Giuseppe Turrisi: “Ancora morti bianche sul lavoro! Quanti morti servono per svegliarci?”
Forse ancora molti…. nonostante i proclami, gli impegni, le bocche piene di discorsi sulla sicurezza, la verità è miseramente un’altra.
La sicurezza non si fa con le parole, la sicurezza si fa solo investendo risorse seriamente e cospicuamente.
Per intervenire su questi assassinii, perché si tratta di omicidi veri e propri, solo che non si riesce ad individuare l’omicida poiché esso grazie ad una legge sempre troppo interpretabile è frammentato su diverse responsabilità, di deve operare con determinazione e convinzione e senza secondo fini speculativi. Come ho sempre detto “la sicurezza o è per tutti o non è sicurezza” deve coinvolgere tutti poiché tutti sono deputati a fare la sicurezza per se stessi e per gli altri.
La mancanza di cultura della sicurezza in generale ed ad ogni livello è il problema di fondo, ancora oggi si continua a pensare che il lavoro sia una cosa e la sicurezza un’altra cosa, niente di più sbagliato esiste solo il “lavoro sicuro”, nei corsi che facciamo con l’associazione A.N.E.S.A. una delle fatiche più grosse, soprattutto con gli imprenditori è quella di far capire che non esiste “quello che si occupa di sicurezza” nella azienda, e a lato c’è tutto il processo produttivo; ma esiste si, l’esperto di sicurezza (il RSPP) ma la realizzazione (attuazione) della sicurezza passa per tutti quelli che fanno l’azienda dall’amministratore delegato passando per tutta la gerarchia fino all’ultimo usciere e tutti di fatto sono attuatori di sicurezza e possono essere (diventare) “preposti” di “fatto” e senza nessun incarico specifico (art. 299 dlgs 81/08).
Tutto ciò diventa ancora più difficile da capire perché si ha a che fare con il concetto di “responsabilità” e l’umana natura in generale con l’aggiunta dell’italianità di fatto tende ad allontanare qualsiasi tipo di responsabilità.
Quando tentammo di fondare la L.U.W. (libera università del web) all’interno vi era (c’è ancora ma stiamo cercando un finanziatore) una facoltà che chiamammo “sicurologia”; ci furono gli imbecilli di turno, che subito non capirono a cosa potesse servire una facoltà di “sicurologia”, e derideva in un post, dicendo voglio proprio sapere chi l’ha inventata e a cosa serve, in un articolo risposi che, proprio l’assenza di “cultura della sicurezza” ci fa capire subito, cosa faccia un avvocato, un medico, un agronomo, un commerciante, un economista, ecc ma non riusciamo a capire, nonostante migliaia di morti l’anno per incidenti, per alcol, per droga, sul lavoro ecc, un “sicurologo” cosa mai potrebbe fare, un esperto della sicurezza che partendo dalla salvaguardia della vita umana in ogni sua forma e sopra ogni cosa studi la sicurezza a 360 gradi, ma questa è la cultura della sicurezza in Italia.
L’assenza totale di esperienza e conoscenza, ancora purtroppo relegata a pochi (pochissimi) che la studiano e la promulgano seriamente (ci sono molte università ed associazioni, a dire il vero, ma senza un coordinamento sinergico nazionale di divulgazione, studiano come monadi senza poi spostare questa conoscenza verso il basso, verso il popolo facendola rimanere materia di pura accademica), è necessario rendere il messaggio efficace e diffuso ma questo contrasta con gli obbiettivi di marginalizzazione dei profitti, proprio perché la sicurezza ancora è vista come un costo.
Inoltre in chi fa la sicurezza, c’è troppa improvvisazione, ebbene la sicurezza è proprio il contrario e lo studio delle cose prima, lo studio dei rischi, lo studio di come eliminarli, di come ridurli in una parola prevenzione. La prevenzione nasce solo dall’”esercizio continuo” della sicurezza. L’attività di riduzione dei rischi di studio di prevenzione di prevenzione di gestione della sicurezza è una “attività permanente”. Se questa attività viene relegata ad un momento l’anno, ad un corso fine a se stesso, diventa quasi inutile e rasenta la beffa, ed è proprio li l’errore una sicurezza fatta male non è sicurezza.
La sicurezza poi, in un mondo economico come il nostro ossia quello in cui la tassazione delle imprese non accenna a diminuire ansi aumenta sempre e non potrebbe essere altrimenti vista la perdita di sovranità monetaria, e dove il concetto della massimizzazione dei profitti mette in secondo piano ogni altra attività, è vista come costo da abbattere, da tagliare tutto per realizzare profitto, e certe volte per rimanere aperti. I costi della sicurezza infatti dovrebbero essere in compartecipazione e non addossati tutti sul datore di lavoro, anche se con lo strumento del virtuosismo qualcosa si è mosso, ma è sempre molto poco.
In fine la legislazione italiana delega quasi completamente, e lasciandolo solo, l’imprenditore datore di lavoro a dover affrontare il sistema sicurezza con le proprie risorse, le proprie conoscenze, le proprie sensibilità. L’imprenditore italiano spesso è un self-made e quindi manca di sensibilità e formazione sulle nuove frontiere della sicurezza e su come questa vada fatta funzionare, ancora resiste il concetto “ ho dato incarico a tizio e ci pensa lui a fare tutte le carte”, da queste risposte (nel migliore dei casi) si capisce come la sicurezza non coinvolga pienamente il datore di lavoro rendendolo veramente partecipe e responsabile di quello che veramente è la sicurezza.
Servirebbe una legge per esempio che chiunque voglia aprire una impresa ed assumere del personale faccia un corso/esame sulla sicurezza (dlgs81/08).
Lo stato con l’esasperazione del “debito pubblico” ha portato agli estremi le privatizzazioni, gli accorpamenti, i tagli, (dovuti in larga parte alla ormai persa sovranità monetaria e alla distribuzione clientelare delle risorse, non che allo sperpero di istituzioni inutili) ha fatto si che gli organismi preposti al controllo (servizi ispettivi del ministero del lavoro, delle ASL) diventassero inappropriati, ed inadeguati, in quantità, qualità, competenza. Il controllo anche preventivo di un ente preposto super partes diventa attività seria di prevenzione, è quasi inutile inasprire le pene che poi non arrivano mai e quando arrivano se arrivano non servono a niente.
Lo stato non deve solo legiferare fornendo strumenti giuridici validi chiari, e soprattutto non interpretabili, deve anche mettersi in “prima persona” a controllare, promulgare, diffondere formare, e fare attività di prevenzione con controlli ispettivi e verifiche serie e continue.
In ultimo si può dire che dalla esperienza si deve imparare, chi non impara dalla esperienza commetterà sempre gli stessi sbagli ebbene per alcune tipologia di attività come si sa è necessario un piano speciale operativo di sicurezza che deve essere approvato dalla ASL (per esempio lo smaltimento dell’amianto) poiché ormai le morti per asfissia in serbatoi, silos, camere interrate cominciano a diventare una statistica preoccupante si faccia una legge dove tali lavorazioni siano soggette o controllo preventivo e validazione del Piano Operativo Speciale di Sicurezza prima di avviare l’attività con un preciso protocollo.
Giuseppe Turrisi – <giuseppeturrisi@yahoo.it>