?”
“Dio del cielo, Lazlo! Perchè mai, secondo te, avrei dovuto esibirmi nell’azione più scriteriata della mia vita?”
“E da dove salta fuori, allora?”
“Se te lo dicessi non mi crederesti….ma vorrei solo che mi facessi capire di cosa si tratta…te lo chiedo come favore personale. Non sono in grado di dirtene la provenienza.”
“Questa non è roba comune, Sebastian” aggiunse con tono grave. “E, anzi, non ne ho mai visti aggeggi di questo tipo. E sì, che….
“Già, proprio così…è per questo che hai pensato al governo, vero? Ma non è un microchip qualsiasi?”
“Direi proprio di no, ma facciamo così. Lasciamelo qua e ci darò un’occhiata. Con calma. Ti richiamo io appena so qualcosa.
Passarono alcuni giorni, durante i quali mi sentii strano…come se non fossi propriamente me stesso. Una notte feci un sogno stranissimo.
Era una scena multicolore: tanti e tali colori non avrei nemmeno pensato che esistessero. Al centro, come centrifugata o come in una foto scattata in movimento e irraggiata verso tutte le direzioni, c’era una figura di donna, piuttosto alta, di cui, date le condizioni dell’immagine, così scomposta, non si distinguevano chiaramente i lineamenti. E c’era una voce che mi parlava…ma non si distinguevano le parole, o meglio non erano parole di cui potessi afferrare il senso, poichè sembravano essere pronunciate in un’altra lingua, mai sentita. So solo che il mattino dopo sapevo, non so come, che il sogno aveva a che vedere con il microchip: ne ero certo, anzi. Dovevo assolutamente andare in fondo a questa faccenda, così chiamai Lazlo: magari aveva già scoperto qualcosa ma non aveva ancora avuto il tempo di chiamarmi..
“Sono Sebastian Frey…avrei urgenza di parlare con il sig. Zapotecky”
“Oh, signor Sebastian….non so come dirglielo…il signor Zapotecky è scomparso!”
Era Regina Spektor, la sua segretaria personale, e sembrava affranta. D’altronde sapevo che Lazlo aveva una relazione intima con lei, pur essendo sposato con prole.
“Come scomparso? In che senso, Regina?”
“Non lo so” rispose lei trattenendo a stento i singhiozzi. “E’ da stamattina che lo cerchiamo dappertutto….ma tutti i suoi cellulari sono qui, a casa non c’è, nessuno lo ha visto in giro, in banca, dal commercialista, i contatti di affari….sua moglie, anche lei, è preoccupatissima, anche se non ho parlato personalmente con lei….sa com’è…”
“Certo, certo…Regina, mi ascolti: lui le ha per caso parlato di un aggeggio che gli avevo portato da esaminare… una specie di microchip?”
“Sì, sì! Può avere qualcosa a che vedere con la sua scomparsa?”
“Ancora non lo so, ma che cosa le ha detto lui?”
“Nulla, mi ha solo detto, ieri pomeriggio tardi, mentre tutti i dipendenti stavano staccando, che non mi avrebbe accompagnato a casa come sempre perchè voleva esaminare con calma quel …coso. Me lo ha anche mostrato. Così è rimasto da solo in ufficio, o meglio in laboratorio.”
“E poi non lo ha più sentito?”
“No. Non era una di quelle sere in cui era programmato di …vederci”
“Avete avvisato la polizia?”
“Certo”
“Va bene, non si preoccupi Regina…vedrà che salterà fuori. E io cercherò di capirci qualcosa, se magari lei può dare un’occhiata in laboratorio e vedere se quella specie di microchip c’è ancora. Mi può fare questo piacere?”
“Sì, signor Sebastian. Vado a controllare e poi la chiamo”
Ricevuta la sua conferma che il microchip – o qualunque cosa fosse – si trovava ancora sul tavolo da lavoro di Lazlo (che lui ancora utilizzava di tanto in tanto, come mi disse poi Regina, per la sua passionaccia di smontare le cose e inventarsi nuovi marchingegni) mi precipitai alla Bitingtime Corporation, la ditta fondata da Lazlo.
“Eccolo, signor Sebastian”. Me lo porse, e io mi congedai da lei con un abbraccio, mentre lei scoppiava a piangere.
Mi diressi velocemente verso casa, e una volta arrivato là sciolsi il pacchetto in cui l’aveva avvolto, con cura tutta femminile, la cara Regina. Lo presi in mano: sembrava pulsare. Rimasi sbigottito quando notai che il colore, da nero che era, aveva preso le sfumature di un blu profondo, indaco. Fu l’ultima cosa che notai, perchè dall’aggeggio si diffuse un raggio multicolore che mi investì, facendomi sentire sottoposto alla spinta come quella che si percepisce sul corpo al momento del decollo di un aereo dal suolo, quando si viene compressi all’indietro e quasi appiccicati alla propria poltrona.
“Avremmo voluto usare un metodo diverso con lei, signor Frey” diceva la voce neutra e lontana quanto la figura da cui era uscita: io ero lì, sdraiato e intontito su quell’immenso prato, mentre “lui” era lassù in fondo, in cima alla collinetta che si ergeva a diverse centinaia di metri. Ma come facevo a sentirlo così chiaramente? D’improvviso fu proprio lì accanto a me. Mi trovavo adesso al centro di una folla enorme e urlante, in quello che sembrava un concerto rock.
“Questi suonano davvero bene” mi gridò lui al di sopra del frastuono, agitando la testa al ritmo della musica e facendo ondeggiare il corpo all’unisono con tutti i ragazzi presenti. Intanto, sul palco illuminato da luci stroboscopiche roteanti- sebbene in cielo ci fossero tre grosse lune e ci si vedesse quasi come di giorno- si avvicendavano le band: i “Delirium Tremens”, gli “Scrotum Scratchers”, i “Monti di Venere”, i “Cold Turkey”, gli “Stupe Fatti e Rifatti”, i “Crazy Meatballs”, gli “Ombrosi del Col di Lana Vergine”, i “Mitili & Cozze”, ed altri grossi nomi. C’era anche Gina Formalina, e Claudio Lilla che duettava con Pizza Nilli. Mi chiesi come avessero fatto a scritturare artisti di quel calibro e a metterli sullo stesso palco, con lo stesso ordine di importanza senza che nessuno di loro si lagnasse.
“Nessuno si lagna mai qui” fu la sua risposta, come se avessi espresso ad alta voce la mia domanda.
“QUI DOVE?” Gli chiesi, strillando per farmi sentire al di sopra del baccano.
“Bè, credo che sia il momento di fare quattro chiacchiere” rispose lui stiracchiandosi sullo sfondo di una spiaggia lunghissima e deserta, illuminata dal tramonto, in cui si era trasformata repentinamente la scena, senza che me ne rendessi conto.
Mi prese a braccetto come un vecchio amico e si incamminò con me lungo la battigia, mentre la risacca ci lambiva dolcemente i piedi.
“Come le dicevo, signor Frey, non era questo a cui volevamo arrivare. Quando le impiantammo il nostro trasformatore dimensionale quella notte, non potevamo certo prevedere ciò che sarebbe successo….”
“E a proposito: dov’è Lazlo? Avete qualcosa a che vedere con la sua scomparsa?”
“Ogni cosa a suo tempo, signor Frey. Per il momento le posso comunque assicurare che il signor Zapotecky gode di ottima salute.”
“Ma insomma, mi vuol dire dove sono e che ci faccio qua? E chi è lei? E chi siete quei VOI a cui ogni tanto lei fa riferimento?”
“Vede, signor Frey, le mie risposte alle sue domande –peraltro legittime, non dico di no -saranno tanto lontane dalle sue fonti di conoscenza e dai suoi paradigmi mentali che dubito che lei comprenderà interamente. Ma ci proverò”.
“Lo faccia, per favore”
“Lei è stato sottoposto all’azione del nostro trasformatore dimensionale, e quindi ora si trova… uhmmm…bè, come si può definire un posto che non esiste sul suo piano fisico?”
“Un universo parallelo?”
“Più o meno. Solo che questo universo ….è dentro di lei”
“Cooosa? Ma allora perchè sto parlando con lei, visto che non la conosco e di conseguenza lei non fa parte del mio universo personale?”
“Le sue conclusioni sono molto relative, signor Frey…o posso chiamarla Sebastian?”
“Si accomodi”
“Vede , Sebastian, il fatto che lei non sia a conoscenza di qualcosa (o qualcuno come nel mio caso) non significa affatto che ciò non faccia parte del suo universo privato. Piuttosto, diciamo che lei, come la maggior parte delle persone, se non tutte, non conosce a fondo se stesso, il suo mondo interiore, e di conseguenza c’è ancora moltissimo che deve ancora scoprire di questo suo mondo, di questo suo universo. Ci sono aspetti di sè, o meglio della parte di sè che è collegata al Grande Tutto, che lei forse nemmeno scoprirà mai.”
“Questo non risponde alla domanda di chi è lei”
“Io….” iniziò a dire lui….o meglio lei, perchè proprio mentre parlava l’individuo attraversò una incredibile quanto rapida metamorfosi davanti ai miei occhi e divenne infine una donna altissima e multicolore, perchè ogni parte del suo corpo era contraddistinta da un colore diverso. Non indossava nulla, e perciò si vedevano chiaramente le gambe, le braccia, il collo, il viso, e….tutto il resto. Non feci fatica a riconoscerla come la donna che mi era apparsa in sogno qualche giorno prima, anche se allora non avevo potuto distinguerne le fattezze.
“Io sono la parte migliore di te, Sebastian” disse alla fine con espressione e voce dolcissima. Dai suoi occhi traspariva infinita compassione, la sua pelle pulsava di luce intermittente, mentre i colori cambiavano e si disponevano su parti del corpo che fino a qualche attimo prima erano colorate diversamente. Nuovi e straordinari colori apparivano di tanto in tanto.
Io rimasi lì a bocca aperta come un baccalà, a rimirare questa meravigliosa creatura che, a quanto pareva, ero io stesso. Dopo qualche attimo che mi parve infinito riacquistai l’uso della parola.
“Ma…. come….come può essere, visto che ti sto parlando?”
“Sono una forma-pensiero, cioè la concrezione a livello visivo di qualcosa che è dentro di te e giace sepolta nella profondità del tuo inconscio. Il trasformatore dimensionale fa affiorare alla superficie della coscienza ciò che la persona conosce senza saperlo e vi dà una forma, plasmata dal tessuto mentale e rivestita della sostanza dei pensieri inconsci, dei concetti noti all’anima ma non alla mente, e dotata dell’energia alimentata dal livello vibratorio a cui è situata la persona stessa.”
“In altre parole, in questo…mondo ci può anche essere chi vede se stesso come un malvagio drago dagli occhi rossi?”
“Se è così che si percepisce, o meglio se quello è il livello vibratorio su cui è costretta a stazionare la sua psiche, sì”
Era tutto troppo.Mi accasciai a sedere lì per terra, confuso e sconcertato.
“Ma io…ma tu…ma cos’è che mi hai detto quando tu eri lui…cioè quando io non ero te…insomma quando tu non eri ancora tu…quell’uomo, insomma!”
“Oh…lui è il Maestro della Forma. Può assumere qualsiasi forma voglia….è bravo, te lo assicuro!”
“Non ne dubito…ma che ci faceva lui nel mio universo privato, cioè praticamente dentro di me?”
“Oh, ma vuoi proprio sapere tutto subito? Non ce la fai, non si può. E’ meglio che riposi, adesso.”
E dette queste parole stese una mano sulla mia fronte.
Ore 3 e trentatre del mattino. La sveglia è al solito posto, non ha suonato. Ma allora perchè mi sono svegliato di soprassalto?
Ancora assonnato, noto un bigliettino sul comodino:
“Alla Taverna dell’Infilzato, ore 17:50, giorno 17 Maggio, anno 2010”.
Ma che….ma chi…ma come?
Tutte domande che, ovviamente, per il momento non possono trovare risposta. Ragiono un attimo: alle 17:50 del 17 Maggio mancano ancora un po’ di ore. Bisogna che vada in questo posto –mai sentito – dove magari troverò qualche risposta. Intanto posso dormire un po’, ne ho proprio bisogno. E quello strano sogno che ho fatto? Mah, cercherò poi di ricavarne qualche senso, mi dico, intanto devo riposare.
Sbarbato e ripulito e – devo dire con sollievo – riposato, eccomi lì a cercare su Google la taverna dell’Infilzato. Scopro che il nome vero e proprio è “All’infilzato d’Amore” e si trova a poche centinaia di metri da casa mia. E’ il locale più antico della città, risalente addirittura al XVIII secolo: “Established 1750” ! Ma se non l’avevo nemmeno mai sentito nominare, e per di più così vicino a dove abito io!
Cammino rapidamente verso la meta, con una sensazione di ineluttabilità, di essere ad una svolta nella mia vita: nemesi o destino?
Avvisto l’insegna di ferro penzolante da lontano, ancora prima di poter leggere il nome del locale: rappresenta un uomo piegato in avanti dalla cui schiena fuoriesce l’elsa di una spada a forma di cuore. Arrivo sotto l’insegna proprio mentre dalla parte opposta arriva Regina.
Ci guardiamo, sbigottiti, increduli, quasi spaventati. Nessuno osa parlare per primo, poi siccome le donne in questo hanno qualche vantaggio su noi maschietti, lei quasi strillando mi fa:
“Signor Sebastian! Anche lei qui!”
“E lei? Perchè…come mai….?”
“La mia sveglia digitale! Stanotte, prima dell’alba, ha emesso il solito suono di quando la punto sulle 7:33, ma quando l’ho guardata, ho visto che erano le 3:33; poi è apparso sullo schermo un messaggio scritto in lettere luminose rosse con il nome di questo locale e un orario: 17:50. Così…ho pensato che fosse importante venire qui. E lei?”
Le raccontai l’accaduto.
“Ma lei lo conosceva questo locale?” Le faccio.
“Mai sentito. E dire che abito a meno di un chilometro da qui!”
“Senta, è meglio che ci sbrighiamo: sono le 17 e 49”.
Entriamo. Ci accoglie l’interno di un vascello settecentesco, riprodotto fedelmente in ogni particolare. O si tratta piuttosto dell’arredo originale, visto che è un locale del ‘700? Ci viene incontro un cameriere, abbigliato in tenuta marinara nello stile dell’epoca. Molto originale. Ma riconosco in lui, mentre si avvicina, il mio amico medico!
“Edwin! Ma che ci fai, conciato così?”
“Suppongo che il signore mi stia confondendo con qualcun altro”, dice con un sorriso indulgente “perchè io mi chiamo Roger”. E senza aggiungere altro ci fa cenno di seguirlo verso un tavolo appartato. E’ stranissimo: è proprio Edwin sputato. Non sapevo che due individui si potessero assomigliare in maniera così impressionante.
“Posso consigliarvi l’aperitivo della casa?”
Regina ed io ci guardiamo e assentiamo. Ci porta due bicchieri contenenti un liquido di un azzurro intenso. Dapprima penso che si tratti di Curaçao o di Bols, ma quando lo assaggio capisco che un gusto così non assomiglia a niente: è semplicemente ….perfetto. E non sembra neanche alcoolico. Faccio un cenno al solito cameriere, che staziona nei paraggi, e gli chiedo:
“Ottimo! Ma che cosa c’è dentro?”
“Bè, sapete com’è…il nostro barman, come tutti, è geloso dei suoi segreti, così non vi posso rivelare gli ingredienti…ma lui lo ha soprannominato “sorprese della vita”.
Poi si eclissa, ma io e Regina non facciamo in tempo ad aprire bocca per scambiarci le idee che riappare.
“I signori sono desiderati in coperta dal capitano”
Proprio mentre registro con stupore quest’ultima parola, mi rendo conto che il locale si muove e ondeggia proprio come una nave! Trasportati e ammutoliti dalla stessa evidente follia della situazione, Regina ed io non possiamo far altro che avviarci su per l’angusta scala di legno che il solerte cameriere ci indica. Dopodichè sparisce, cosa che sembra essere la sua specialità.
Sbuchiamo su quello che è, indubbiamente, il ponte di un veliero del settecento, onde e mare e spruzzi in faccia inclusi.
“Benvenuti a bordo della Parnassus!” Ci dice venendoci incontro il capitano. Non c’è nessun altro sul ponte della nave oltre a lui, a quanto pare.
“Ci conosciamo?” Faccio io, perchè il suo volto mi pare familiare.
“Può darsi di sì come può darsi di no” mi risponde. A queste sue parole mi viene in mente dove l’ho visto: è quel famigerato Maestro della Forma del mio sogno!
“Il sogno spesso si accavalla con la realtà” mi dice. Ineffabile come sempre, mi ha letto nel pensiero.
“Non la chiamerà realtà, questa , no?”
“Bè….è un tipo di realtà, forse diversa da quella a cui siete abituati.”
Regina segue lo scambio di battute esterrefatta, con gli occhi spalancati. La guardo e mi viene da pensare – anche se mi rendo conto che non è esattamente il momento più adatto – che è proprio carina, con quegli occhi verde-grigio e i capelli biondi che le scendono sulle spalle, la bocca finissima.
“Ma mi vuol spiegare che cosa succede, signor Sebastian?”
“Regina, forse è meglio che ci diamo del tu….perchè prevedo che da questa specie di sogno o di incubo non ne usciremo tanto presto. E quanto allo spiegare…forse il nostro buon…capitano sarà in grado di farlo, perchè io non ci capisco niente.”
“E’ presto detto. Lei mi ha chiesto, nel corso del nostro ultimo incontro, notizie del suo amico, il signor Zapotecky….Lazlo….”
Regina sobbalza a queste parole, e le si legge in volto l’angoscia.
“E allora?”
“Ecco…lui ha armeggiato con il trasformatore dimensionale che, come si ricorderà, le era stato inserito nel collo…”
“Ma quello era un sogno!”
“Oh, niente affatto!”
“Sebastian! Si trattava di quella specie di chip?” Chiede Regina.
“Sì….ma poi ti spiegherò, appena posso”
“Le conviene farlo ora” interloquisce il Maestro- Capitano. Così spiego tutto a Regina.
“Oh! Mio Dio!” Sono le prime parole della ragazza dopo il mio racconto.
“Insomma, che cosa ci può dire di Lazlo?” chiedo io con una certa veemenza al padrone di casa.
“Si calmi, Sebastian, e anche lei, Regina. Allora, riepiloghiamo il tutto. Noi abbiamo inserito il trasformatore in lei, Sebastian, perchè, dal nostro punto di osservazione, era evidente che i suoi scritti denotavano una comprensione intuitiva del piano di realtà che noi rappresentiamo…”
“Come…come facevate a sapere che io sono uno scrittore….e chi sono questi VOI di cui lei mi ha già parlato?”
“Noi siamo….bè, come poterlo esprimere in maniera comprensibile? Forse non è neanche del tutto importante in questo momento, almeno rispetto a quanto ciò che a voi due più preme, quindi se non le dispiace affronteremo più avanti questo argomento. Ora, il trasformatore che le era stato impiantato era per monitorare la sua vita interiore e gradualmente far convergere le sue intuizioni con la realtà dimensionale che esse avevano penetrato. Per accompagnarlo fin sulla soglia, in un certo senso, come facciamo con tutti coloro che si staccano, almeno con una parte di sè, dal mondo materiale e volgono lo sguardo verso altri mondi a cui li guida la loro anima. In altre parole, al momento opportuno lei sarebbe semplicemente stato assorbito dalla nostra dimensione, perchè ciò è quel che voleva la sua anima. Ma una parte di lei forse non era pronta o si è ribellata; o forse era ancora troppo sintonizzata sul materiale, perchè lei si è accorto dell’impianto. La scelta umana è sempre il momento discriminatore, anche se inconscia: evidentemente lei voleva restare.
“Ora, il fatto è che il trasformatore era sintonizzato sulla sua particolare qualità vibratoria, e quindi poteva funzionare solo per lei, Sebastian; nel momento in cui il sig. Zapotecky si è immischiato e ha sottoposto il trasformatore a certi processi elettronici, è andato a sollecitare energie che non solo per lui erano incontrollabili, ma che costituivano un vero pericolo…mi spiego con un esempio metaforico: era come se, nel bel mezzo di una sinfonia, il primo violinista avesse preso una stecca tremenda. Tutto il pubblico avrebbe risentito di questa interferenza e si sarebbe immediatamente e automaticamente sintonizzato sulla nota discordante, che avrebbe annullato tutto il precedente input musicale, pur se di altissimo livello, e l’impressione lasciata da quella scia stonata avrebbe influito sul resto del concerto, anche musicalmente, inducendo all’errore anche altri dei musicisti dell’orchestra.
“Insomma, il sig. Zapotecky è stato assorbito da una dimensione che non è la sua, sebbene rifletta in qualche modo le sue caratteristiche; ma là è certamente fuori posto, e non è il suo destino che rimanga là”.
Regina ed io siamo entrambi in preda allo sgomento.
“Ma allora…che si può fare?”
“E’ per questo – e anche per un altro motivo, che poi vi apparirà chiaro a suo tempo –che vi ho convocati qui”
“Ma perchè questa messinscena della nave?”
“Ma cosa volete…un po’ di teatralità non guasta….forse è il mio punto debole. Comunque eccoci arrivati”
“Dove?”
“Sull’isola selvaggia che rappresenta, in chiave di forma-pensiero concretizzata materialmente, la realtà che sta vivendo il vostro amico”
“Come come?” strilla Regina.
“Ecco, come vi dicevo, il trasformatore su cui il sig. Zapotecky ha tentato qualche operazione non del tutto scevra di interesse personale….”
“Cosa intende insinuare?” Lo interrompe Regina indignata.
Il Maestro della Forma emette un sospiro.
“Signorina Regina, la prego, mi ascolti . Il suo principale non è…purtroppo….quello che lei credeva. Nessuno, come lei dovrebbe sapere, in genere raggiunge quel tipo di posizione nel mondo – nel vostro mondo, intendo – senza che abbia portato a termine, a qualche livello, e intendo a qualsiasi livello, quindi non esclusivamente fisico, qualche azione riprovevole. Le basti sapere che il suo capo non è immune da colpe. Ma non voglio enfatizzare questo punto, bensì il fatto che nell’esaminare il nostro strumento, egli sperava di entrare in possesso di qualche tecnica d’avanguardia che gli avrebbe permesso di realizzare ulteriori profitti per la sua azienda. Certamente questa sua intenzione egoistica ha influito su ciò che gli è poi effettivamente successo guidando gli eventi: essere sbalzato su un livello di realtà non suo ma che in qualche modo corrisponde alle sue qualità interiori: insomma, una specie di condanna autopronunciata e autoeseguita. In altre parole, egli ha attivato il disfunzionamento del trasformatore dimensionale, modalità in cui ci si trova a confrontare energie molto potenti e negative, che tendono ad acuire la parte della persona che è più esposta a questo genere di azione, cioè i lati deboli, oscuri, deformando a dismisura – per via dell’effetto amplificato che si riscontra sui piani di realtà non fisici – non solo l’immagine della persona, ma tutta la sua percezione di sè come del mondo, e di conseguenza la sua realtà interiore. Come insegna perciò la vostra fisica quantistica , il sig. Lazlo ha effettuato un salto quantico della peggior specie. “
“E perciò?” fa Regina, sconvolta.
“Vedrete voi stessi” dice lui invitandoci a scendere da una scaletta di corda su di una scialuppa che l’onnipresente Roger aveva già provveduto a calare in acqua, e a cui dette l’impulso con i remi per farci poi sbarcare sulla spiaggia distante un centinaio di metri dalla nave.
Allo sbarco, immediata è la sensazione di oppressione che provo, e credo anche Regina, vista la sua espressione smarrita: l’isola tropicale, lungi dall’essere uno di quei paradisi terrestri a cui ci hanno abituato i depliant delle agenzie di viaggio, ha un aspetto minaccioso, cupo, quasi custodisse segreti ripugnanti. La sabbia è di un beige piuttosto scuro, il mare, agitato, è lercio di alghe e rifiuti vari, l’acqua è torbida.
“Buona fortuna , signori” ci grida il capitano, balzando nella scialuppa che si allontana prima che noi ci scuotiamo dalla sorpresa.
“Ehi! Ehi! Non ci lascerà mica qua da soli, no?” Gli urlo correndo verso la battigia, troppo tardi per fermarli.
“Ve la caverete benissimo”, dice la voce ormai attutita dalla distanza, i due marinai sono già là che si arrampicano sulla scaletta; e in men che non si dica, la nave salpa e scompare rapidamente all’orizzonte, manco avesse le turboeliche.
“E adesso?” Rivolgo uno sguardo di costernazione a Regina, che però non sembra abbattuta quanto lo sono io.
“Adesso, caro il mio Sebastian, voglio andare in fondo a questa faccenda e sbrigare un paio di conti con il nostro caro Lazlo!”
Mi sembra un’altra donna: decisa, ferma e determinata; sento di ammirarla , in questo momento, e mi dico: questa è la donna che ogni uomo vorrebbe al suo fianco…
Lei avanza risolutamente verso la foresta che bordeggia la spiaggia: vegetazione fitta, dove non penetra quasi il sole, un odore marcescente, altissima percentuale di umidità. Non mi resta che seguirla: adesso è lei la leader.
Schiaffeggiandoci a più non posso per uccidere gli insetti che si accalcano per succhiarci i liquidi come se facessero la fila davanti al museo per ammirare il David di Michelangelo, penetriamo sempre più nella giungla, fino ad udire delle voci in lontananza. Ancora poche centinaia di metri e sbuchiamo in una radura dove sorge quella che sembra una bidonville delle più degradate periferie metropolitane del terzo mondo: c’è tanfo di tutto, e diverse decine di individui dall’aspetto assai primitivo si aggirano attorno seminudi. Vedendoci arrivare ci circondano, donne e uomini cenciosi, sudici, puzzolenti: ancora altri ne escono dalle catapecchie che sorgono tutt’intorno, e fra grugniti e smorfie iniziano a spintonarci come se fossero dei selvaggi allo stato brado, mentre noto che la maggior parte di loro sono bianchi, soprattutto nordici. Uno di loro, pelato con gli occhi gonfi e semichiusi, si mette a strillare:
“Dal re! Portiamoli dal re!”
E ci afferrano, con quelle unghie lunghe, nere e sporche che me le sento ancora addosso, ci trascinano, ci strattonano, finchè arriviamo in prossimità di un tugurio un po’ più grande degli altri.
E là davanti a quella stamberga, semisdraiato su una specie di poltrona di bambù mezza scassata, con due luride ciccione tutte nude sulle ginocchia, ci troviamo….Lazlo! Ma la sua circonferenza addominale è tre-quattro volte tanto! Ha la barba lunga e incolta, e mastica e poi sputa, mastica e sputa…sono foglie di coca! Mentre palpeggia le due donnone di tanto in tanto afferra dal suolo delle ossa di pollo mezze spolpate, tutte sporche di terra, e se le ficca in bocca…uno spettacolo abominevole.
L’abietto individuo che una volta era il mio amico, quando alla fine gli arriviamo davanti e ci fanno inginocchiare a forza davanti a lui per prima cosa ci rutta in faccia, devastandoci con il suo alito fetido.
“Ah…ma guarda un po’….siete voi: quell’idiota dello scrittore romantico e quell’oca cornuta della mia segretaria!”
“Ma che ti prende Lazlo !?…Come puoi trattarmi così?” Gli fa lei, tremando dall’emozione.
“Lazlo, ma che ti è successo?” Lo apostrofo io praticamente gridando dallo shock.
“E che mi deve succedere, stupidotti? Grassa è la vita! Ahahah! E qui hanno subito riconosciuto il mio talento, la mia autorità naturale! Piuttosto, che ci fate voi qua?”
“Lazlo, in nome del nostro amore….” inizia a dire Regina, quasi in lacrime.
“Amore? Uah ah ah! Ma quale amore? Sei proprio scema , ragazza mia, altro che amore! Di te mi piaceva una sola cosa, quella che hai tra le gambe! E come di te, di tutte le altre che mi ronzavano intorno!”
A questo punto, io che le sono vicino percepisco l’ira che monta in petto a Regina… un aumento della sua temperatura corporea talmente forte che mi pare lei stia diventando incandescente.
“Tu, individuo inqualificabile!…e noi che eravamo tanto in pena per te! Questo è per tutti gli anni che ho passato a farmi ingannare da te!”
E divincolandosi con un potente strattone dalla stretta dei selvaggi balza in piedi e con tutta la rabbia accumulata nei muscoli gli assesta un cazzotto portentoso, che credo gli abbia fratturato una mascella. Il neo-selvaggio si abbatte privo di sensi con un fracasso infernale sulla poltrona di bambù, distruggendola, e sulle sue ciccione, schiacciandole a terra sotto il suo peso.
Proprio mentre i suoi seguaci si riprendono dallo shock e fanno per balzarci addosso, presumibilmente per farci a brandelli, si sente il frastuono delle pale di un elicottero, che si abbassa rapidamente e si posa fra noi e loro.
“Presto! Saltate su!” E’ il nostro carissimo – mai quanto in questo momento – Maestro della Forma, e siamo lieti di obbedirgli. Mentre ci innalziamo in cielo guardo giù…ma non vedo più Lazlo! Dov’è finito?
“Missione compiuta, caro Sebastian! Sapevo di poter contare su di lei, cara Regina!”
“Ma che significa, che vuol dire?”
“Che siete riusciti a strappare il vostro….ehm….amico alla dimensione in cui era piombato per le sue ingerenze indebite con ciò che non gli competeva. Adesso finalmente si potrà avviare verso il suo vero destino”
“E sarebbe?”
“Oh, vedrete voi stessi….però adesso sarete stanchi, dovete riposare”
E il buio scende sui miei occhi, dopo un gesto del Maestro.
Mi sveglio, un caffè, guardo fuori dalla finestra: bella mattinata di inizio autunno, sole e cielo limpido. Faccio per mettermi al computer per finire il capitolo del libro che sto portando a termine quando mi viene voglia di leggere il giornale. Ma che….? Da quando in qua soffro di astinenza da informazione? …Ma tant’è, mi infilo il giubbotto e scendo giù per andare all’edicola, che dista qualche centinaio di metri da casa mia, ne approfitto per fare quattro passi, mi dico.
Passo davanti a un nuovo pub che hanno appena aperto, “All’infilzato d’Amore” si chiama. Non sanno più cosa inventarsi, mi dico. Però quel nome non mi è nuovo…ma dove l’ho sentito? Comunque, arrivo davanti all’edicola, e chi mi ritrovo di fronte?
“Regina! Che ci fai lei qui?”
“Sig. Sebastian, che sorpresa! Bè, ma io abito qui vicino…e sono venuta a comprare il giornale.”
“Sì, ma non dovrebbe essere in ufficio? E a proposito, come sta Lazlo?”
“Non troppo bene, direi: guardi qui.” E mi mostra, nella pagina della cronaca locale del giornale, un articolo dal titolo:
ARRESTATO NOTO IMPRENDITORE PER CORRUZIONE E CONCUSSIONE.
E il sottotitolo:
Lazlo Zapotecky, fondatore e amministratore delegato della “Bitingtime Corp.” è anche accusato di spionaggio industriale e di violazione della privacy.
Io rimango muto dallo schock, senza saper cosa dire, cosa pensare. E’ lei che rompe il silenzio.
“Adesso capisce perchè non sono al lavoro? Mi sono licenziata appena ho saputo: non voglio essere coinvolta nelle porcherie di un uomo che ora capisco che mi ha solo usata, anche a livello emotivo!”
“E adesso che farà?”
“Non ne ho idea”
“Senta, le va di fare colazione insieme? Sa, pensandoci bene io avrei bisogno di un editor che sappia il fatto suo, e lei mi sembra la persona ideale….”
“Parliamone” mi fa lei con un sorriso accattivante.
Nel Pub dell’Infilzato d’Amore ci serve al tavolo un cameriere che somiglia tantissimo a un mio amico, Edwin de Boer, che è anche il mio medico personale. Faccio per dirglielo ma poi mi dico: ma no, è solo una coincidenza.
Ma anche il barista mi sembra familiare.
E’ strano, mi è sembrato che mi abbia strizzato l’occhio mentre versava a un cliente uno strano cocktail dal colore azzurrastro.
Simone Sutra – itdavol@tin.it