Vegetarismo semplice: “Soluzioni vegetariane contro la fame nel mondo” (verso l’abolizione delle produzioni animali insostenibili)
Assicurare il diritto a un’alimentazione sufficiente, sana e nutriente a una popolazione umana in aumento sembra essere un obiettivo condiviso. Ma come fare? Cosa mangeremo, dunque cosa coltiveremo in futuro? Quali modelli alimentari devono e possono essere rafforzati e quali devono essere ridotti se vogliamo assicurare a ogni membro della razza umana il diritto al cibo, la cui assenza è il primo indice dell’ingiustizia sociale ed ecologica che si perpetua nel mondo? Come ottenere il rispetto della sovranità agricola e alimentare delle persone, delle comunità e delle nazioni? Come proteggere anche per questa via il clima, gli ecosistemi, gli altri viventi? Riteniamo che le forme insostenibili di produzioni animali siano parte del problema alimentare e debbano essere rimosse, mentre una gamma di soluzioni alternative dovrebbe e potrebbe ricevere incentivi.
Perciò noi, movimenti, associazioni, gruppi di produttori, comunità locali, centri di ricerca di diversi paesi, a partire dalla situazione attuale, in cui quasi un miliardo di persone, in gran parte nel Sud globale, e in gran parte bambini e donne, sono sottonutrite e molte di più soffrono di qualche forma di malnutrizione in micronutrienti e consapevoli che…
Il crescente consumo di prodotti di origine animale e nei paesi arricchiti e da parte di un numero sempre maggiore di persone nei paesi impoveriti o “emergenti” è una delle cause più importanti della fame e della crisi alimentare così come delle emergenze ambientali, in primo luogo quella climatica. (1) In effetti, nel contesto globale, dal momento che la produzione di alimenti animali richiede molte più risorse a parità di output, rispetto alla produzione di alimenti vegetali, le colture mangimistiche e la produzione intensive di alimenti animali competono con la produzione per il diretto consumo umano. E’ una competizione per risorse scarse come la terra fertile (già nel 1999 quella a disposizione era inferiore a 0,25 ettari per persona), l’acqua, l’energia, la biodiversità, e contribuiscono alla loro perdita (2), (3), (4). La competizione cibo-mangimi è anche uno dei fattori che contribuiscono all’aumento dei prezzi dei generi alimentari;
agli allevamenti è imputabile il 18% delle emissioni totali di gas serra di origine antropica;
le filiere zootecniche sono a elevata intensità di acqua ed energia;
La produzione di mangimi e gli allevamenti, insieme alla produzione di agrocarburanti sono anche fra le cause principali della distruzione delle foreste tropicali (7), mentre il pascolo eccessivo è causa dell’accentuarsi della desertificazione di molte aree fragili;
La globalizzazione delle produzioni animali, con la delocalizzazione degli allevamenti intensivi nel Sud del mondo e l’esportazione dal Sud di derrate mangimistiche, nuoce alla sicurezza e alla sovranità alimentare di molte aree. Pone ostacoli all’accesso alla terra da parte dei piccoli coltivatori, contribuisce al “furto” internazionale delle terre, provoca anche un flusso di acqua virtuale (quella contenuta nei prodotti esportati) da aree in crisi idrica; anche i sussidi alle esportazioni da parte dei paesi del Nord danneggiano la produzione locale e la sovranità nel Sud;
I metodi intensivi utilizzati per la grande parte dei 60 miliardi di animali allevati recano gravi rischi alla salute umana provocando malattie trasmissibili (8) e pesante inquinamento ai danni di comunità locali sia nel Nord che nel Sud (9); il consumo di carne a basso costo frutto dell’allevamento intensivo causa malattie degenerative; anche le condizioni di lavoro per i lavoratori della filiera zootecnica sono spesso inaccettabili;
Le varie forme di produzioni animali intensive (allevamenti, acquicoltura) provocano sofferenze e violenze sugli animali;
La diffusione dell’acquacoltura in diverse condizioni contribuisce alla salinizzazione dell’acqua potabile, distruggendo le aree costiere e le foreste di mangrovie (11);
La pesca eccessiva desertifica i mari.
guardando alle previsioni
di un netto aumento della produzione e del consumo di alimenti animali, con conseguente accentuazione della fame globale. Seguendo il trend attuale, la produzione di carne nel 2050 raddoppierà rispetto ai livelli del 2000, superando i 500 milioni di tonnellate annue; la domanda crescerà più velocemente dell’offerta in molti paesi impoveriti aggravandone il deficit alimentare (12);
del grave impatto del cambiamento climatico sulle possibilità di coltivazione e sulle risorse idriche, il che rende difficile immaginare quel raddoppio della produzione alimentare globale che sarebbe necessario per far fronte all’aumento della popolazione e ai nuovi modelli alimentari; le superfici disponibili per molte colture si stanno riducendo per via dei cambiamenti climatici, soprattutto nei paesi sub-sahariani (13);
tenendo infine conto
Del perdurante, secolare debito ecologico e sociale del Nord verso il Sud del mondo;*
Dei reiterati impegni assunti dalla comunità internazionale rispetto al problema della fame e della crisi idrica e climatica;
Degli esempi posti in essere da comunità e da individui i cui modelli alimentari hanno migliorato gli standard di salute;
chiediamo a livello internazionale, regionale, nazionale e locale di:
favorire e sostenere soluzioni su piccola scala, agroecologiche, vegetali, basate sulle comunità locali, altamente nutritive per lottare contro la fame e la malnutrizione a tutti i livelli. Così non sarà necessario raddoppiare la produzione di cibo e ci sarebbero più risorse (terra, acqua, energia) lasciate agli ecosistemi e un contributo positivo alla soluzione della tragedia climatica;
Sostenere il ruolo e l’indipendenza delle donne produttrici e dei produttori su piccola scala nel Sud del mondo: sono loro a fornire la gran parte del cibo di sussistenza;
Cancellare le forme di sussidi alle produzioni animali insostenibili (allevamenti intensivi, pascolo al posto delle foreste, pesca industriale, acquicoltura intensiva);
Aumentare le leggi che controllano le attività inquinanti;
Lavorare per il superamento degli allevamenti intensivi e promuoverne la conversione;
Promuovere modelli alimentari salutari grazie a campagne educative a tutti i livelli;
Ridurre le spese militari e riconvertirle in sostegno all’agricoltura e all’alimentazione come diritto umano.
Riconoscere a questo effetto il debito ecologico e sociale che l’Occidente ha maturato nei confronti del resto del mondo.
Aderenti
Nutrition Ecology International Center (Neic)
Profetas (Nl)
Campagna Un’altra alimentazione è possibile (I)
SSNV (I)
Plenty (Usa)
Hippo (Uk)
Cicolo Vegetariano VV.TT. Italy
RIFERIMENTI
Nutrition Ecology International Center: www. nutritionecology.org
Profetas, Sustainable Protein Production and Consumption: Pigs or Peas?
Numero speciale “Aliment ation en péril”, Ecologie politique, giugno2009;
Lester Brown, Plan B 3.0: Mobilizing to Save Civilization (Capitolo 9. Feeding Eight Billion Well: Moving Down the Food Chain
Fao, Livestock’s Long Shadow, dec. 2006
Rajendra Pachauri, The Impact of meat production and consumption in climate change,
Greenpeace, Slaughtering the Amazon, 2009; documents from the Mst-Movimento Sem terra, Brazil.
Studi del Physicians Committee for Responsible Medecine (Us)
Grain, A food system that kills, Aprile 2009
Rapporti e documenti di Compassion in World Farming, http://www.ciwf.org.uk/includes/documents/cm_docs/2008/i/impact_of_livestock_farming.pdf
Greenpeace, Challenging the Aquaculture Industry on Sustainability
Fao, Agriculture towards 2015-2030
Secondo uno studio di Bioversity
Antenna, Pourquoi la spiruline? (http://www.antenna.ch/documents/pourquoi_spiruline.pdf);
www.moringanwes.org
European food declaration – Towards a healthy, sustainable, fair and mutually supportive. Common agriculture and Food policy, Piattaforma europea per la sovranità alimentare