“…del doman non v’è certezza…!” – L’Europa si è dedicata molto alla pazzia, basti pensare all’Elogio della pazzia… di Milena Auretta Rosso
Con il “Berretto a sonagli” di Pirandello, continua l’ammirazione alla pazzia: il pazzo può dire quello che vuole, e nel pazzo viene intravista la ribellione a qualsiasi autorità, diktat, anche sociale, che si opponga alla realizzazione dell’individuo.
Nel 1968, arriviamo ad una definizione della pazzia, dove essa viene definita come una perdita dell’autodifesa, da parte della mente.
Il ‘68 ovviamente guarda all’ intervento terapeutico sulla pazzia: persone, mute dinnanzi a muri, di manicomi, scienziati che intrecciano canestri, con grave scandalo dell’osservatore. Come può uno scienziato,anche se pazzo, essere ridotto ad intrecciare canestri?
Quindi gli studi, le analisi, condotte per esempio da Basaglia.
Il malato viene visto come prodotto di un nucleo, quello familiare, considerato come un cerchio , che si spezza nel punto più debole; quindi veniva curato tutto il gruppo familiare.
Dopo di che, in Italia, sparisce l’Istituto manicomio, ed il malato viene restituito alla sua famiglia, con il verdetto che la pazzia non esiste.
Ho cercato, per molto tempo di capire cosa fosse avvenuto in questo paese, chiedendo anche a psichiatri e così via, ma non vi sono riuscita.
L’Italia rimase senza manicomi per dieci anni.
Nel 1997 riaprirono i manicomi; ricordo ancora la seduta in parlamento, ascoltata attraverso la radio, che ne annunciava l’apertura, con la frase “Ascoltiamo troppa pazzia giovanile nelle strade, per non intervenire”.
Quindi il governo alludeva alla telepatia, che ci ha permesso , con nostro orrore, di ascoltare le menti malate.
Accanto alla telepatia, si affermò subito un altro fenomeno, per cui “ un naturale pudore”- detto ironicamente- vietò a qualsiasi non solo di parlare della telepatia, ma anche di utilizzare l’enorme materiale che essa portava alla scienza, per studiare la pazzia.
Prima di tutto possiamo notare che essa manca di una certa nota di affettività.
Questo l’aveva anche raccontato il giudice, paziente di Freud, nell’esposizione dei processi mentali, che avevano costituito il suo lungo periodo di pazzia.
Egli descriveva che vedeva come cordoni di luce che si irradiavano dal suo corpo, nei confronti delle altre persone, e che essi venivano via, via ,diminuendo.
Potremmo pensare che essi fossero null’altro che legami dell’affettività, che ci uniscono via, via, con le persone cui parliamo.
Quest’affettività si lega molte volte alla morale, e nella telepatia sentiamo molte volte cervelli, che ci scandalizzano per la loro assoluta mancanza di moralità.
Che la asocialità possa essere considerata come il primo passo verso la pazzia, era già stato detto.
Dopo di che ascoltiamo i loro lunghi discorsi, pieni di parole, che trascinano altre parole,fino a far scoppiare tensioni immani, nei loro cervelli.
In questo ricordiamo la furia di Achille, come ci viene descritta da Omero.
Parole pacate,che vengono seguite da parole sempre più tese, che trascinano parole
nervose,per irrompere in una cascata di parole furibonde, cui segue l’azione, dettata dalla furia.
Nel cervello pazzo, abbiamo notato esistere lo stesso processo; non a caso il terapeuta è uso interrompere il flusso delle parole, per troncarne l’angoscia .
Il lungo, vaniloquio telepatico ci porta ad un lungo applauso ad ogni approccio terapeutico della pazzia, basato sui calmanti.
Le emozioni scuotono completamente il cervello pazzo e fanno sorgere esplosioni di parole che drammatizzano ogni nuovo evento, dando loro un ambiente completamente anaffettivo, e drammatico nella sua amoralità.
Ogni fatto nuovo, per noi privo di ogni significato, si carica nella mente del pazzo di tinte drammatiche, dove si fondono fatti celebri di cronaca nera , che avevano colpito l’immaginario collettivo –“le famose mogli murate vive”- a piccoli altri fatti, dettagli che mai verrebbero osservati dalla mente sana, in immaginari castelli del terrore,dove ogni fatto completamente insignificante dà origine ad una teoria, completamente spaventosa, suffragata e ribadita da altri fatti ,completamente insignificanti.
Questa spirale gode tutta la credibilità della mente malata, che vede gli altri, i sani,
come “scemi”, cioè carenti di una visione profonda, verso il dettaglio che ha suscitato l’eruzione dell’emotività, nel pazzo.
Da una parte, per preservare dei sani da queste eruzioni telepatiche pazze:non ascoltare mi sembra l’unico consiglio.
Dall’altra parte,verso i malati, come intervenire terapeuticamente?
Sarebbe interessante riuscire a togliere, alla mente malata, la dimensione megalomane, che essa dà a dettagli insignificanti.
La megalomania è molte volte indicata come essere alla base della pazzia.
Non a caso,anni fa, chi era matto si credeva Napoleone Bonaparte, e girava, girava per casa, con una mano nel panciotto – così diceva la diceria popolare.
Noi non abbiamo ancora scoperto nel cervello un centro della megalomania.
Probabilmente su questa base, i colleghi psichiatri invitano il malato di mente , ad uscire dai reparti d’isolamento, nella speranza che l’incontro di più realtà fornisca ai fatti insignificanti, una dimensione più prossima alla realtà.
Il risultato lo controlliamo a livello telepatico,non certo perché lo vogliamo, ma perché la mente malata comincia a bombardarci, al primo stimolo nuovo.
E, visto che la caratteristica della mente malata è l’asocialità, l’amoralità, noi veniamo tranquillamente ( dal loro punto di vista) attaccati da persone, da giovani,magari in viaggio, con la loro infermiera.
Evidentemente ,la sequela dei fatti insignificanti non riesce a far riacquistare loro la dimensione reale.
Notiamo, infine, quanti sono i fatti che determinano a noi, sani,emozioni.
Un colore del cielo, un odore, la sensazione del vento sulla pelle, unito ai mille fatti del giorno:un clacson, traffico, parole sgarbate, persone particolari, formano una lunghissima lista di fattori scatenanti emozioni.
Un ristorante, un viaggio, mille forme diverse, colori,persone, suoni,rumori, musiche,cosa possono scatenare in una mente malata, se non mari di emozioni,incontrollabili , che scatena l’attacco telepatico.
La base della terapia mentale sono i calmanti, per placare le emozioni che suscitano loro, le alterate dimensioni nei quali vedono i fatti, i dettagli.
Immettendoli nella catena delle emozioni, che è la nostra realtà quotidiana, si viene meno a tale concetto.
Nel ’68, il pazzo veniva considerato come noi, tanto da dar luogo alla sparizione dei manicomi, ed il suo lungo indugiare dinnanzi ad un muro, o ad un buco nel muro, era considerato non solo un abbrutimento, carico della condanna altrui, ma una nostra domanda:” Cosa potrei far io,lì, a guardare il muro? Che significherebbe per me?”
Non era stato ancora tracciato dalla telepatia, la grande distanza tra loro e noi.
Adesso, sappiamo che sono diversi, che nel buco del muro, vedranno chissà quante battaglie navali!
E stanno lì, fermi, guardando tutte le emozioni che hanno dentro, non penso che aspettino che finiscano, ma semplicemente voltando lo sguardo, quando esse sono finite. Senza gli ulteriori imput emotivi, che provengano da un esterno non familiare a loro, non povero d’oggetti- come potrebbe essere un ricovero ospedaliero- possono vedere finire le loro emozioni interne, aiutati dai calmanti.
E quando la loro mente comincia a placarsi, possono concentrarle, un poco all’esterno, in giochi ripetitivi, che diano sempre le stesse emozioni, e quindi,l’intreccio di cesti….
Dal punto di vista della persona, non coinvolta in quello che è il problema terapeutico, la visione di tali malati è angosciante, e suscita il desiderio di nasconderla, di far finta che stiano bene” Vieni a cena al ristorante?” e così via.
E’ difficile capire la profonda sensazione che fà un matto, in tale processo terapeutico,ad un sano.
Le grida di collera, le sfuriate, quasi, fanno meno impressione.
Possono far parte, agli occhi del sano, di un cattivo carattere.
Ma il vedere la pazzia, in persone immobili dinnanzi ad un buco del muro,questo
non è molto sopportabile.
Penso che sia lo shock che una persona prova dinnanzi ad una mente diversa.
Riusciamo,non so come, a non notare che ognuno di noi è diverso, gli occhi, il naso e così via.
E ,sicuramente, tutti sono perfettamente convinti che la mente è eguale per tutti.
“Cogito, ergo sum!” è sostituito dal ”lo penso io, lo pensano tutti”, che diviene un pensiero inconscio, per la sua quotidianità.
Molti momenti di tensione sarebbero stati evitati dalla domanda:” tu, cosa ne pensi?”,
che, invece, vengono determinati dalla reazione ad un” pensiero comune”, peraltro inesistente.
Quindi la reazione alla pazzia non ci stupisce, né la fuga da essa, consistente nel portare il malato, in viaggio, fuori, a cena, come se fosse una persona sana.
Ed è difficilissimo spiegare ai parenti, che chiudere gli occhi, in tal caso, significa “danneggiare”.
Il malato, il pazzo, ha bisogno di pochissime emozioni, il calmante lo aiuta a sentire arrivare le emozioni, ed a controllarle.
Ma l’azione terapeutica, come si può svolgere in un ambiente esterno, “ricco” di emozioni?
Il malato ha già di per sé, dentro, oceani di emozioni: in un buco nel muro, vedrà la battaglia di Lepanto, con le grandi onde, e rimarrà, lì , stupefatto a guardarla.
Poco per volta, le emozioni diminuiranno ed interverrà il calmante.
E poi, le attività che “calmano la mente”: il macramè, fare i cesti.
Un nodo dopo l’altro, nelle dita il tocco della lana o della paglia, sensazioni lontane nel tempo, per l’umanità.
Tutto questo è un percorso: non bisognerebbe mai imporre una deviazione, anche se vorremmo tanto fingere che lui o lei siano sani.
La calma della mente è l’unica cosa che possiamo ricostruire, non la moralità.
Che almeno il primo lavoro venga compiuto integralmente, senza interruzioni.
Siamo ormai grandi, con la telepatia; possiamo guardare la pazzia e non solo ascoltarla, dritto negli occhi.
Milena Auretta Rosso, medico iridologo e socia Avi