Introduzione alla Tavola Rotonda “Laicità, diritti umani e non violenza” – Sala Gatti 6 giugno 2010, in chiusura della Biennale d’Arte Creativa di Viterbo
Il testo che segue è un’introduzione al tema della Tavola Rotonda “Laicità, diritti umani e non violenza” – che si tiene a Viterbo, nella Sala Gatti il 6 giugno 2010, alle h. 15.15, in chiusura della Biennale d’Arte Creativa.
Interventi previsti: Angela Braghin, Ciro Aurigemma, Osvaldo Ercoli, Michele Trimarchi, Bettina Corke, Laura Lucibello, Mauro Elefante, Giorgio Vitali. Moderatore: Paolo D’Arpini
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Genesi e sviluppo della dottrina dei diritti umani.
La protezione dei diritti fondamentali dell’uomo ha trovato storicamente le sue prime manifestazioni nell’ordinamento giuridico nazionale. L’idea di partenza è basata sul concetto che vede l’individuo come il soggetto cui devono essere indirizzati i fini dell’azione pubblica statale poiché ci sono diritti che spettano all’individuo-cittadino che lo Stato non può sopprimere o disconoscere.
Il processo storico- politico che ha caratterizzato in particolare l’Europa tra il XV e XVII secolo e l’evoluzione del pensiero illuministico hanno condotto, la società europea nel corso degli anni, ad identificare nel principio della tolleranza la base dei diritti umani da riconoscere al cittadino e non più al suddito.1 Infatti, il cammino filosofico e di conseguenza ideologico che ha caratterizzato l’Europa del XVII e XVIII secolo ha accentuato il concetto di soggettività, ovvero ha posto al centro del dibattito il singolo individuo. I limiti di tali precedenti passi nell’ambito dei diritti umani sono caratterizzati dall’essere stati concepiti senza i doverosi meccanismi di garanzie e di attuazione degli stessi, dunque sono restati, seppur siano molto importanti, meri principi o enunciati. Tali enunciazioni sono inoltre rivolte e pensate per i singoli individui, senza un coinvolgimento organico e sistematico dei gruppi, ovvero della società, che non contemplava, tra le altre cose, neanche un ruolo paritario tra donne e uomini.
“Qual è l’albero genealogico di quelle Dichiarazioni? La prima grande matrice la ritroviamo nelle istituzioni politiche del tempo e nella necessità- imperiosamente avvertita da tanti- di sopprimerle. Ciò spiega perché le Dichiarazioni, come gli altri grandi documenti politici che le accompagnarono, furono ossessionate dall’idea che l’autorità- per definizione oppressiva- dovesse essere circoscritta quanto più possibile. Libertà – nel testo delle Dichiarazioni- significava potere all’individuo di agire senza essere disturbato dallo Stato”.
Sarà solo nel XIX secolo che il diritto internazionale si occupa maggiormente dei diritti umani con la condanna della schiavitù e stipulando la Convenzione dell’Aja del 1893 anche se c’è da sottolineare che: “A ben guardare, però, la portata propriamente “umanitaria” di questi strumenti giuridici è piuttosto limitata. Nel caso degli accordi che vietano la tratta degli schiavi, dietro la volontà di tutelare la dignità della persona umana si può riscontrare un interesse statale ben preciso, ovvero quello dei paesi europei che, non avendo più interessi coloniali nelle Americhe, volevano fermare il flusso di manodopera a basso costo verso altri Stati. Le Convenzioni dell’Aja, invece, sebbene motivate dall’intento di limitare le sofferenze causate dalla guerra, sono improntate soprattutto alla tutela degli interessi degli Stati coinvolti nel conflitto, piuttosto che a quella degli individui. Inoltre, esse si applicano solo ai conflitti armati internazionali( cioè ai conflitti tra Stati, e non a quelli di carattere interno); dunque la concezione è quella tradizionale in base alla quale gli individui sono presi in considerazione in quanto pertinenza dello Stato”.
La società europea, ancora una volta, subisce un repentino cambiamento di costumi, regole ed esigenze con la prima e soprattutto la seconda Rivoluzione Industriale che crea nuovi bisogni e soprattutto nuovi problemi.
I dibattiti si incentrano sui diritti civili, sulla eguaglianza formale e sostanziale degli individui, sul ruolo e il riconoscimento giuridico delle donne, sui diritti dei civili in tempo di guerra e sui diritti delle minoranze.
Nella sua indiscussa sovranità, lo Stato-apparato è chiamato a gestire dunque bisogni sempre più complessi, correlati ad altrettanti diritti.
“Esistono diritti soggettivi che il diritto oggettivo ha dovuto formulare, ma n’esistono altri che esso ha potuto semplicemente rilevare, come nel caso dei diritti dell’uomo. Dunque, diversamente dagli altri diritti soggettivi la cui sussistenza dipende dalla mutevole valutazione dell’ordinamento giuridico, (visto che per la relatività del diritto, i vari sistemi di regole cambiano nel tempo e nello spazio), per i diritti della persona umana, il riconoscimento dell’ordinamento statale ha un puro carattere dichiarativo e non già costitutivo. Questi in teoria sono inalterabili e perenni, poiché spettano a ciascun uomo in quanto tale, indipendentemente dal contesto politico o sociale in cui agisce, ed ogni Stato deve riconoscerli e tutelarli”.
Il percorso storico d’alcuni Stati del XX secolo sembra invece aver imboccato una strada inversa in tal senso e hanno trascinato i propri cittadini in un contesto civile e politico involutivo. Infatti, il Novecento è stato il secolo in cui i diritti umani sono stati negati, violati, cancellati dai regimi totalitari, attuando politiche di stermini di massa e arresti arbitrari.
“Agli occhi di Himmler l’Olocausto non fu che uno sgradevole dovere da compiere al servizio di una missione storica, per il quale le future generazioni sarebbero state riconoscenti”.
Era purtroppo necessaria un’esperienza così traumatica come quella di dover affrontare due guerre mondiali, a distanza di neanche venti anni l’una dall’altra, contare alla fine della guerra circa cinquantasei milioni di vittime e l’esplosione di due bombe atomiche perché l’umanità si rendesse conto delle aberrazioni cui si può giungere, quando l’uomo disprezza e calpesta il diritto dei propri simili ad esistere.
Tale consapevolezza è frutto di un paradosso: se non fossero esistiti i campi di concentramento, nei quali sono state commesse diverse atrocità come gli esperimenti genetici e le camere a gas, in cui sono morti circa sei milioni d’ebrei8 forse non si sarebbe arrivati a comprendere che il rispetto dei diritti umani sono il presupposto indispensabile per una convivenza pacifica.
Dott.ssa Angela Braghin
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