Treia (Macerata), notizie storiche – Creando un “appeal” per la prima grande celebrazione della Luna Piena, il 25 e 26 luglio 2010
Si avvicina la data fatidica del 25 e 26 luglio 2010 in cui celebrare la Luna Piena a Treia…
Andare a Treia? No problem.. basta offrire un po’ di sana pubblicità, sperando che la voglia di “viaggiare” insita dentro ciascun libero “esploratore” di questo nostro splendido Universo, si lasci catturare amichevolmente dalle nostre parole, rivolte, con immenso piacere, alla piccola e speciale cittadina di Treia!
Caterina Regazzi, Paolo D’Arpini e Sonia Baldoni invitano tutti gli amici vecchi e nuovi ad affrontare un’avventura meravigliosa da condividere e da raccontare….
DOMENICA 25 LUGLIO 2010, alle h. 10.30, passeggiata assieme a Sonia Baldoni per conoscere i luoghi e per scoprire i sentierini nel verde che circondano Treia, riconoscendo erbe spontanee e quant’altro. Si terrà un convivio con il cibo vegetariano da ognuno portato a pranzo, il pomeriggio ascoltiamo le tesi di Sonia sul significato delle Rune (sul tema di erbe magiche e rune vedere articoli su www.viverecongioia.org ).
Lunedì 26 luglio 2010, che corrisponde alla luna piena, si terrà nella “cave”, dalle h. 10.00 del mattino sino alle h. 13.00 la consueta condivisione di esperienze su reincarnazione e metempsicosi. Segue pranzo con il cibo vegetariano da ognuno portato. La vesseille é collettiva. Il pomeriggio sessione di canto e meditazione e verso sera deambulazione in senso orario attorno alla rupe esterna di Treia e sosta in un campiello, in attesa del sorgere dell’astro lunare.
La manifestazione é gratuita, con offerta libera. Prenotazione necessaria:
circolo.vegetariano@libero.it – Cell. 333.6023090 – Tel. 0733/216293
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La Storia di Treia
380 a.C. circa, il primo insediamento, ad opera dei Piceni o dei
Sabini, è lungo un ramo della via Flaminia a circa due km dall’attuale centro storico. Il luogo diventa colonia romana e prende nome da un’antica divinità, Trea.
II sec. a. C., Treia diventa municipio romano.
X sec. (inizio), gli abitanti della Trea romana, per sfuggire ai
ripetuti saccheggi, individuano un luogo più sicuro sui colli e
costruiscono il nuovo borgo che prende il nome di Montecchio, da
monticulum, piccolo monte.
XIII sec., Montecchio si dota di un sistema difensivo comprendente una possente cinta muraria e si allarga fino a comprendere tre castelli edificati su tre colli, Onglavina, Elce e Cassero. Nel 1239 è assediata dalle truppe di Enzo, figlio naturale di Federico II, e nel 1263 da quelle di Corrado d’Antiochia, comandante imperiale che viene catturato dai treiesi.
XIV sec., Montecchio passa alla signoria dei Da Varano e poi a
Francesco Sforza. 1447, posta dal Pontefice sotto il controllo di Alfonso d’Aragona, Montecchio viene in seguito ceduta da Giulio II al cardinale Cesi, e da allora segue le sorti dello Stato della Chiesa. 1778, si apre la prima sezione pubblica dell’Accademia Georgica dei Sollevati, importante centro culturale ispirato ai principi dell’Illuminismo.
1790, il Pontefice Pio VI restituisce al luogo l’antico nome di Treia, elevandolo al rango di città. Il mistero dell’infinito…
Mura turrite che evocano il Duecento, ma anche tanti palazzi
neoclassici che fanno di Treia un borgo, anzi una cittadina, rigorosa ed elegante, arroccata su un colle ma razionale nella struttura. L’incanto si dispiega già nella scenografica piazza della Repubblica, che accoglie il visitatore con una bianca balaustra a ferro di cavallo e le nobili geometrie su cui si accende il colore del mattone. E questo ocra presente in tutte le sfumature, dentro il mare di verde del morbido paesaggio marchigiano, è un po’ la cifra del luogo. La piazza è incorniciata su tre lati dalla palazzina dell’Accademia Georgica, opera del Valadier, dal Palazzo Comunale (XVI-XVII sec.) che ospita il Museo Civico e dalla Cattedrale (XVIII sec.), uno dei maggiori edifici religiosi della regione. Dedicata alla SS. Annunziata, è stata costruita su disegno di Andrea Vici, discepolo del Vanvitelli, e custodisce diverse opere d’arte tra cui una pala di Giacomo da Recanati. Sotto la panoramica piazza s’innalza il muro di cinta dell’arena, inaugurata nel 1818 e poi dedicata al giocatore di
pallone Carlo Didimi.
Da Porta Garibaldi ha inizio l’aspra salita per le strade basse, un dedalo di viuzze parallele al corso principale e collegate tra loro da vicoli e scalette. Qui un tempo avevano bottega gli artigiani della ceramica. Continuando per la circonvallazione, a destra la vista si apre su un panorama di campi rigogliosi e colline ondulate. L’estremo baluardo del paese verso sud è la Torre Onglavina, parte dell’antico sistema fortificato, eretta nel XII secolo. Il luogo è un balcone sulle Marche silenziose, che abbraccia in lontananza il mare e i monti Sibillini.
Entrando per Porta Palestro si arriva in piazza Don Cervigni, dove a sinistra risalta la chiesa di San Michele, romanica con elementi
gotici; e di fronte, la piccola chiesa barocca di Santa Chiara con la statua della Madonna di Loreto: quella originale, secondo la
tradizione. Proseguendo per via dei Mille, si attraversa il quartiere dell’Onglavina che offrì dimora a una comunità di zingari, al cui folklore si ispira in parte la Disfida del Bracciale. Dalle vie Roma e Cavour, fiancheggiate da palazzi eleganti che conservano sulle facciate evidenti tracce dei periodi rinascimentale e tardo settecentesco, e denotano la presenza di un ceto aristocratico e di una solida borghesia, si diramano strade e scalinate. Nell’intrico dei palazzi, due chiese: San Francesco e Santa Maria del Suffragio. E tra di esse, un curioso edificio: la Rotonda. Nei pressi, la casa dove visse Dolores Prato, ricordata da una lapide, e il Teatro Comunale, inaugurato il 4 gennaio 1821 e dotato nel 1865 di uno splendido sipario dipinto dal pittore romano Silverio Copparoni, raffigurante l’assedio di Montecchio. Il soffitto è decorato con affreschi e motivi floreali arricchiti nel contorno da ritratti di letterati e musicisti; la parte centrale reca simboli e figure dell’arte scenica.
Si può lasciare Treia uscendo dall’imponente Porta Vallesacco del XIII secolo, uno dei sette antichi ingressi, per rituffarsi nel verde. Resta da vedere, in località San Lorenzo, il Santuario del Crocefisso dove, sul basamento del campanile e all’entrata del convento, sono inglobati reperti della Trea romana, tra cui un mosaico con ibis. Qui sorgeva l’antica pieve, edificata sui resti del tempio di Iside. Il santuario conserva un pregevole crocefisso quattrocentesco che la tradizione vuole scolpito da un angelo e che, secondo alcuni, rivela l’arte del grande Donatello.
Notizie originali raccolte da Antonella Pedicelli
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Commento ricevuto:
TREIA è UN AMENO PAESE SUL QUALE FU SCRITTO UN LIBRO MOLTO INTERESSANTE (almeno per mia cognata, marchigiana): “Sulla piazza non c’è nessuno.”
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ALCUNE CITAZIONI CITABILI:
E.M.Forster, Passaggio in India. “E’ difficile, via via che ci si addentra negli anni, resistere al sovrannaturale. Me lo sono sentito venire addosso anch’io. Riesco ancora a tirare avanti facendone a meno, ma che tentazione, a quarantacinque anni, fingere che i morti continuino a vivere; i propri morti, quelli degli altri non contano.”
Erwin Schrodinger: “La coscienza è un singolare; il plurale dalla quale ci è sconosciuto; vi è un’unica sola cosa, e ciò chesembra essere una pluralità è semplicemente una serie di differenti aspetti di questa sola cosa, prodotta da un’illusione (maya); la stessa illusione si produce in una galleria di specchi e nello stesso modo Gaurisankar e il monte Everest risultano essere la stessa montagna vista da valli diverse.”
“Nella teoria bootstrap degli Adroni, tutte le particelle sono composte dinamicamente le une dalle altre, in modo intimamente coerente e in questo senso si può dire che esse si contengono reciprocamente.”
Michael Talbot: “E’ il sistema nervoso che struttura la realtà. Le vibrazioni che noi percepiamo come materia sono tutte creazioni della mente. Sri Aurobindo afferma: l’apparenza della stabilità è data da una costante ripetizione e ricorrenza delle stesse vibrazioni e formazioni: tutte le nostre leggi sono solo abitudini.”
Tito Livio: “Gli uomini sono più sensibili al dolore che al piacere”.
Anatole France: “Non ci sono mali immaginari. Tutti i mali sono reali, dal momento che ci fanno soffrire”