Kiriosomega: “La democrazia come metodo per il mantenimento del potere permanente” – Discorso difficile dall’obbligato vago riferimento…
Questa è una analisi complicata sa seguire…. ma se si è capaci di leggere sino in fondo, forse qualche spiraglio di comprensione si apre.. (Paolo D’Arpini)
CONFUSI E DELIRANTI. SND CONFUSIONALI E SND DELIRANTI.
Dell´analisi di un pubblico personaggio.
Non ricordo più chi, in passato mi chiese un profilo caratteriale su un padano al Potere, gli mando questo….
Premettendo che non si troveranno riferimenti particolari verso persone, e che le analisi, già di per sé sempre difficili, devono essere costruite de visu, desidero far risaltare un concetto secondo me molto importante. Concetto che sempre ho sintetizzato con: “Il Potere è Potere, se non si comporta da Potere, che Potere è?”.
Per approfondire il significato del pensiero espresso desidero evidenziare che, tra le altre istituzioni definite profane, anche enti ritenuti morali come la chiesa cristiana cattolica, organismo che afferma d´avere in cura solo la fede e la salvezza ultraterrena dell´uomo, in realtà si è trasformata in una classe sociale rivendicativa di diritti, specie per i propri gerarchi.
Se, dunque, anche le istituzioni religiose si trasformano in istituzioni profane con appetiti di ricchezza e Potere è necessario che i censi medio bassi si rendano finalmente conto che è inutile credere nella bontà di questo o quel sistema di Governo, perché ognuno giunto al Potere trarrà per sé e per i propri “amici/sostenitori” ogni cosa che gli parrà utile per soddisfare perfino le voluttuosità. E la storia dimostra che non adoperarsi pro pretese dei maggiori sostenitori, quelli appartenenti allo stesso censo, fa sì che vita e carriera politica del maggiorente di turno siano sempre concluse in tragica maniera.
Dunque, sorge spontaneo il quesito: “La democrazia, (démos), esiste?”.
E´ questa la domanda che in tanti si pongono da che gli ameni-cani ci “liberarono” da quei “tristi neri figuri” che erano i nostri padri e nonni.
E se la democrazia esiste, è estensivamente valida per tutti, o solo per i censi dirigenti?
Sempre per la premessa, già Tito Maccio Plauto in Asinaria, v. 495 recitava: “Lupus est homo homini”, mentre Lucio Annea Seneca scriveva “Homo, sacra res homini”, e T. Hobbes filosofava “Homo homini lupus”, ma anche A. Gramsci, in “Quaderni dal carcere” s´interrogava sulla validità del quesito.
Invariabilmente, qualunque sia la via intrapresa per l´analisi si giunge al risultato che la democrazia non è per tutti, e, se in qualche frangente dovesse esistere, è limitatamente estesa solo tra gli appartenenti allo stesso censo, e tra loro soltanto se espressioni delinquenziali non la bloccano.
Ciò, ben dimostra il comportamento del “confuso” che più avanti descriverò, e d´altri che ne decantano le lodi asservendosi e spersonalizzandosi.
Così, l´insieme dei detentori di Potere, quelli che modernamente si auto definiscono democratici perché ricorrono al voto elettorale popolare, però svuotato d´ogni valore sostanziale, giocano a fare credere al popolo che le Leggi sono promulgate in sua difesa e tutela. Ma non è così!
Il voto, dunque, è solo apparenza e formalità di un Potere oligarchico che lascia ai creduloni votanti la possibilità di ritenere che lo stesso Potere agisce in “NOME E PER IL BENE DEL POPOLO SOVRANO” mentre questo, ancora servo della gleba, in realtà soggiace all´imperativo del Produci Consuma Crepa reso incapibile ai più attraverso meccanismi aberranti come, per esempio, anche l´uso delle cambiali che arricchiscono le speculazioni dei finanzieri del sistema!
A “sconforto” di quelli che sosterrebbero che in età antiche sono esistite culture vagheggiate come “sapienti”, è bene mostrare che la gestione del Potere non era migliore in quelle supposte età dell´oro che mai sono realmente esistite!
Forse l´esempio migliore per dimostrare la tesi della non esistenza della democrazia è nell´esame politico sociale della mitica e celebrata Atene del periodo post ellenico e classico, quello dei Legislatori, infatti, anche qui, il Potere era egemonico aristocratico oligarchico, pur essendo gli Arconti eletti annualmente e senza possibilità di rinnovo della carica.
Quel potere definito democratico al suo vertice era oligarchico, perché delle 4 caste sociali che contribuivano a formarlo solo i ricchissimi “pentacosiomedimmi” (pentacosiomedimmi)1 avevano la certa capacità d´eleggibilità nell´Arcontato (Arcontato) e di trapassare per diritto nell´Areopago (letteralmente collina di Ercole); mentre, al contrario, Cavalieri (Cavalieri) e Zeugiti (Zeugiti)2, i guerrieri e la media borghesia di quel tempo, potevano accedere alle sole cariche minori, quelle magistrali. Il quarto censo, i Teti (Teti)3, la classe dei poveri che prima di Solone potevano essere schiavizzati dai pentacosiomedimmi spesso loro creditori per usura, godevano solo del diritto politico di voto espresso come parere e non come vincolo della maggioranza popolare. Fu dopo Efialte e Pericle che anche questo censo, che aveva pagato con il sangue la propria “promozione”, fu ammesso alle cariche delle magistrature minori.
Di veramente democratico nella poleis ateniese c´era solo la Boulé (Boulé)4, se veramente esistita. Boulé in cui, secondo il periodo esaminato, gli eletti, quattrocento o cinquecento, erano estratti a sorte.
Dunque, il Potere era sempre strettamente oligarchico e saldamente mantenuto dagli Arconti, e, per mio giudizio, assai meglio strutturato e “onesto” in Sparta che in Atene, anche se alcuni docenti greci asseriscono che se parteggi per Atene sei democratico, mentre se parteggi per Sparta sei di Sinistra.
Ma qui non voglio discutere delle ideologie dei docenti greci, o delle poleis che tali necessariamente furono per mancanza di facili comunicazioni tra loro per l´orografia del territorio, e perciò trapasso velocemente in ciò che più mi preme discutere.
Il confronto che segue ha origine nel concetto di gestione della sostanza del Potere, ma più propriamente vuole chiarire il fatto che il possesso di grandi ricchezze non coincide mai con una visione democratica della società, come già ha dimostrato anche la cultura acheo/dorica/ellenica a cui classicamente ci si riferisce, quando si vuole risalire a tempi precedenti a quelli di Roma.
Inoltre, e concludo, il possesso di grandi ricchezze conduce ad alterazioni della personalità che possono assommarsi anche con altre pregresse; ergo, la ricchezza non è sinonimo di saggezza, e chi invece ritiene che essa sia la massima virtù dell´uomo è solo lacché del più ricco, e rivendicatore di diritti acquisiti solo per censo.
In altra occasione tratterò del perpetuarsi del Potere considerando che si tratta sempre di poco numerosa oligarchia che lo detiene e che può essere facilmente distrutta dalla assai numerosa massa dei diseredati.
Le relazioni oggettuali nel “confuso”.
Il “vecchio, spesso ascoltavo quand´ero bambino, è la caricatura del giovane che fu, e qualcuno più colto aggiungeva: “Se poi sta male perché sclerotico il mondo gli appare un luogo -lontano-, inospitale e odioso, ma contemporaneamente amato e desiderato perché ritenuto bisognoso di cure che soltanto lo stesso -vecchio confuso- può offrirgli”.
E´ chiaro che non tutti sono preda di confusione senile spesso prodromo verso il morbo d´Alzheimer, l´antica demenza senile, ma quelli che ne cadono preda, quando non controllabili per il censo d´appartenenza e Potere, sono pericolosi per sé e per gli altri… E figuriamoci quel che succede se il “confuso” che ha Potere considera gli altri sue pedine da manovrare.
Purtroppo, per la colonia Italia s´aggira un vecchio “confuso” rifatto nell´aspetto, ma personaggio dai tanti difetti morali che la natura volle donargli.
Il vecchio “confuso” è d´assai bassa statura che inevitabilmente fu inconscio trauma in epoca giovanile, tanto da influire a sviluppargli aggressività sfociata in comportamenti di lotta che si manifestarono con “predonomia” (C. Viola), o “istinto fagico” secondo G. Raya.
L´istinto fagico, la fame sublimata e allegorica, e la predonomia, apparenti similarità che qui non analizzo benché abbiano diverse impostazioni concettuali, in altre parole le gran molle che tutto muovono, smodati tropi del diritto di possesso, inconsciamente spinsero nel tempo il “confuso” soggetto del nostro discorso a credere di avere organizzato con il proprio mondo una relazione oggettuale in cui la nozione di un oggetto è intesa non come cosa, ma come totalità di cose che può essere assommata in una persona reale o un´entità fantasmatica.
Dunque, la “decadente” personalità di questi soggetti stabilisce con gli oggetti del proprio mondo relazioni che si sviluppano con due diverse modalità:
La prima prevede una scelta narcisistica dell´oggetto relazionato
La seconda ammette una scelta anaclitica o d´appoggio.
La scelta narcisistica avviene ogni volta che un soggetto “confuso” s´avvale di una ricerca oggettuale mirata verso una rimembranza di dipendenza infantile. Per questo l´oggetto/persona è scelto tra quelle figure parentali che per il “confuso” hanno rappresentato un modello in tema di protezione in epoca infantile, ma anche d´accudimento e di cure. Insomma, si tratta d´oggetti/persona che raffigurano, nel ricordo del “confuso”, sicurezza e affidabilità.
La scelta anaclitica si manifesta, invece, quando nel “confuso” assurge a modello da imitare solo la propria persona/personalità fondata su un modello di dipendenza infantile da qualcuno, o anche da un oggetto che con il sé abbia stretta relazione reale o immaginaria.
Nel “confuso” cui accenno in questo discorso la via anaclitica che conduce nel suo caso al dissolvimento delle certezze è facilmente sostenibile, perché di se stesso, proprio questo “confuso”, ha esagerata auto stima che lo dirige anche a ritenersi l´unico oggetto con valore da imitare.
In parole più semplici la confusione mentale spinge questo confuso a contemporaneamente ritenersi metro di giudizio e unico degno oggetto di misurazione, escludendo dal rapporto ogni altro soggetto perché sempre apprezzato soltanto come azione disturbante che deve essere cancellata, o almeno molcita.
Per chiarirmi con citazione più qualificata del mio parere, a dimostrazione della tesi assunta e della sua dimostrazione, riferisco ciò che classificò Freud nel concetto narcisistico.
La via narcisistica mette in luce che il soggetto “confuso” approva e ama:
Ciò che lui stesso crede d´essere senza dimostrarlo. Da questo suo amore di super valutazione del proprio io è cancellato chiunque gli sia di disturbo.
Il “confuso”, ancora, ama e valuta solo ciò che lui stesso è stato, ovviamente auto esagerando, nel ricordo, il valore del sé.
La risultanza della sommatoria delle posizioni a e b, conducono il “confuso” a credersi capace anche di ciò che non è, perché ogni meta a sé riferita è ritenuta sempre fattibile.
Il “confuso” può accidentalmente approvare e amare una persona che però sia creduta parte integrante e necessaria del proprio modo d´essere.
Secondo i dati riportati appare chiaro che per il “confuso” l´atteggiamento omosessuale è anaclitico, mentre l´omosessualità è narcisistica.
Così, allorché accade la perdita dell´oggetto, o per morte fisica dell´oggetto stesso, o per allontanamento da esso, aumenta la tendenza del “confuso” a immedesimarsi con la persona/oggetto perduta.
Le psicosi confusionali sono dunque rappresentate da una serie di forme morbose con disparata etiologia.
Accanto ai soggetti in stato confusionale, non sempre facilmente comprensibili al pubblico, se ne trovano altri che per evoluzione e dissoluzione delle facoltà intellettive superiori, per qualsiasi etiogenesi, realizzano forme patologiche più gravi con idee deliranti dotate di cardini evanescenti.
Dunque, da una parte ci sono uomini con idee che sono irreprensibili nell´universo di riferimento, e altri, i “confusi deliranti”, che si manifestano come soggetti che hanno perduto la coerenza mentale che si manifesta con dissoluzione dei valori che appartengono alla società di cui loro stessi fanno parte.
In altre parole, i deliranti producono falsi giudizi dotati di caratteri esteriori che inconsciamente perseguono un iter mentale che si fonda su:
1 – Assoluta certezza soggettiva della propria ideazione. [Io ho sempre ragione]!
2 – Confutazioni di proposizioni oggettive altrui anche se irrefutabili e, dunque, d´irriducibilità da parte dell´esperienza. [Chi non ha le mie idee, o le critica, ha sempre torto. O, anche, le idee altrui sono sempre sbagliate se non collidono con le mie].
3 – Inammissibilità evidente del contenuto di una proposizione altrui. [L´idea da altri partorita è certamente improponibile].
E´ perciò possibile affermare che l´insorgenza di un delirio ammette che esiste una residua capacità di critica e giudizio, così, solo dove ancora esiste una capacità di queste due indispensabili capacità può nascere un delirio.
E l´evidente capacità di critica e giudizio, nel “confuso delirante”, si manifesta con delirio d´onnipotenza senza che gli interlocutori siano capaci d´opporsi per svariate ragioni.
Nel delirante, dunque, si trovano rappresentati, come già accennato, falsi giudizi che mostrano capibili caratteri esteriori anche se sfumati nella loro precisione:
a – Incondizionato convincimento soggettivo del delirante a fornire giudizi ritenuti sempre assoluti e veri.
b – Irriducibilità, nel delirante, della propria esperienza considerata come unica depositaria di verità, anche capace di dare vita a confutazioni verso pensieri/oggetti altrui anche se irrefutabili.
c – In ultimo, il delirante realizza il rifiuto del contenuto del giudizio altrui.
Dunque, il delirante non è disposto a discutere se stesso o le proprie idee, come anche farebbe un normale convinto delle proprie tesi. E´ perciò necessario comprendere che la differenziazione patologica delirante intercorrente con la normalità risiede nel fatto che gli argomenti contrari sono sempre veementemente combattuti, e mai presi in considerazione.
Importante è scoprire nel delirante il suo senso di “Wahnstimmung”, ossia il senso di irrequietezza che lo spinge a cercare un punto fermo a cui aggrapparsi, per esempio accusare altri che normalmente espletano il loro lavoro di giudici di essere persecutori del proprio “io”, e da ciò nasce una reazione di spavento che porta il contenuto delirante a rafforzarsi per meglio tutelare il sé.
Per terminare questo scritto che potrebbe divenire assai lungo e noioso per chi non a conoscenza della materia psichiatrica, presento una breve sinossi delle tematiche deliranti più comuni:
Megalomania (Io sono il migliore presidente del potere esecutivo);
delirio persecutorio spesso associato con il precedente (Mi perseguitano gli uomini che indossano toghe rosse);
delirio erotico con manifestazioni d´atteggiamento di potenza (Io notoriamente non sono un santo)
delirio di rapporto che è all´origine di altri temi deliranti;
delirio d´interpretazione.
Ritengo, a questo punto, di avere sufficientemente illustrato le deviazioni della personalità di un vecchio confuso che vuole credersi inossidabile.
Kiriosomega
Nota 1 MEDIMMO: Unità di misura e, per estensione, una delle quattro caste della poleis. 1 medimno, come unità di misura della ricchezza posseduta, era calcolato come produzione cerealicola annua pari a 52 Kg per 500 medimmi = 26 tonnellate; oppure questi ricchi agiati dovevano produrre 500 metrete di vino od olio, in questo caso l´unità di misura era la metreta, il cui valore unitario era equivalente a circa 39 litri che per 500 da un valore di l 9500 annui.
Nota 2 Zeugiti: erano piccoli proprietari terrieri così chiamati perché, per arare i loro campi, dovevano possedere almeno una coppia di buoi “zeugos”.
Nota 3 Teti: godevano solo del diritto elettorale prendendo parte all’assemblea popolare. Era loro interdetto l’accesso alle magistratura.
Nota 4 Organismo, previsto dalla costituzione di Clistene, entrato in vigore nel 508/7 a.n.e. Era formato da cinquecento membri, ogni tribù ne eleggeva cinquanta distribuiti tra i Demi ( Demi contrade della poleis) in proporzione alla popolazione residente. I membri venivano sorteggiati da una lista di candidati precedentemente eletti dalle tribù. Gli oligarchi autori del colpo di stato del 411 a.n.e. guidati da Antifonte abolirono la Boulé clistenica e la sostituirono con la Boulé dei Quattrocento, costituita da membri scelti da una apposita commissione, a cui attribuirono la facoltà di eleggere i magistrati dello Stato.