Copenhagen: “Note dal vivo e racconto di prima mano sugli accadimenti e sui discorsi dall’interno della Conferenza ONU sul Clima” Da Tommaso Fattori, sconsolato…

Scusate gli errori e l’approssimazione di queste note, non ho molto tempo per stare al computer,  ve le mando nel caso in cui queste mie  “in tempo reale” possano interessare qualcuno.

Frammenti (sparsi) dalla Conferenza ONU sul cambio climatico di Copenhagen….

Per il momento non c’e’ niente di ufficiale ma sono in molti fra i negoziatori a ritenere che effettivamente le Nazioni Unite possano chiedere ai 119 capi di Stato e di governo di non partire questa sera, anche se per il momento le UN non hanno confermato. La voce di un possibile prolungamento della conferenza in realtà circolava da molto tempo, motivo per cui molti di noi avevano acquistato il biglietto di ritorno con qualche giorno di margine rispetto alla fine “ufficiale” della conferenza. Per ora circolano alcuni  draft di possibili dichiarazioni conclusive e una nuova bozza che sono agghiaccianti e preoccupanti. Comunque stiamo a vedere. Continuano ad alternarsi riunioni informali fra le delegazioni. Circola anche un nuovissimo studio delle UN che sostanzialmente dice che sarà tragedia anche se venissero mantenuti gli impegni per ora previsti dalle bozze sul tavolo del negoziato…

Obama ha detto nel suo intervento in plenaria oggi che non si tratta più di discutere se i cambiamenti climatici esistano o meno, siano una seria minaccia o meno (cfr posizione amministrazione Bush) “ma di come affrontare il problema”.

Il premier cinese Wen Jiabao nel suo discorso ha richiamato i Paesi del Nord del mondo alle loro responsabilità storiche e legali in merito ai cambiamenti climatici.

E’ piuttosto evidente che ormai Usa e Cina siano di fatto irremovibili rispetto alla difesa dell’unilateralismo (rifiuto di ogni possibile trattato multilaterale vincolante). Questo era anche il senso dell’accordo di Cina e Usa prima di Copenhagen: uscire di qui senza un trattato e semmai con impegni (unilaterali) da parte dei due; per questo la delegazione cinese e’ molto innervosita dai continui attacchi Usa che cercano adesso di scaricare sulla Cina le responsabilità del mancato accordo (anche se tutto il mondo sa bene che gli Usa non solo non hanno aderito a Kyoto e che sono i principali inquinatori e consumatori di risorse (rispetto al numero di abitanti), ma mai hanno accettato di firmare alcunché di vincolante).

Obama cercherà   di fare una qualche “sorpresa” (tutti qui parlano da giorni di questa sua evidente strategia: presentare all+’ultimo momento un qualche colpo di scena che, seppur di modeste dimensioni effettive, possa essere annunciato come un successo rispetto alla situazione di stallo attuale, che lascia presagire un fallimento storico di dimensioni tragiche). In ogni caso Obama è vincolato dalle scelte del congresso Usa che non lasciano molti spazi di manovra alla presidenza.

Lo scontro fra G7+Cina e i paesi ricchi e’ sempre più aspro. Il tentativo di calare dall’alto una bozza di accordo mai discussa dalle delegazioni ha fatto infuriare tutti i paesi poveri: un metodo simile a quello usato dai paesi del Nord nelle trattative WTO, è stato detto, dove il Nord cerca di imporre al Sud le proprie condizioni, saltando ogni reale meccanismo di co-decisione. La frustrazione delle delegazioni in generale e’ enorme. Di fatto non esiste un vero testo condiviso e delegazioni e gruppi di lavoro hanno lavorato a volte anche quasi l’intera nottata per cercare trovare un accordo.

Ma ora qualche parola su questi ultimi giorni così detti dell’ “high level” della conferenza:

16 dicembre

L’ AWG-LCA sta terminando(poco prima delle 7 del mattino!) la sua plenaria, proprio mentre altri delegati stanno tornando al lavoro…

La polizia sta interamente circondando il Bella Centre, dato che verso le 8 del mattino i manifestanti si sono dati appuntamento all’esterno per una marcia che arriverà fino al Bella Centre. L’idea (naturalmente ritenuta di difficile realizzazione) è quella di entrare dentro il Bella Centre e portarvi la voce e le richieste delle organizzazioni della società civile e dei movimenti per la giustizia climatica e ambientale. Chi di noi e’ invece all’interno della conferenza si è proposto di cercare di raggiungere i manifestanti in segno di solidarietà e vicinanza, mostrando un’ideale “ricomposizione” e l’apertura della UNFCC alle richieste della società civile globale. Purtroppo le cose vanno male: ancora manganellate della polizia, ancora arresti fuori dal Bella Centre.

All’interno, invece, due di noi riescono incredibilmente a salire sul palco della plenaria mentre sono in corso le dichiarazioni dei capi di governo. Poche parole (sulla necessità di una giustizia climatica ecc) ma che riescono a portare dentro la UNFCC la voce della protesta. Pare incredibile, ma la sicurezza colta alla sprovvista interviene solo tardi (sono tutti alle porte a controllare che chi entra sia autorizzato: ci sono infatti vari livelli di “accredito” e solo pochissimi di noi avevano accesso alla plenaria “high level” con le dichiarazioni di ministri e capi di governo, per la quale era necessario un accredito speciale, oltre ai due già necessari per entrare in generale negli spazi attorno alla conferenza); credevano insomma che dentro la sala  tutto fosse totalmente “sotto controllo”. Da quel momento è partita una fase (perdurante) di pressoché totale ritorsione/esclusione dei rappresentanti della società  civile dalla conferenza (inizialmente portando a 0 il numero dei nostri accrediti, poi cresciuto, dopo infinite contrattazioni, ad un numero comunque ridicolo; questo ha mandato su tutte le furie una buona parte della conferenza e ha generato polemiche sulla non-democraticità  delle decisioni prese e sulla incredibile esclusione di tanti dagli ultimi passi della conferenza: magari rappresentanti che sono venuti da continenti lontani e che ora sono tenuti fuori. Aggiungo solo che dopo la dichiarazione sul palco, di fronte ad un impassibile segretario generale dell’ONU, il presidente della sessione ha ringraziato compitamente: “grazie, il vostro messaggio ci e’ arrivato”. L’intervento successivo era quello di Chavez, quindi potete immaginare cosa abbia detto sull’importanza di ascoltare la voce della protesta (non senza l’immancabile retorica nota a chi conosca Chavez…).

Comunque, la giornata del segmento “high level” era già iniziata con un fatto che era atteso ma che ha sollevato mille “voci di corridoio”: il passaggio di consegne dalla Hedegaard al primo ministro danese Rasmussen alla presidenza della COP15.

Molti sostengono che il passaggio sia stato dovuto non tanto a questioni di protocollo bensì  ai difficilissimi rapporti (nei giorni precedenti) fra la Hedegaard e i paesi così detti in via di sviluppo. Tensioni poi sfociate in questo avvicendamento (i paesi del Sud hanno ripetutamente accusato la Hedegaard di pensare a tutelare solo gli interessi del Nord). Avendo assistito con attenzione alla drammatica presidenza della plenaria da parte di Rasmussen direi che le cose non sono certo migliorate: i delegati (in particolare di Cina e Brasile, poi seguiti da vari altri paesi compresa l’America latina) hanno ripetutamente attaccato la presidenza in merito alla proposta di avanzare un documento (sostanzialmente definito dalla Danimarca assieme a Usa e forse UE) che di fatto fosse sostitutivo rispetto a quello discusso nei giorni precedenti dalle varie delegazioni giorno e notte. Un vero colpo di mano. Cina e Brasile hanno ripreso la parola più volte, chiedendo spiegazioni al presidente. Rasmussen, con scarse capacità diplomatiche, era visibilmente imbarazzato e innervosito; prima ha cercato di dire che non si poteva bloccare con questioni di merito la plenaria,poi ha detto che era necessario un documento che sbloccasse una situazione impantanata (nuovamente gli e´stato detto che non si può “calare dal cielo”- ennesimo intervento Cina- un documento facendo carta straccia di un testo discusso giorno e notte, perché questo atteggiamento, lungi dal rappresentare lo sblocco della situazione, avrebbe piuttosto rappresentato un ulteriore blocco a eventuali progressi); infine Rasmussen è  arrivato persino sostanzialmente a negare: “comunque al momento non esiste alcun documento alternativo…” (incredibile e impacciato nel gestire la situazione: ormai aveva già ammesso che comunque il documento c’era e che l’intenzione era di presentarlo per sbloccare la situazione). Poi questo si è trasformato in un vero e proprio passo indietro della presidenza danese, che ha compreso l’errore.

Purtroppo qui fra le mani ho solo una versione cartacea del documento elaborato in questi giorni dalle commissioni (il post-Kyoto), che ovviamente e’ documento cosi´detto “limited” (ottenuto per vie traverse…), di cui non ci sono ancora versioni elettroniche. Ma per chi fosse interessato ho però file dei resoconti (non ufficiali ma precisi) dei lavori “notturni” e diurni delle varie commissioni (trattandosi però  di emendamenti al documento, forse poco utili se non si ha la versione integrale sotto mano…)

In ogni caso la giornata si e´conclusa con grandi lavorii dietro le quinte sul come procedere il giorno seguente (e con l’esclusione di gran parte dei rappresentanti della società civile dalla Conferenza… “per motivi di sicurezza”).

17 dicembre

Rimane poco tempo per raggiungere un accordo, sembra che siano in pochi ad avere la speranza di un accordo all’altezza dei problemi e delle mille questioni rimaste aperte. L’idea e’ che tutto si sposterà nei prossimi mesi (e non sarà  più facile risolvere i problemi aperti, a meno che nel mondo non ci sia una sollevazione generale dell’opinione pubblica)

Ora ci sono fra gli altri Lula, Calderón, Evo Morales, Gordon Brown, Chavez, Rudd, Sarkozy, Merkel, Ahmadinejad, Evans Atta-Mills, Hillary Clinton che si aggirano per il Bella Centre. Molti negoziatori insistono sul fatto che non viene raggiunto un accordo ora che l´attenzione dei media é massima e gli occhi di tutto il mondo sono puntati qui sarà difficile a maggior ragione trovare un accordo nel prossimo futuro (cioè prima che sia troppo tardi).

Nei giorni scorsi ho incontrato (nei corridoi) vari scienziati (compreso il vice-presidente dell’IPCC): sono tutti profondamente preoccupati del fatto che i politici non abbiamo di fatto compreso la portata dei problemi in gioco. Aggiungo: qui tutto sembra davvero ancora troppo interno alla sola questione economico-finanziaria (l’attenzione fondamentale e’ nel gioco fra i paesi rispetto al non perdere “competitività” sul mercato ecc, chi deve pagare ecc); la sensazione è che le priorità continuino ad essere altre, che tutti siano ancora avviluppati e imprigionati entro altri “ordini di discorso”.

Tra l’altro i “contenuti” mancano quasi del tutto dalle discussioni del COP15 (si discute di procedure, assai poco dell’oggetto delle procedure e dell’oggetto delle politiche da adottare); questo crea una strana sensazione, quasi di  estraniamento.

Ah, dimenticavo (scusate l’eterogeneità e l’illogicità di queste note): l’intervento dell’Italia (Prestigiacomo) è stato calendarizzato in plenaria giovedì notte (scorso) attorno alle ore 1 (fra quello dell’Afghanistan e  quello del Togo- mi pare- e un paio di interventi prima di quello del Panama -non era lì che voleva infatti andare Mr. B?- questo a conferma di quanto ripete costantemente il nostro presidente del consiglio  (e i suoi dipendenti al governo e in parlamento): l’importante ruolo riconosciuto all’Italia nel mondo, assai accresciutosi durante la sua presidenza… Ne abbiamo avuto tutti conferma qui all’UNFCC.

Nella conferenza stampa della mattina di  giovedì la Clinton ha annunciato che gli Usa sono pronti a lavorare (assieme agli altri paesi) per assicurare 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020. IL Giappone poco prima aveva annunciato un impegno (del paese) per 15 miliardi di dollari di qui al 2020.Sarkozy, in plenaria, ha insistito sul bisogno di finanziare i così detti paesi in via di sviluppo.

Il problema vero, però, e´che i paesi ricchi (Usa in testa) non hanno nessuna intenzione di rinunciare ai “diritti di proprietà intellettuale” per il trasferimento di tecnologie verdi ai PVS. Questo ormai pare chiaro ed è proprio questo uno dei principali scogli per raggiungere un effettivo accordo in grado di salvare il clima. Ma significherebbe rinunciare a enormi profitti (per il nord e per i paesi detentori dei diritti di proprietà intellettuale su conoscenze e tecnologie). E infatti spesso si sente ripetere fra i delegati “it’s all about money…”. Così come è vero che Obama is not Bush, but Usa are the Usa.

Un abbraccio (sconsolato)  Tommaso Fattori

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