“La morte cerebrale non esiste” – Finalmente una prova scientifica dal notiziario di Libero.it – Commento di Nerina Negrello della Lega Nazionale Contro La Predazione di Organi
Gentile Paolo D’Arpini,
Abbiamo appena inserito un commento all’articolo “Stato vegetativo: la svolta” su www.libero-news.it. Dato che per ora non compare, e nella speranza che non lo censurino, glielo riportiamo di seguito.
STATO VEGETATIVO E MORTE CEREBRALE
Le certezze millantate nei comi vegetativi, ora scardinate da nuove tecnologie di “scanning” tipo risonanza magnetica, che hanno evidenziato attività di pensiero in corpi paralizzati, devono servire a sconfiggere il falso concetto di “morte cerebrale” dichiarata a cuore battente e imposta da leggi inique per favorire il business degli espianti/trapianti.
Lega Nazionale Contro La Predazione di Organi e la Morte a Cuore Battente
E’ già dal 2002 che si riportano sulla stampa studi su attività cerebrali nei comi vegetativi grazie a nuove tecniche di indagine, ma al clamore iniziale non segue nessuna autocritica concreta da parte dei medici che sentenziano sulla reversibilità o irreversibilità dei comi, compreso quello classificato “morte cerebrale” che ci riduce a pezzi di ricambio.
Le alleghiamo il nostro comunicato del 25/09/09 “Coma vegetativo – Stato di minima coscienza – ‘morte cerebrale’ certezze millantate” che tratta di uno studio pubblicato sul BCM Neurology del 21/07/09, dove già si rilevava che molte persone dichiarate in stato vegetativo sono in effetti in uno stato di minima coscienza o come nel caso di Rom Houben in piena coscienza ma impossibilitato a comunicare.
Se tanto mi dà tanto, è ovvio che anche la ‘morte cerebrale’ è frutto dell’ignoranza e presunzione dei medici.
Cordialità, Nerina Negrello – Lega Antipredazione
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COMA VEGETATIVO – STATO DI MINIMA COSCIENZA – “MORTE CEREBRALE” CERTEZZE MILLANTATE
A quanti seguono con attenzione lo sviluppo “nebuloso” della Sanità istituzionale nel settore degliespianti/trapianti, vogliamo sottoporre l’articolo dell’Economist, da noi tradotto, che segnala unlavoro di ricerca sul coma vegetativo pubblicato su BCM Neurology del 21/07/09 (“Diagnosticaccuracy of the vegetative and minimally conscious state: Clinical consensus versus standardizedneurobehavioral assessment” di Schnakers, Vanhaudenhuyse, Giacino, Ventura, Boly, Majerus,Moonen e Laureys), tema di particolare attualità nella sua complessità. L’articolo ci è statotrasmesso dai colleghi medici inglesi, che lo hanno visto come passo avanti nella critica allecertezze sul coma e come speranza di sviluppo di critica alla cosiddetta “morte cerebrale”.
L’importanza di questo articolo sta principalmente nel fatto che gli stessi neurologi ammettono chenon ci sono certezze e che sono stati fatti considerevoli errori di diagnosi, quindi è incomprensibile che si possa sostenere la “morte cerebrale” a cuore battente ed imporla, considerato che anche inquella non ci sono certezze. Questo studio contrappone fra loro due indirizzi autoritari nei confronti del paziente, neurologi cherivendicano la loro professionalità e abilità di giudizio e altri che ne contestano sia le abilità che l’onestà e propongono protocolli di classificazione standard. A noi resta il sospetto che, pur in buonafede, si possa profilare un protocollo autoritario sullo stato vegetativo similare al protocolloautoritario che impone la “morte cerebrale” e quindi il rischio futuro di prelievo di organi dei dichiarati in coma vegetativo permanente.
Ci sono delle Consulte di bioetica che hanno già proposto l’equiparazione dello stato vegetativo permanente alla morte
Comitato Medico: Prof. Dott. Massimo Bondì L.D. Pat. Chir. e Prop. Clin. Univ. La Sapienza Roma Patologo e Chirurgo generale Presidente Nerina Negrello Buona lettura!
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Sulla diagnosi del coma: Sorte avversa per qualcuno…
23 Luglio 2009 da The Economist edizione stampataTradotto da Lega Nazionale Contro la Predazione di Organi e la Morte a Cuore BattenteUno studio recentemente pubblicato sostiene che molte persone a cui è statodiagnosticato uno stato vegetativo, non lo sono. E’ una questione di “etichette”. Veramente possono fare la differenza tra la vita e la morte. Una persona in un letto di ospedale con un’etichetta con la scritta “stato di minima coscienza” sarà sottoposta ai trattamenti di sostegno alla vita a tempo indeterminato.
Se sull’etichetta è scritto “stato vegetativo” questi trattamenti possono essere sospesi in qualsiasi momento. Un profano può noncapire la differenza, ma un medico sì. O no? Caroline Schnakers, Steven Laureys e loro colleghi dell’Università di Liège hanno appena pubblicato un preoccupante studio sul ‘BioMed Central Neurology’ che sostiene che forse non è così. Forse un medico non può capire la differenza o peggio, preferisce usare la sua intuizione piuttosto che usare le ultime tecniche diagnostiche per affermare la differenza. Di conseguenza, molte persone potrebbero rischiare la sospensione dei trattamenti di sostegno alla vita anche quando hanno segnali intermittenti che la loro coscienza non è del tutto scomparsa.
I pazienti in stato vegetativo sono quelli che non mostrano alcun segno di coscienza e i tribunali dimolte nazioni possono prendere in considerazione le istanze per l’interruzione dell’alimentazione eidratazione, permettendo loro di morire (come è successo nel caso molto mediatizzato di TerrySchiavo, in Florida, qualche anno fa), per poi espiantare i loro organi per trapianti.
I pazienti che mostrano segni di coscienza -quelli che sono in grado di obbedire ad un comando, per esempiosbattere le palpebre o seguire con gli occhi un oggetto in movimento- vengono definiti ‘nonvegetativi’ e questa sorte viene loro risparmiata. Ci sono delle prove che questi pazienti, adifferenza dei pazienti in stato vegetativo, possono sentire il dolore e quindi ci si impegna adalleviare la loro sofferenza e a riabilitarli. Tutti sono d’accordo che distinguere tra questi due tipi di coma non è mai stato facile.
Anzi nel 1996 Keith Andrews e i suoi colleghi del ‘Royal Hospital for Neurodisability’ di Londra hannotrovato che il 40% dei loro pazienti in stato vegetativo erano stati diagnosticati erroneamente.All’inizio di questo decennio però i medici hanno avuto a disposizione due nuove tecniche e ci siaspettava perciò che le cose migliorassero.Un battito di ciglia, e puoi scamparlaUno dei metodi innovativi era una nuova categoria diagnostica – lo stato di minima coscienza. Questo descrive pazienti che stanno un po’ meglio di quelli nello stato vegetativo, perché mostranooscillanti segni di coscienza. Ad esempio, qualche volta, ma non sempre, potrebbero passare il test del riflesso palpebrale.
L’altro nuovo metodo era la “JFK Coma Recovery Scale” (una scala direcupero dal coma). Questo consiste in oltre 20 test clinici e si caratterizza nella possibilità per imedici di distinguere non solo i pazienti in stato vegetativo da quelli in stato di minima coscienza,ma anche quelli che sono usciti dallo stato di minima coscienza. Questo metodo è ampiamenteaccettato in quanto dà una diagnosi accurata di queste condizioni. Ma lo stanno applicando?Lo studio del team di Liège, ritiene di no. Hanno confrontato le diagnosi di 103 pazienti secondo l’opinione dei medici curanti e quelle determinate dalla scala di recupero dal coma.
Di questi pazienti presi in considerazione, 44 sono stati diagnosticati dai medici curanti in coma vegetativo, mentre la scala di recupero del coma indicava che 18 dei 44 fossero in uno stato di minimacoscienza. Questa è la stessa percentuale di errore – circa 40% – che il dott. Andrews aveva rilevato13 anni prima a Londra. Sembra anche che 4 di 40 pazienti diagnosticati in stato di minima coscienza, ne erano poi usciti.
Sebbene i loro medici non l’avessero notato, questi pazienti erano aquel punto in grado di comunicare.La conclusione cauta del Dr Laurey è che i neurologi non vogliono che la loro abilità diagnosticavenga rimpiazzata o superata da una scala di recupero. Ritiene che lo stato di minima coscienza siauna diagnosi relativamente nuova ed è possibile che qualche medico non sia ancora a suo agio conil criterio, ma questa è una ragione in più per utilizzare la scala di recupero. Il guaio di una diagnosi basata sulla convinzione dei medici, piuttosto che su una misurazione, è che essa è soggetta alleinfluenze esterne, ad esempio delle compagnie assicurative che secondo Dr Laurey preferiscono unadiagnosi di stato vegetativo ad una diagnosi di stato di minima coscienza, perché coloro che sono instato vegetativo non richiedono costose riabilitazioni.
Tutto ciò è inquietante. E’ vero che lo studio di Liège è una singola ricerca, ma se fosse ripropostaaltrove metterebbe in discussione sia il trattamento dei pazienti più vulnerabili, che la serietà deimedici nei confronti degli strumenti a loro forniti dalla scienza con fatica.