Presagi D’Arpini: “Quando non ci saranno più olivi e l’Italia sarà morta…” – Si avvicina la fine di un mondo!?
Quanti millenni ci son voluti per passare dall’olivastro, la pianta selvatica originaria, e giungere sino all’olivo, ricco di baccelli neri e gonfi di liquido benefico? Forse se l’Italia non fosse stata ricca di olio, vino e farro non sarebbe mai sorta la civiltà latina e Roma non avrebbe mai illuminato il resto del Mediterraneo con la sua luce di giustizia e civiltà. Noi siamo tutti debitori alla cultura/coltura dell’olivo, simbolo di ogni bene. Basti pensare alle parabole di Cristo e prima di lui ai riti dell’antica mitologia pagana in cui l’olio e l’unzione erano il simbolo di guarigione spirituale e di consacrazione regale. “Unto” era un titolo ambito e denotante nobiltà in tutti i sensi…. Non come oggi che si pensa subito all’unto, sporco e sgradevole, appiccicatosi sugli abiti e da lavare al più presto con il detersivo chimico… dal profumo di varechina, non certo con il sapone naturale poiché il sapone “vero” è fatto appunto con l’olio d’oliva!
Ma andiamo per ordine…
Stamattina come al solito in fase di salita a Canossa ecco che per la strada incontro una auto che mi si avvicina, riconosco il conducente è Amilcare (nome di fantasia) che è venuto a consegnarmi la bombola del gas che aspettavo da un paio di giorni. “Scusa… ho fatto tardi… ma sai questi giorni sto raccogliendo le olive…” – “Non ti preoccupare tanto non avevo molta urgenza, ma ora che fai torni su al paese nuovo?” – “Certo, scarico la bombola e ti accompagno…”
Così mi sono risparmiato la salita a piedi ed ho potuto chiacchierare sull’argomento che ancora interessa alcuni degli abitanti originari di Calcata: la raccolta delle olive.
Fino a qualche anno fa era evidente che queste raccolte stagionali avessero un valore enorme per la comunità, e mica solo le olive… anche l’uva, le nocciole, etc. A Calcata vecchia c’era ancora un frantoio quando venni qui ad abitare, era stato dimesso da poco, ed a Calcata nuova i frantoi in funzione erano un paio. Ricordo la fila dei carri carichi di olive che stazionavano davanti alle mole, aspettando il turno, e poi la festa dell’olio nuovo in cui tutti decantavano il proprio prodotto come il migliore… facendolo assaggiare sul pane, annaffiato dai primi vinelli di torchiatura, quelli che si facevano mescolando il vino vecchio con il mosto e che perciò maturavano prima…
A partire da settembre sino a dicembre era tutto un andirivieni di carri, trattori ed ancora radi asini con le gerle addosso… prima le nocciole, poi l’uva ed infine il Re olio, che garantiva la sopravvivenza familiare per tutto l’anno. I noccioli sono stati una coltivazione sostitutiva del grano o del farro, vennero immessi nella valle del Treja attorno agli anni ’60 del secolo scorso, non che prima non esistessero, anzi c’erano eccome ma erano della qualità lunga e coltivati a piante rade, come i meli, i peri, i pruni.. etc. Poi vennero messi in modo intensivo sostituendo quasi completamente gli alberi da frutto tradizionali e le altre coltivazioni estensive. Ma erano ancora i vigneti che venivano curati e corteggiati e soprattutto gli oliveti, le vere sedi della ricchezza e della sicurezza alimentare.
Quante ore e quanti giorni trascorsi a bere vino nelle varie cantine, per assaggiare il miglior nettare… quanti assaggi di olio… da sorbire con il cucchiaio prima di bere il vino, in modo da creare una patina oleosa nello stomaco e non ubriacarsi ai primi bicchieri… e quante nocciole sgranocchiate coi denti per aumentare la sete…. Quelle erano le giornate più belle dell’anno… ed anch’io ebbi la fortuna di viverle e gioirne, prima che Calcata nuova diventasse Canossa e Calcata Vecchia sodomia e Gomorra. A quel tempo il confine fra i due centri non era reale, era solo ipotetico. Calcata vecchia non era ancora diventata il teatrino della domenica e Calcata nuova era ancora la sede della tradizione contadina. Bei tempi!
Ma oggi disceso dalla macchina di Amilcare mi accorgo come tutta l’atmosfera sia cambiata.. improvvisamente mi rendo conto di non aver sentito in giro odore di mosto, quasi tutte le cantine vuote e silenti, appena appena una o due cumuli di vinacce fresche e solo qualche trattore con sacchi di olive, certo ancora qualcuno che raccoglie le olive e fa l’olio ed il vino c’é… ma solo anziani, e pian piano con la vecchiaia incipiente sempre più sento dire “Oh quest’anno le olive sono poche e brutte e malate, non le ho nemmeno raccolte…” – “Oh, la vigna l’ho tagliata, non c’era più nessuno che se ne prendesse cura…”… Persino gli alveari che sino a vent’anni fa erano il modo più facile per ricavare un dolce frutto, senza molta fatica, sono stati dimessi..
Quanti anni ancora ci restano prima della definitiva fine di questo mondo? E Poi?
Beh, non voglio terminare questa profezia D’Arpina senza una nota di speranza… Dovete sapere che in un grosso vaso, un vecchio contenitore dell’acqua che ho qui nel giardinetto del Circolo Vegetariano, che funge da vivaio di menta romana, qualche anno fa capitò che vi gettassi “per far concime” un nocciolo di oliva in salamoia di Peppino. Ricordo che quelle olive non erano ancora mature, molto verdi ed amare, eppure me le mangiai tutte egualmente… Miracolo! Un giovane olivo è nato da sé, un caso rarissimo che una pianta di olivo nasca da un seme ed ancora più raro che nasca da un seme di oliva in salamoia… Eppure la piantina sta lì… a testimoniare una voglia di esistenza contro ogni logica, ormai è già alta 30 o quaranta centimetri e promette di giungere a maturazione….
Paolo D’Arpini