La partita dei sorrisi: “Crocifissi, simboli ed allegorie religiose, suore e preti, memorie d’infanzia, andar per cessi a scuola…” di Elke Colangelo
Ciao Paolo,
non ho fatto in tempo ad annunciarti che lo sfogo personale dell’altro giorno, riguardo alla mia triennale permanenza in un collegio tedesco gestito da suore cattoliche, era ancora troppo incompleto (vedi lettera pubblicata su: http://saul-arpino.blogspot.com/2009/11/il-giornaletto-di-saul-del-7-novembre.html ), poiché solo una parte del mio pensiero. Spero tu possa ora anche allegare questo mio seguito del discorso, per darmi modo di precisare il mio sentire, riguardante l’odissea vissuta in età giovanile.
Difatti la mia opinione a banda larga, non è quella di risentirmi con alcune suore, così come feci a 14 anni, bensì quella odierna di capire che la chiesa e le sue regole da sola, non ha la maggior parte dei torti, almeno non in questo caso. Credo infatti, che per forza di cose ci debbano essere più cerchi circoscritti di pensiero, come possono esserlo le religioni ad esempio, ma non che questi debbano avere il diritto di decidere sui minori, perché loro ancora non possono farlo da soli e dovrebbero rimanere, diciamo così, in campo neutro, o perlomeno non forzati a seguire delle ideologie per evitare il castigo,visto che nemmeno Gesù usò questi metodi di forzatura, quando parlò a tutti dell’amore di Dio.
Con questo però, non voglio affermare che i minori non possano trarre alcuna ispirazione dalle varie ideologie o che sarebbe un bene togliere di mezzo ogni simbolismo religioso dalla faccia della terra. Inoltre, se proprio si vuole parlare di colpe, piuttosto che di sbagli, dovuti all’apprendimento dell’evoluzione umana, io li darei a tutti o per contro a nessuno. Sarebbero dunque condannabili anche gli assistenti sociali poco presenti sul posto, per controllare meglio dove non vengono rispettate tutte le applicazioni dei diritti dei minori, oltre a tutti gli altri organi preposti per la salute e il benessere dei bambini. Altresì sarebbe da tirar le orecchie anche ai genitori che lasciano fare, per menefreghismo o buona fede che sia…insomma non si finirebbe più di attribuire delle colpe inutili. D’altronde anche io dovrei sentirmi responsabile, se una suora cattolica o un’istitutrice laica, oggi riesce a deprimere un bambino dimenticato in un collegio qualsiasi, da qualche parte del mondo e lo siamo anzi tutti, tranne le persone abbastanza sensibili da aver poi la costanza di andare a portare un gioco, un sostegno impegnato in favore dei suoi diritti e un sorriso affettuoso, direttamente al bimbo che, segregato com’è dalla vita normale e privo di difese, da solo non può trovare sempre la forza di sorridere alla vita, nonostante tutto!
Abbiamo dunque tutti la responsabilità della nostra eventuale colpa, perché non c’informiamo sulle leggi e non scendiamo poi in strada per farle rispettare e per farlo ancor meglio, sarebbe certo utile divenire più consapevoli dei nostri stessi problemi personali….infatti a “pancia piena”, si pensa e si agisce certo molto meglio! Credo perciò, che l’unica opzione da valutare con attenzione, sia quella dell’opportunità che ci è data di poterci migliorare costantemente, senza cullarci nell’ansia di dover salvare il mondo intero tutto in una volta sola, il che ovviamente sarebbe un discorso utopico, oltre che falso; ma se ognuno tenesse aperto le mani per raccogliere anche una sola goccia di pioggia, come quella torrenziale, della quale raccontavi l’altro giorno sul tuo giornaletto, forse nemmeno la terra si sarebbe bagnata troppo e di certo tanti bambini soli nel mondo, come le piantine più fragili, non sarebbero sradicati e portati via dalla forza del fiume in piena, che si forma per la pioggia furiosa e con la quale la vita, prima o poi, ci sorprende tutti. Non so se rendo l’idea con quest’allegoria.
Vedi Paolo, questo mio discorso poi non vale solo per i bambini. Nello sfogo precedente, infatti, non ho menzionato tante altre cose, che ho potuto osservare in quell’istituto per “ragazze difficili”. (Dovrebbe essere vietata una dicitura del genere per descrivere le strutture minorili, che si leggono poi tra gli inserti dei giornali, le pagine gialle o la targhe davanti alle porte, come a emulare la marchiatura dei capi di bestiame di un ranch). Non so se oggi, dopo trent’anni le cose siano cambiate, ma non credo. Sarebbe dunque più giusto inserire tali nomenclature altresì sulle targhette dei citofoni, per esempio: “Famiglia Rossi = nucleo famigliare difficile”. Oppure sulle lapidi e le targhe commemorative: “Rossi Antonio = padre e marito difficile”, ma perché no, anche sulle bomboniere degli anniversari d’argento: ” Rossi Antonio e Ada Bianchi = coppia difficile” e sulle coccarde rosa o azzurre, che annunciano le liete nascite:” Fortunata Rossi = parto difficile”!
Eh già…credo proprio che nessuno a questo mondo si salverebbe, no, nemmeno lui, il nostro amato ma maltrattato pianeta terra, popolato da esseri umani difficili!”
Proprio perché in quel periodo, venni ingiustamente marchiata dalla società come una ragazza difficile, per il solo fatto di soggiornare in un istituto sufficientemente vicino al luogo di residenza scelto dai miei genitori, io oggi, vorrei ricordare anche gli altri aspetti di quel rigidissimo collegio, all’epoca ancora gestito dalle suore cattoliche. Per esempio mi ricordo di sovente i loro volti spenti e tristi (quelle gioiose mi sembravano molte di meno e con alcune di queste ultime, intrattenei una fedele e tenera corrispondenza, che perdurò fino alla loro morte e la quale, ovviamente, mi rattristò molto). Rammento anche i loro gesti nervosi, rapidi e arrabbiati, quasi a voler attirare l’attenzione su di sé, nel sistemarsi cuffie e grembiuli, rigidi anch’essi, tali e quali a loro; nel vano tentativo di lenire con piccoli sfoghi d’espressione, un supplizio fatto di giornaliere frustrazioni sia fisiche che emotive. Posso solo immaginare quante di loro furono abbandonate a loro volta, rinchiuse in tristi collegi isolati dai colori e dai rumori del mondo, spinte da famiglie ingorde d’esser ben viste al paese per i figli impegnati nella “carriera ecclesiastica”, (liberandosi nello stesso tempo di una bocca da sfamare).
Fuggite a varie sevizie fisiche e psicologiche, nella famiglia o altrove, finendo logicamente per odiare il sesso e rifugiandosi infine nell’unico posto dove forse potevano illudersi di esserne immuni; a volte scampate anche alla miseria o all’isolamento affettivo delle loro stesse famiglie, respinte da tutti perché poco belle o sane, da poter nutrire con la speranza di riuscire un dì a sposarsi e creare una famiglia propria, meno avara d’amore. Chissà quante poi, avranno cercato la quiete dopo un grave trauma dovuto ad una profonda e straziante delusione d’amore…insomma, un motivo per fuggire dal mondo, a parte le tante che avranno scelto la vita monastica in base alla loro fede più sincera, lo avranno avuto di sicuro e non credo che lo scopo volontario sia stato, fin dall’inizio, quello di torturare e degradare tanti giovani, come noi ragazze “ex” collegiali, perché inconsciamente, facendo così in verità, trovavano il modo per perpetuare il loro dramma di vita all’infinito. Una volta ricordo che la rettrice mi redarguì per la mia “succinta” minigonna, ma quando le risposi che la colpa semmai era da attribuire a Dio, per avermi dato delle gambe soddisfacenti, la vidi allontanarsi pensierosa.
Molto volentieri mi ricordo anche quella piccola e dondolante suora che camminava sempre velocemente, imbronciata e a testa bassa, come una piccola lontra arrabbiata con tutti, secca, orgogliosa e stizzosa; eppure mi accorsi lo stesso che sotto a quella maschera di gesso, si nascondeva un bisogno d’affetto smisurato. Intravedevo qualcosa di dolce nei suoi occhi, una sorta di luccichio fanciullesco, ingabbiato dalla delusione perenne, così ben raffigurata nei tratti del suo volto e incisi con lo scalpello del tempo. Presi a salutarla con fare deciso e con un sorriso sgargiante, ogni volta che la vedevo percorrere il lungo corridoio bianco del nostro gruppo, giorno dopo giorno, mentre lei a malapena mi ricambiava con un saluto di rimando, che pareva più un tic improvviso, provocandosi un’espressione fissa, di forzato e sofferto contenimento, di fronte a questa nuova e quasi buffa situazione, nata dai nostri incontri quotidiani. Continuai a salutarla con lo stesso entusiasmo, settimana dopo settimana, finché un bel dì, probabilmente capendo, a mo’ di folgorazione divina, la sincerità della mia insistenza, le scappò un sorriso a trentadue denti, che fu uno tra i più belli che ebbi mai la fortuna di vedere…infatti, ancora lo rammento nitido, come in una foto ricordo e non credo che mai più riuscirei a dimenticare la gioia che mi pervase!
L’avevo spuntata io, non la paura e la diffidenza! In fondo avevo vinto una partita della vita, offertami dal Dio padre e per giunta giocandola in “casa sua”… non era mica una cosuccia da nulla!
La morale della favola insomma, a mio avviso, potrebbe essere quella, di ricordare che se volessimo colpevolizzare delle figure ecclesiastiche per le imposizioni del loro credo, non tanto religioso quanto di vita, visto quello che in realtà vi si cela dietro, vale a dire l’inconsapevolezza del proprio essere, noi tutti dovremmo, di conseguenza, fare molta attenzione ad assomigliare a loro il meno possibile, ambizione assai ardua da sfamare! Premetto che certi comportamenti nefasti, inflitti ai bambini di tutto il mondo in istituti religiosi e non, gestiti da persone incapaci di adempiere alla nobile causa della loro missione, vivendo a stretto contatto con dei minori o comunque giovani reclusi in collegi, orfanotrofi, riformatori e altre strutture di questa tipologia, non devono riposare su una società cieca e assente, che troppo spesso li lascia soli due volte! Da ex collegiale allargo dunque il mio disappunto non tanto verso le figure dell’ordine cattolico, bensì ad ogni smagliatura della società, che se non si evolve, migliorando la qualità di vita dei membri più delicati e deboli, già abbastanza provati dal destino, si trascinerà dietro i frutti del proprio peccato in eterno.
Purtroppo se non si coltiva bene, vale a dire con estrema fatica e passione, nemmeno il proprio orticello, sarà molto difficile aiutare poi il “vicino di casa” a fare altrettanto. Disse bene Gesù, affermando tanto tempo fa: “Chi è senza peccati, scagli la prima pietra!”. Scusami Paolo se mi sono dilungata, ma mi hai dato l’opportunità di ricordare a voce alta, uno dei periodi più intensi della mia scuola di vita.
Con tanto affetto, Elke Colangelo