Dal Treja a Treia oppure da Treia al Treja… un viaggio nel sé

Non sono per nulla facilitato a scrivere un resoconto di un viaggio di cui non si sa quale sia l’inizio e la fine. Inizia nello stesso modo in cui finisce: da Treja a Treia, oppure da Treia a Treja, cambia solo una lettera, il suono è lo stesso ed anche la sensazione di casa, di presenza costante dell’io.

Un viaggio che è un sogno?   Certamente come tutto il resto della vita.

Da diversi anni non mi spostavo da Calcata se non nel raggio di cento chilometri. Stavolta ne ho percorsi trecento all’andata e trecento al ritorno, senza però cambiare di molto la sensazione di essere sempre e comunque nel luogo che io sono, che mi appartiene ed al quale io appartengo.

“Un viaggio così si compie anche in un metro quadro!” Dice Marinella Correggia nella sua presentazione della mia persona e di Calcata.

Ed eccomi qui, nel mio metro quadro, giusto lo spazio per allungare le mani, le braccia e spingere una gamba dietro l’altra, senza mai uscire fuori da qual “centro del mondo”.

Un viaggio virtuale? No è un viaggio nella coscienza della coscienza…

Attraversare gli Appennini con il sole e ritornare per la stessa strada con la neve ha stabilito il senso del passaggio del tempo. Passare da un ambiente ruvido, scheletrico, profondo come la morte, l’ambiente del Treja, per arrivare sul corpo dolce e sinuoso di una terra molto femminile e viva, quella di Treia… è come una rinascita.

La mia anima ha ritrovato la giovinezza di Otello, che viveva in uno scantinato scolpendo lapidi mortuario e ricevendo cibo amoroso dalla padrona di casa. In quella stessa stanza, che oggi è una calda alcova, piena di luce, colori calori… ho rivisto un me stesso prima dell’esilio.

Ma dov’è il luogo dell’esilio – Treja o Treia?!

Il fuoco scoppiettante di un camino è lo stesso, l’aria è la stessa, il gustoso cibo è lo stesso, l’abbraccio di chi mi ama è l stesso, le carezze, le parole di conforto, il buio, il vento, l’acqua che bagna…

Insomma sono partito, sono arrivato, sono tornato… non lo so, non posso dirlo, ho provato a raccontarlo, a trasmettere delle immagini… ma forse tutto è rimasto così… sono nella mia mente.

La mente universale racconta in silenzio!

Paolo D’Arpini

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Breve commento aggiunto.

“Tara che significa Liberatrice, Salvatrice,  fu il primo essere che ottenne l’illuminazione in forma femminile. Tara è un principio illuminato e, anche se a noi mancano le realizzazioni per poterla vedere, è presente ovunque;  non dovete pensare che Tara sia solo un simbolo dipinto sulle tanghe  od una divinità che vive in una Terra Pura, lontano da noi. Essa rappresenta il potenziale pienamente realizzato della nostra mente. Pregare Tara e meditare su di lei ci procura solo dei vantaggi, anche materiali, aumentano le ricchezze, la lunghezza della vita, la fama ed i meriti…”  (Cintamani Chakra)

Ho voluto inserire questa postilla sul significato di Tara per  far capire che essa si è manifestata come la  mia accompagnatrice in questo viaggio nel sé. Essa mi ha sorretto ed ha reso possibile ogni mia esperienza e meditazione, ogni sentimento ed ogni pentimento. Tanto l’ho sentita presente e tanto l’ho riconosciuta al mio interno che quasi  mi sembrava superfluo dare alla forma fisica che essa ha incarnato per me un nome, una specifica forma… ma questo nome e questa forma vanno menzionati e identificati in  Caterina Regazzi, in lei ho riconosciuto la controparte femminile del mio essere e con  lei ho compiuto il viaggio  dal Treja a Treia e ritorno.    (Paolo D’Arpini)

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