Bianco e nero… e l’evanescenza! – Racconto esoterico un po’ lungo di Simone Sutra
Avevo l’impressione di essere pedinata.
Ero da poco uscita dal cinema; avevo assistito all’ultima proiezione insieme alla mia amica Marta, poi ci eravamo salutate. Io, che abito non troppo distante dal cinema, avevo voglia di fare quattro passi, anche approfittando della splendida serata primaverile e così mi avviai a piedi verso casa.
Stranamente, non c’era nessuno in giro. Non era così tardi, solo mezzanotte e mezza di un sabato sera, e in genere a quell’ora c’era sempre movimento in quella zona del centro; ma quella sera neanche un’anima.
Così fu con un certo turbamento che iniziai a sentire il suono di passi a un centinaio di metri dietro di me. L’inquietante sensazione che quei passi appartenessero a qualcuno che cercava di raggiungermi iniziò a farsi pressante, così mi affrettai: oramai mancava solo un paio di centinaia di metri da casa mia.
Girato un angolo per poco non svenni dalla paura: c’era un uomo, intabarrato in un lungo impermeabile nero fermo lì, come se aspettasse me. Il bavero alzato, un cappellaccio a larghe tese in testa, ben poco del suo volto era visibile, e quel poco non era affatto rassicurante. Soprattutto gli occhi mandavano uno strano bagliore, come se fossero …illuminati.
“Ha da accendere?” Mi chiese, bloccandomi il passo.
Io ero terrorizzata, ma cercai di farmi coraggio e lo evitai spostandomi sul lato opposto della strada. Gettai uno sguardo dietro di me ma non lo vidi più; quando però volsi di nuovo il capo nella direzione verso cui stavo camminando, eccolo là, in fondo alla strada.
Il panico cominciò ad attanagliarmi il cuore, e mi misi a correre nella direzione opposta, sperando di poter incontrare qualcuno. Lui apparve come dal nulla, e mi bloccò tra le sue braccia in una morsa ferrea.
Mi misi a urlare con tutta la voce ma…non un suono mi uscì dalla gola.
“Non le farò niente, signorina Arianna, non si preoccupi “ mi disse con voce profonda, che suonava melliflua e falsa, e per niente rassicurante.
“Come….come sa il mio nome?”
“Oh, io so molte cose di lei…che è giornalista, per esempio”
“Chi è lei? Cosa vuole da me? Mi lasci andare, la prego….”
“Benissimo: sarà fatto come vuole lei. Ma vedrà che poi sarà lei a cercare me” . E detto questo mi lasciò andare, girò i tacchi e si allontanò.
Arrivai a casa sconvolta e tremante, scossa da brividi da capo a piedi. Mi versai del cognac e mi misi subito a letto, sperando di dimenticare la terribile esperienza e di addormentarmi subito.
Avevo sognato, come al solito. Erano ormai alcuni giorni che quello spaventoso incubo mi perseguitava.
E come se non bastasse, cominciavano ad accadermi fatti strani nella vita di tutti i giorni. Inizialmente, piccole cose, come guasti agli apparecchi elettrici di casa, bicchieri che mi sfuggivano di mano mentre lavavo i piatti, vasi che spostandoli si rompevano…io che ero sempre stata molta attenta in questo e che raramente, se mai, rompevo qualcosa.
Poi in redazione vi fu una serie di incidenti, uno dopo l’altro: Il direttore si ruppe una gamba scivolando sulle scale, una collega si ammalò di una malattia sconosciuta e dovette essere messa in isolamento in ospedale, un altro collega ebbe un infarto e dovette essere sottoposto a un intervento per innestargli un bypass. Non c’era da stare allegri, insomma.
Mi chiedevo che stava succedendo dentro me e attorno a me: che fossi io l’epicentro di tutti questi drammi, grandi e piccoli? In effetti , più meno da quando avevo iniziato ad avere quell’incubo ricorrente, mi sentivo depressa. Una ragione non c’era: il lavoro – almeno fino a quel momento – stava andando bene e mi riservava delle soddisfazioni come vice- capo redattore del nostro giornale; avevo un fidanzato che amavo e con cui forse presto mi sarei sposata; stavo ottimamente di salute. Ma da quando aveva avuto inizio la spirale depressiva tutto era cambiato: rendevo meno sul lavoro, mi sentivo sempre stanca e per concludere ci fu l’inopinata e inaspettata rottura con Jerry dopo sei anni di amore.
Una sera non ce la feci più, e rientrata a casa mi buttai sulla poltrona a piangere, solo piangere: ero stanca di tutto e di tutti, della vita, persino.
“Ma non ci sarà un modo per cambiare tutto questo? Che mai mi sta succedendo?” Pensai nella mia disperazione. Nelle tenebre della mente apparve un volto. Quel volto.
“Arianna Calligaris” sembrava sussurrarmi alla mente “sei finalmente pronta per incontrarmi di nuovo?”
Ci mancava solo la questa! Sempre più affranta, cercai di scacciare l’immagine, il pensiero, la voce.
“Non ti rendi ancora conto che solo io ho le risposte che cerchi?” Era lì, davanti a me, nel mio salotto! Gridai, ma il suono si sperse in qualche invisibile corridoio dello spazio, perchè non si udì.
“Te l’ho detto che alla fine mi avresti chiamata tu….non è così?”
“No, no ! Va via, sei solo un sogno, un brutto sogno! Adesso mi sveglierò e…”
“E…..?”
“E mi ucciderò! A che scopo andare avanti così?”
“Ma tu sei già sveglia, Arianna….e devi ascoltarmi, se vuoi che tutto torni come prima…più o meno”
“Che vuoi da me, che ho fatto io per meritarmi questo?”
“Sono due le domande che mi fai. Risponderò prima alla seconda dicendoti questo: è nell’ordine delle cose che a volte le vite degli umani prendano direzioni da loro giudicate indesiderabili, finchè essi non arrivano ad essere veramente al controllo della loro esistenza; detto questo, molto poche persone riescono ad arrivare a questo punto. E anche così, non sono immuni dalle pieghe peculiari che il tessuto dell’universo prende, per disegni che alla maggior parte degli uomini potrebbero sembrare folli; ma chi sa discernere, chi sa vedere, sa bene che non è così, e che tutto punta in un’unica direzione. Cosa voglio da te?….Voglio che tu scriva una storia…la mia storia, sul tuo giornale.”
Non capivo chi era questo essere, se demone o angelo, o un semplice mitomane dotato di straordinari poteri paranormali, cosa che in fondo era la più probabile. In ogni caso aveva il coltello dalla parte del manico e decisi di accondiscendere per togliermi da quella situazione insostenibile; poi forse ci sarebbe stato spazio per negoziare. D’altronde con quale giustificazione avrei potuto presentare al direttore un articolo a proposito di non so quale pazzoide? Però era certamente pericoloso contraddirlo, quello poteva essere capace di tutto.
“D’accordo…farò come dici tu…”
“So perfettamente quello che stai pensando…ma è inutile adesso che io insista su questo punto. Vedrai che l’articolo verrà scritto…e pubblicato. Ma non ne parliamo ora: ti devo dare le istruzioni su come impostarlo, come intitolarlo…forse anzi te lo detterò. Ecco, facciamo così. Naturalmente sei tu la giornalista, e sono venuto da te proprio per questo: potrei incappare in qualche increscioso errore grammaticale, o esprimermi ad un livello poco adeguato all’importanza dell’argomento. E tu, se sarà così, mi dovrai correggere.”
“Va bene” sospirai, sentendomi preda di un crescente disagio.
“Ah, scusami…le presentazioni: io sono Samael.”
Non mi andava proprio di dire “piacere”.
“Il piacere è tutto mio” intervenne lui, in tono pungente, come leggendomi nel pensiero.
Accesi il portatile. Iniziò a parlare, aspettandosi che io scrivessi.
“Tutto iniziò ai tempi dei re di Edom, i tempi in cui la forza squilibrata produsse gli universi scissi nella mente dell’uomo: io, Samael, fui separato dalla mia compagna. Zorah era il suo nome; e noi eravamo indivisibili, eravamo un tutt’uno. Volgendo lo sguardo in una direzione, io potevo contemplare tutto i mondi del passato, e lei quelli del futuro. Potevamo, ma l’eterno presente era la nostra vera dimensione. Lei era la mia amica, la mia sorella, la mia amante e sposa, la mia compagna nel percorrere gli spazi vivi dell’universo per fecondarli seminando armonia, amore e bellezza. Questo era il nostro compito, un compito immenso ma per il quale eravamo stati creati, io e lei. Altri come noi, miriadi di altre coppie come noi, chiamate “eoni”, intessevano i ponti che avrebbero collegato la materia alla sua invisibile scaturigine, per preparare il contatto che avrebbe rilasciato inimmaginabili quantità di energia: era l’emanazione prima, l’espansione della Mente che tutto sa e tutto conosce. Noi preparavamo le forme che la Prima Emanazione doveva assumere nel manifesto, seguendo un piano ben calibrato, organico e coerente…”
A questo punto mi accadde qualcosa di veramente strano: mentre battevo sui tasti del computer lo schermo andava scomparendo davanti ai miei occhi per lasciare posto a scenari fantasmagorici, a spettacoli di luci, esplosioni di colori, lunghe fughe di immagini di creature indescrivibili di travolgente e incomprensibile bellezza, plasmate nelle forme più stupefacenti, specchi deformanti che riportavano alla mente la probabilità – o forse la certezza – di un’essenza interiore sempre posseduta ma mai pienamente conosciuta. Non fui più cosciente di me che lavoravo e scrivevo, poichè ero in viaggio nelle abissali profondità di un cosmo dilatato oltre i confini della ragione ma totalmente presente in me, a velocità non contemplate dal tempo nè dallo spazio.
Samael continuò:
“Prima che il Grande Inconoscibile – che voi umani spesso chiamate Dio senza sapere realmente di che si tratta – mandasse noi, gli eoni, a preparare a Sua (e nostra, in definitiva) somiglianza le forme note e ignote, grandi e nobili o piccole e insignificanti, non esisteva nè limite nè fine, ma tutto era, semplicemente. Lo so che mai potrete capire, poichè non vi è parola umana per descrivere tanta sconfinatezza e tanta distante eternità. Egli dunque incaricò noi di scolpire queste forme e tracciarle modellate nella sua stessa sostanza. Noi, scaturiti dalla mente dell’Eternamente presente non eravamo esenti da quelle che voi, nella vostra sovrana ignoranza, definireste imperfezioni, poichè il Dio dell’infinito non dimorava in noi in maniera regolare e costante, per l’obbedienza a Leggi di cui voi nemmeno lontanamente potreste captare il senso nè l’intima essenza, intrisa del più profondo significato. Solo va detto questo: che la stabilizzazione e il progresso delle forme manifeste avrebbe condotto a una maggiore continuità e coerenza dell’intero sistema, poichè il creato non può fare a meno del Creatore tanto quanto Egli può fare a meno di essere oggetto delle sue stesse attenzioni creative, poichè in esse si specchiava pienamente. Il processo dunque non era esente da rischi, perchè solo una volta concluso in maniera ottimale avrebbe consentito a Colui che nessuno può descrivere di rimanere sempre presente nella creazione e di perpetuarla con quella stessa unione.
“Per questo esistevano antichi mondi che sono stati distrutti, mondi senza forma e di forma non ancora completa che sono paragonabili a scintille incandescenti come quelle prodotte dal martello del fabbro quando lavora il ferro: esse, liberate senza costrizione, arrivarono fino ai limiti dell’illimitato spegnendosi nel nulla. Questo fu il destino degli eoni più temerari, di cui permangono comunque tracce nella polvere cosmica di cui tutto si può dire tranne che sia morta e inanimata, poichè nessuna particella dell’universo, a modo suo, lo è.
“Questi frammenti della vita di Dio, come scintille temerarie e sperdute nella notte solitaria, con cui consumavano brevi amplessi di rivelazione, scaturivano però dallo stesso elemento che le accomunava in un abbraccio di essenze.
“Ed è per questo che i frammenti di un’anima – quella luce insita in ogni umano – sparpagliati dal gioco primordiale della ricerca, si ritrovano lungo la strada, si riconoscono: nello sguardo percorso dall’inquietudine di mille epoche, nell’alitare sommesso dell’immutata freschezza della speranza, dalla traccia leggera rimasta ad indugiare dall’aver giocato negli stessi immensi giardini nascosti oltre le più recondite memorie dell’essere. Ed è allora che l’ombra del tracciato di vite lontane nel tempo, sperse nelle nebbie di oceani ignoti alla mente, fa capolino dalla misteriosa soglia della coscienza intrecciandosi con l’alone luminoso della memoria del tempo in cui succhiavano insieme dal seno generoso dell’eternità. Un vasto panorama di certezze d’amore è quello che fa da sfondo alla loro vicenda, da sempre rivestita dello splendore dell’essere, della coscienza di costituire il diverso battito di uno stesso organismo che dispiega la sua esistenza sulle ali di un’apparente diversità: acqua nell’acqua, fuoco nel fuoco, sono accomunate da uno stesso senso di appartenenza, di lontana nostalgia per gli incorrotti albori della loro esistenza.”
A questo punto mi riscossi: il mio viaggio lungo gli sperduti arcobaleni dell’essere aveva compiuto un largo giro e mi aveva riportato sulla terra, al mio mestiere.
“Ma dove ci sta portando tutto questo?” Chiesi in tono critico. “Non ti rendi conto che stai divagando, che tutto questo è troppo dispersivo, e che la gente non riuscirà a seguire? Io scrivo per un giornale, mica per una rivista di filosofia.”
Parve riflettere.
“Mhhh….forse hai ragione. Dopotutto sei tu quella del mestiere. Allora veniamo al punto, forse è meglio.
“Sì, allora…. vi fu una fessura nella dimensione tempo, si scompaginò il tessuto del cosmo, fu alterato l’equilibrio del Grande Tutto, quando alcuni eoni si diressero verso la vastità inesplorata delle tenebre interiori, adottandole come loro dimora, smarrendo però così la strada e se stessi; perciò essi furono da allora denominati i “re di Edom” che esercitarono in modo squilibrato la loro energia per danneggiare il processo di creazione. Nonostante – come ti ho detto - i mondi da loro costituiti siano stati digregati per la loro stessa inerente entropia distruttiva, essi vivono ancora, perchè nulla nell’universo viene distrutto per sempre e completamente. Sotto nuove pseudo forme di natura mentale, veri e propri travestimenti psichici, gusci vuoti di illusione, qlippot si chiamano, si presentano sulla scena globale.
“Da allora però, non potendo più avere un impatto concertato sul cosmo, essi hanno adottato un sistema di lavorìo logorante del tessuto dell’universo: come la fastidiosa pioggerella d’autunno le loro frammentate e oscure divinità ora penetrano nei mondi, negli esseri che popolano i mondi – come gli umani per esempio – impregnando poco a poco la mente e il cuore, creando così forme collettive di enorme forza, che tendono a far sterzare l’umanità (nel caso della Terra) verso scelte malsane e autolesioniste.
“Alcuni di loro, più potenti di altri, permeano in modo completo l’interezza di una personalità, di un luogo, persino di un’etnia, veri e propri catalizzatori di quello che voi chiamate “male”. Ma….voi qui avete un proverbio assai intelligente, che recita: “non tutto il male viene per nuocere”. Saggezza antica, derivata dalle istruzioni luminose dell’Inconoscibile e del conseguente lavoro fedele dei suoi eoni che non hanno deviato dal progetto originale.
“Ecco, mi chiederai….e con tutto ciò? Come si innesta in questo scenario globale la mia storia? E’ presto detto…..”
Mi parve a questo punto che nei suoi occhi vuoti apparisse come un’espressione dolente, un’espressione “umana”- si può dire? Per un attimo lo sentii…vicino, oserei dire.
“Ed è così, mia cara….”
Mi aveva chiamato “cara”?
“…..Ed è così che anch’io, che dai tempi della grande scissione appartengo alla schiera degli eoni perduti, ho deciso di agire”
Rabbrividii. Ma riconobbi nel mio brivido qualcosa di più della repulsione, del terrore, dell’angoscia che mi ispirava tutto ciò.
“Sì, Arianna…ho compreso – se si può usare un termine talmente radicato nella dimensione umana – che anch’io, alla fine, devo svolgere il mio compito al servizio di Colui che è. Come? Mi chiederai. Semplice: facendo coscientemente del “male” un vettore per il “bene”.
“Il male è necessario. Di ciò non si rendono conto gli eoni ribelli, divenuti ormai pedine inconsapevoli di un gioco più grande di loro. Quando la vostra scienza – “fisica” la chiamate – sostiene che ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria, non fa che ribadire una delle grandi verità cosmiche. Ed un essere saggio parlò dell’esplorazione e dell’esperienza dell’ombra come presupposto necessario per conoscere la luce interiore – per contrasto, direste voi.
Quindi, in un certo senso, è “bene” che accada il “male”, che è un portale necessario per la vera comprensione del bene. Io mi insinuo perciò nella vita delle persone che ricercano il bene senza tuttavia saperlo, alimentando la loro psiche con informazioni energetiche negative, e tutto comincia ad andare storto….quando si tocca il fondo non si può che risalire…E tuttavia, questo processo così traumatico per chi lo affronta non rappresenta nulla di diverso dalle tempeste, i terremoti, le grandi sciagure naturali che di tanto in tanto colpiscono la terra e mietono tante vittime: sono indispensabili e soprattutto inevitabili, sebbene per voi ciò sia motivo di profondo sconcerto e sconforto. Ma sono tutte, dico tutte, destinate a creare un maggior bene, sebbene per voi sia oltremodo difficile concepirlo; ed è anzi giusto che sia così, affinchè sappiate di prima mano che l’energia si dispiega sempre tramite le polarità opposte.”
“Ed hai fatto così anche con me, vero?”
“Sì”
“Ma perchè io?”
“Perchè non tu, forse vorrai dire”
“Voglio dire….perchè hai scelto me?”
Volse su di me uno sguardo che mi mise a nudo. Uno sguardo in cui mi parve di cogliere un barlume di….non so nemmeno cosa….un che di …familiare?
“Per rispondere alla tua domanda” prese a dire dopo quello che mi sembrò un attimo di esitazione, “lascia che io finisca la mia storia. Tu dissi che io fui separato da Zorah, la mia metà divina. Ai tempi della scissione, essa avvenne anche all’interno delle coppie di eoni. Spesso una metà della coppia dissentiva dalla decisione dell’altra metà, e avvennero così delle spaccature formidabili: chi non seguì il destino dei re di Edom scelse di incarnarsi come essere umano, perchè privato della corrente energetica sufficiente a farlo agire come eone creativo.”
Di nuovo fui presa dallo sconosciuto vortice che poc’anzi mi aveva travolta e rapita su mondi paralleli di indicibile bellezza, di straordinaria complessità, ma anche di inenarrabili terrori. Sentii su di me tutto il peso delle vicende cosmiche, l’escoriazione profonda prodotta dalla spaccatura delle entità celesti, lo stillicidio della disperazione, l’albeggiare della speranza, lo sballottamento dell’incertezza, pur sapendo che tutte queste sono solo le emozioni umane con cui percepivo, filtrandolo, il processo. Mi parve di venire strappata dalle radici come una pianta millenaria, mi si lacerò qualcosa di più profondo dell’anima, mi sentii inutile brandello di nuvola alla deriva in un cielo buio. Poi, avvolta da una corrente luminosa, rimasi sospesa nel vuoto pieno di voci, di sensazioni, di impressioni, di conoscenze …finchè fui risucchiata da una forza irresistibile, che mi avviluppò in un vorticoso giro a spirale, sempre più stretto, sempre più concentrato, sempre più…..ed ero sulla Terra.
Mi sembrò allora di aprire gli occhi sulla realtà per la prima volta: il computer, la scrivania, la stanza…ma cos’erano? Solo fantomatiche ombre proiettate da un’essenza configurata in un corpo di carne.
Alzai lo sguardo verso di lui, e lo riconobbi, in tutta la sua regalità.
“Sì, Zorah, sono proprio io. E tu…sei proprio tu. Son venuto a prenderti, perchè il tempo dei destini celesti preme…e io non posso più stare lontano da te, perchè l’opera deve essere completata insieme. Sei pronta?”
Non ebbi bisogno di rispondere, perché l’impeto della certezza del ritrovamento aveva travolto ogni parola ed ogni pensiero. Mi avvinghiai a lui in un abbraccio quasi furioso, e mentre gettavo uno sguardo incurante verso quella figura femminile abbandonata sulla sedia, come un guscio vuoto, le pareti della stanza iniziarono a svanire.
Simone Sutra – itdavol@tin.it