“Luigi De Marchi ed il Cancro Spa” – Saggio di Marcello Pamio sulle terapie invasive e sui tumori inventati

Luigi De Marchi, psicologo clinico e sociale, autore di numerosi saggi

conosciuti a livello internazionale, parlando con un amico

anatomo-patologo del Veneto sui dubbi dell’utilità delle diagnosi e

delle terapie anti-tumorali, si sentì rispondere: «Sì, anch’io ho

molti dubbi. Sapessi quante volte, nelle autopsie sui cadaveri di

vecchi contadini delle nostre valli più sperdute ho trovato tumori

regrediti e neutralizzati naturalmente dall’organismo: era tutta gente

che era guarita da sola del suo tumore ed era poi morta per altre

cause, del tutto indipendenti dalla patologia tumorale»[1].

«Se la tanto conclamata diffusione delle patologie cancerose negli

ultimi decenni – si chiese Luigi De Marchi – in tutto l’Occidente

avanzato fosse solo un’illusione ottica, prodotta dalla diffusione

delle diagnosi precoci di tumori che un tempo passavano inosservati e

regredivano naturalmente? E se il tanto conclamato incremento della

mortalità da cancro fosse solo il risultato sia dell’angoscia di morte

prodotta dalle diagnosi precoci e dal clima terrorizzante degli

ospedali, sia della debilitazione e intossicazione del paziente

prodotte dalle terapie invasive, traumatizzanti e tossiche della

Medicina ufficiale. Insomma, se fosse il risultato del blocco che

l’angoscia della diagnosi e i danni delle terapie impongono ai

processi naturali di regressione e guarigione dei tumori?”.[2]

 

Con quanto detto da Luigi De Marchi – confermato anche da autopsie

eseguite in Svizzera su cadaveri di persone morte non per malattia -

si arriva alla sconvolgente conclusione che moltissime persone hanno

(o avevano) uno o più tumori, ma non sanno (o sapevano) di averli.

In questa specifica indagine autoptica (autopsie) fatta in Svizzera,

ed eseguita su migliaia di persone morte in incidenti stradali (quindi

non per malattia), è risultato qualcosa di sconvolgente:

- Il 38% delle donne (tra i 40 e 50 anni) presentavano un tumore (in

situ) al seno;

- Il 48% degli uomini sopra i 50 anni presentavano un tumore (in situ)

alla prostata;

- Il 100% delle donne e uomini sopra i 50 anni presentavano un tumore

(in situ) alla tiroide.[3]

 

Con tumore in situ s’intende un tumore chiuso, chiuso nella sua

capsula, non invasivo che può rimanere in questo stadio per molto

tempo e anche regredire.

Nel corso della vita è infatti “normale” sviluppare tumori, e non a

caso la stessa Medicina sa bene che sono migliaia le cellule tumorali

prodotte ogni giorno dall’organismo.

Queste, poi, vengono distrutte e/o fagocitate dal Sistema Immunitario,

se l’organismo funziona correttamente.

Molti tumori regrediscono o rimangono incistati per lungo tempo quando

la Vis Medicratix Naturae (la forza risanatrice che ogni essere

vivente possiede) è libera di agire.

Secondo la Medicina Omeopatica , la “Legge di Guarigione descrive il

modo con cui tale forza vitale di ogni organismo reagisce alla

malattia e ripristina la salute”.[4]

Cosa succede alla Legge di Guarigione, al meccanismo vitale di

autoguarigione, se dopo una diagnosi di cancro la vita viene

letteralmente sconvolta dalla notizia del male?

E cosa succede all’organismo (e al Sistema Immunitario) quando viene

fortemente debilitato dai farmaci?

Ulteriori dati poco conosciuti

Poco nota al grande pubblico è la vasta ricerca condotta per 23 anni

dal prof. Hardin B. Jones, fisiologo dell’Università della California,

e presentata nel 1975 al Congresso di cancerologia presso l’Università

di Berkeley. Oltre a denunciare l’uso di statistiche falsate, egli

prova che i malati di tumore che NON si sottopongono alle tre terapie

canoniche (chemio, radio e chirurgia) sopravvivono più a lungo o

almeno quanto coloro che ricevono queste terapie. [5]

Il prof. Jones dimostra che le donne malate di cancro alla mammella

che hanno rifiutato le terapie convenzionali mostrano una

sopravvivenza media di 12 anni e mezzo, quattro volte superiore a

quella di 3 anni raggiunta da coloro che si sono invece sottoposte

alle cure complete.[6]

Un’altra ricerca pubblicata su The Lancet del 13/12/1975 (che riguarda

188 pazienti affetti da carcinoma inoperabile ai bronchi), dimostra

che la vita media di quelli trattati con chemioterapia è stata di 75

giorni, mentre quelli che non ricevettero alcun trattamento ebbero una

sopravvivenza media di 120 giorni.[7]

Se queste ricerche sono veritiere, una persona malata di tumore ha

statisticamente una percentuale maggiore di sopravvivenza se non segue

i protocolli terapeutici ufficiali.

Con questo non si vuole assolutamente spingere le persone a non farsi gli esami, gli screening e i trattamenti oncologici ufficiali, ma si vogliono fornire semplicemente, delle informazioni che normalmente vengono oscurate, censurate e che possono, proprio per questo, aiutare la scelta terapeutica di una persona.  Ma ricordo che la scelta è sempre e solo individuale: ogni persona sana o malata che sia, deve assumersi la propria responsabilità, deve prendere in mano la propria vita. Dobbiamo smetterla di delegare il medico, lo specialista, il mago, il santone che sia, per questo o quel problema.

 

Dobbiamo essere gli unici artefici della nostra salute e nessun altro

deve poter decidere al posto nostro.

Possiamo accettare dei consigli, quelli sì, ma niente più. 

I pericoli della chemioterapia

Il principio terapeutico della chemioterapia è semplice: si usano

sostanze chimiche altamente tossiche per uccidere le cellule

cancerose.

Il concetto che sta alla base di questo ragionamento limitato e

assolutamente materialista è che alcune cellule, a causa di fattori

ambientali, genetici o virali, impazziscono iniziando a riprodursi

caoticamente creando delle masse (neoplasie).

La Medicina perciò tenta di annientare queste cellule con farmaci

citotossici (cioè tossici per le cellule). Tuttavia, questa feroce

azione mortale, non essendo in grado di distinguere le cellule sane da

quelle neoplastiche (impazzite), cioè i tessuti tumorali da quelli

sani, colpisce e distrugge l’intero organismo vivente.

Ci hanno sempre insegnato che l’unica cura efficace per i tumori è

proprio la chemioterapia, ma si sono dimenticati di dirci che queste

sostanze di sintesi sono dei veri e propri veleni. Solo chi ha provato

sulla propria pelle le famose iniezioni sa cosa voglio dire.

 

«Il fluido altamente tossico veniva iniettato nelle mie vene.

L’infermiera che svolgeva tale mansione indossava guanti protettivi

perché se soltanto una gocciolina del liquido fosse venuta a contatto

con la sua pelle l’avrebbe bruciata. Non potei fare a meno di

chiedermi: ‘Se precauzioni di questo genere sono richieste

all’esterno, che diamine sta avvenendo nel mio organismo?’. Dalle 19

di quella sera vomitai alla grande per due giorni e mezzo. Durante la

cura persi manciate di capelli, l’appetito, la colorazione della

pelle, il gusto per la vita. Ero una morta che camminava».

[ Testimonianza di una malata di cancro al seno ]

Un malato di tumore viene certamente avvertito che la chemio gli

provocherà (forse) nausea, (forse) vomito, che cadranno i capelli,

ecc.

Ma siccome è l’unica cura ufficiale riconosciuta, si devono stringere

i denti e firmare il consenso informato, cioè si sgrava l’Azienda

Ospedaliera o la Clinica Privata da qualsiasi problema e

responsabilità.

Le precauzioni del personale infermieristico che manipolano le

sostanze chemioterapiche appena lette nella testimonianza, non sono

una invenzione. L’Istituto Superiore di Sanità italiano ha fatto

stampare un fascicolo dal titolo “Esposizione professionale a

chemioterapici antiblastici” per tutti gli addetti ai lavori, cioè per

coloro che maneggiano fisicamente le fiale per la chemio (di solito

infermieri professionali e/o medici). Fiale che andranno poi iniettate

ai malati.

 

Alla voce Antraciclinici (uno dei chemioterapici usati) c’è scritto

che dopo la sua assunzione può causare: “Stomatite, alopecia e

disturbi gastrointestinali sono comuni ma reversibili. La

cardiomiopatia, un effetto collaterale caratteristico di questa classe

di chemioterapici, può essere acuta (raramente grave) o cronica

(mortalità del 50% dei casi). Tutti gli antraciclinici sono

potenzialmente mutageni e cancerogeni”.[8]

Alla voce Procarbazina (un altro dei chemioterapici usati) c’è scritto

che dopo la sua assunzione può causare: “E’ cancerogena, mutagena e

teratogena (malformazione nei feti) e il suo impiego è associato a un

rischio del 5-10% di leucemia acuta, che aumenta per i soggetti

trattati anche con terapia radiante”.

 

In un altro documento, sempre del Ministero della Sanità (Dipartimento

della Prevenzione – Commissione Oncologica Nazionale) dal titolo

“Linee-guida per la sicurezza e la salute dei lavoratori esposti a

chemioterapici antiblastici in ambiente sanitario” (documento

pubblicato dalle Regioni e Province Autonome di Trento e Bolzano) c’è

scritto: “Uno dei rischi rilevati nel settore sanitario è quello

derivante dall’esposizione ai chemioterapici antiblastici. Tale

rischio è riferibile sia agli operatori sanitari, che ai pazienti”.

Qui si parla espressamente dei rischi per operatori e pazienti.

 

Il documento continua dicendo: “Nonostante numerosi chemioterapici

antiblastici siano stati riconosciuti dalla IARC (International Agency

for Research on Cancer) e da altre autorevoli Agenzie internazionali

come sostanze sicuramente cancerogene o probabilmente cancerogene per

l’uomo, a queste sostanze non si applicano le norme del Titolo VII del

D.lgs n. 626/94 ‘Protezione da agenti cancerogeni’. Infatti,

trattandosi di farmaci, non sono sottoposti alle disposizioni previste

dalla Direttiva 67/548/CEE e quindi non è loro attribuibile la

menzione di R45 ‘Può provocare il cancro’ o la menzione R49 ‘Può

provocare il cancro per inalazione’”.

Quindi queste sostanze, nonostante provochino il cancro, non possono

essere etichettate come cancerogene (R45 e R49) semplicemente perché

sono considerate “farmaci”.

Questa informazione è molto interessante.

Andiamo avanti: “Nella tabella 1 [vedi sotto, ndA] è riportato un

elenco, non esaustivo, dei chemioterapici antiblastici che sono stati

classificati dalla IARC nel gruppo ‘cancerogeni certi per l’uomo’ e

nel gruppo ‘cancerogeni probabili per l’uomo’. L’Agenzia è arrivata a

queste definizioni prevalentemente attraverso la valutazione del

rischio ‘secondo tumore’ che nei pazienti trattati con chemioterapici

antiblastici può aumentare con l’aumento della sopravvivenza. Infatti,

nei pazienti trattati per neoplasia è stato documentato lo sviluppo di

tumori secondari non correlati con la patologia primitiva”.

 

Tabella 1

Cancerogeni per l’uomo: Butanediolo dimetansulfonato (Myleran) -

Ciclofosfamide – Clorambucil -

1(2-Cloretil)-3(4-metilcicloesil)-1-nitrosurea (Metil-CCNU) -

Melphalan – MOPP (ed altre miscele contenenti alchilanti) -

N,N-Bis-(2-cloroetil)-2-naftilamina (Clornafazina) -

Tris(1-aziridinil)fosfinsolfuro (Tiotepa)

Probabilmente cancerogeni per l’uomo: Adriamicina – Aracitidina -

1(2-Cloroetil)-3-cicloesil-1nitrosurea (CCNU) – Mostarde azotate -

Procarbarzina

Certamente si tratta di un elenco incompleto perché, sfogliando una

trentina di bugiardini di chemioterapici, mancano diverse molecole

cancerogene per ammissione stessa dei produttori.

In conclusione, il documento sulle “linee guida” riporta alla voce

“Smaltimento”: “Tutti i materiali residui dalle operazioni di

manipolazione dei chemioterapici antiblastici (mezzi protettivi,

telini assorbenti, bacinelle, garze, cotone, fiale, flaconi, siringhe,

deflussori, raccordi) devono essere considerati rifiuti speciali

ospedalieri. Quasi tutti i chemioterapici antiblastici sono sensibili

al processo di termossidazione (incenerimento), per temperature

intorno ai 1000-c La termossidazione, pur distruggendo la molecola

principale della sostanza, può comunque dare origine a derivati di

combustione che conservano attività mutagena. È pertanto preferibile

effettuare un trattamento di inattivazione chimica (ipoclorito di

sodio) prima di inviare il prodotto ad incenerimento. Le urine dei

pazienti sottoposti ad instillazioni endovescicali dovrebbero essere

inattivate prima dello smaltimento, in quanto contengono elevate

concentrazioni di principio attivo”.

Queste sostanze, che vengono sistematicamente iniettate nei malati,

anche se incenerite a 1000°C “conservano attività mutagena”.

Ma che razza di sostanze chimiche sono mai queste?

La spiegazione tra poche righe.

 

L’amara conclusione, che si evince dall’Istituto Superiore di Sanità,

è che l’oncologia moderna per curare il cancro utilizza delle sostanze

chimiche che sono cancerogene (provocano il cancro), mutagene

(provocano mutazioni genetiche) e teratogene (provocano malformazioni

nei discendenti).

 

C’è qualcosa che non torna: perché ad una persona sofferente dal punto

di vista fisico, psichico e morale, debilitata e sconvolta dalla

malattia, vengono iniettate sostanze così tossiche?

Questo apparente controsenso – se non si abbraccia l’idea che qualcuno

ci sta coscientemente avvelenando – si spiega nella visione

riduzionista e totalmente materialista che ha la Medicina , ma questo

è un argomento che affronteremo più avanti.

 

In Appendice sono stati pubblicati alcuni degli effetti collaterali

(scritti nei bugiardini dalle lobby chimico-farmaceutiche che li

producono) di circa trenta farmaci chemioterapici.

Uno per tutti: l’antineoplastico denominato Alkeran® (50 mg/10 ml:

polvere e solvente per soluzione iniettabile che contiene come

eccipiente: “acido cloridrico”) della GlaxoSmithKline. “Un alchilante

analogo alla mostarda azotata”. Alchilante è un farmaco capace di

combinarsi con gli elementi costitutivi della cellula provocandone la

sua alterazione.[9]

Dal bugiardino si evince che questa sostanza chimica (usata nei malati

tumorali), oltre a provocare la leucemia acuta (“è leucemogeno

nell’uomo”), causa difetti congeniti nella prole dei pazienti

trattati.

Alla voce “Eliminazione”, viene confermato quanto riportato sopra:

“L’eliminazione di oggetti taglienti, quali aghi, siringhe, set di

somministrazione e flaconi deve avvenire in contenitori rigidi

etichettati con sigilli appropriati per il rischio.

Il personale coinvolto nell’eliminazione (dell’Alkeran) deve adottare

le precauzioni necessarie ed il materiale deve essere distrutto, se

necessario, mediante incenerimento”.

Incenerimento, come abbiamo letto prima, alla temperatura di 1000-1200 gradi!

La spiegazione è che queste sostanze sono analoghe alle “mostarde azotate”.

Il sito del Ministero della Salute italiano, alla voce “Emergenze

Sanitarie”, si esprime così: “Le mostarde azotate furono prodotte per

la prima volta negli anni ’20 e ’30 come potenziali armi chimiche. Si

tratta di agenti vescicatori simili alle mostarde solforate che si

presentano in diverse forme e possono emanare un odore di pesce,

sapone o frutta. Sono note anche con la rispettiva designazione

militare HN-1, HN-2 e HN-3. Le mostarde azotate sono fortemente

irritanti per pelle, occhi e apparato respiratorio. Sono in grado di

penetrare nelle cellule in modo molto rapido e di causare danni al

sistema immunitario e al midollo osseo (…) che si manifestano già dopo

3-5 giorni dall’esposizione, che causano anche anemia, emorragie e un

maggiore rischio di infezioni. Quando questi effetti si presentano in

forma grave, possono condurre alla morte”.[10]

Per “curare” il tumore oggi vengono utilizzati degli ‘agenti

vescicanti’: prodotti militari usati nelle guerre chimiche.

Anche se la ”guerra al cancro” viene portata avanti con ogni mezzo

dall’establishment, ritengo che ci sia un limite a tutto.

 

Mi asterrò dal recar danno e offesa.

Non somministrerò ad alcuno,

neppure se richiesto, un farmaco mortale.

[ Giuramento di Ippocrate ]

Marcello Pamio – tratto da “Cancro Spa: leggere attentamente le avvertenze

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