Alessandro Curti fa un’analisi incruenta ma critica sulla condizione presente della cosiddetta Rete Bioregionale Italiana

Premessa.  In questi giorni si sta decidendo fra i vari referenti della Rete Bioregionale Italiana l’opportunità di incontrarci per definire alcune linee guida della Rete e discutere su come andare incontro alle necessità informative e divulgative del “pensiero” e della “pratica” bioregionale.

La lettera che segue è stata inviata da Alessandro Curti, uno dei fondatori della Rete nonché mio stimato amico… Colgo l’occasione della presente  per invitare Alessandro ad un ripensamento ed a partecipare al cerchio delle condivisioni  ora più che mai necessario a chiarire i punti “oscuri” da lui evidenziati, che possono forse trovare una  soluzione solo attraverso la partecipazione di tutti i membri fondatori ed effettivi della Rete Bioregionale Italiana….  (Paolo D’Arpini)

 

Sipicciano, 28 settembre 2009

Caro Giuseppe & amici tutti della Rete Bioregionale,

innanzitutto vi chiedo scusa per non aver comunicato con voi da lungo tempo ormai, non rispondendo alle vostre e-mail e ai vostri diversi inviti a incontri e quant’altro.

Ora, in occasione dell’organizzazione dell’incontro dei referenti locali della Rete, sento il ‘dovere’ di farmi sentire, per spiegare la mia lunga assenza alle attività della Rete stessa e per annunciarvi ufficialmente le mie ‘dimissioni’ da referente locale.

Non è stata una decisione facile o presa a cuor leggero, però in questi ultimi anni ho maturato una concezione, o visione del mondo, che gradatamente non mi ha fatto più sentire ‘parte’ della Rete e che mi porta oggi a questa decisione.

Già da tempo durante i nostri incontri sentivo un disagio crescente al quale da principio non sapevo dare un nome preciso. In parte alcune considerazioni fuori dagli usuali schemi del pensiero bioregionale le avevo espresse sempre e soprattutto nei miei ultimi interventi scritti sui Quaderni di vita bioregionale, che erano un po’ provocatori, cercavano di spiegare quel disagio, prima a me stesso e poi a voi, cercavano di dare conto della diversa sensibilità che stava elaborandosi dentro di me. Ma da parte vostra non c’è stato nessun segnale che mi facesse capire che li aveste colti, né quindi segnali di ‘dialogo’ né di confronto o di dibattito interno. Detta in parole povere e forse eccessivamente semplificatrici, quello che sentivo era che all’interno della Rete stava prendendo piede un modo di pensare e di agire ‘rigido’ e a rischio di ‘ortodossia’ (ma forse in realtà c’è sempre stato fin dalla sua fondazione nel lontano 1994, anche se allora non me ne rendevo conto perché anche il mio atteggiamento era in sintonia con quella ‘fedeltà alla linea’). Detta in parole ancora più povere, mi sembrava che non facevamo altro che rimarcare la nostra ‘verità’, presumendo di esserne i veri e unici depositari, assumendo atteggiamenti di intolleranza verso chi non condivideva le nostre stesse idee.

Ora, non è che io abbia rinnegato totalmente la bontà di un pensiero ecologista, profondo o sociale o spirituale o bioregionale, credo ancora che ci siano della analisi azzeccate e condivisibili così come delle ‘buone’ pratiche di vita, ma quello che sono arrivato a rifiutare è appunto la presunzione di una Verità Assoluta, alla quale Noi Bioregionalisti saremmo giunti per primi e alla quale tutti dovranno ‘per forza’ pervenire prima o poi, presunzione che fa diventare una specie di predicatori del nuovo Verbo, speculare a tutte le predicazioni ‘assolutiste’ che si sono succedute nella storia.

E’ vero che all’interno della Rete ci sono posizioni diverse: da quelle che rifiutano tutta la tecnologia che l’uomo ha saputo produrre a quelle che ne fanno un utilizzo mirato e consapevole, da quelle che auspicherebbero un abbandono in massa delle città a quelle che si adoperano per un bioregionalismo urbano, da quelle che condannano senza appello tutta la tradizione giudaico-cristiana o monoteista e propugnano un puro e semplice ritorno al paganesimo a quelle che sono più rispettose della storia e del bagaglio di conoscenze spirituali prodotte ‘anche’ dal monoteismo, da quelle che credono che il vegetarianesimo sia una scelta eticamente necessaria per l’equilibrio ecologico a quelle che sostengono che una vera etica bioregionale passa per il riconoscimento della sacralità anche cruenta del ‘mangiarsi a vicenda’, da quelle che ritengono che bisognerebbe arrivare all’autoproduzione e all’autoconsumo totali a quelle che pensano sia più realistico un mercato sì locale ma fatto anche di scambi commerciali; tutto questo è vero, ci sono posizioni diverse e articolate all’interno della Rete, così come ci sono sensibilità diverse sui vari temi, ma a me sembra che tutte quante rimangano comunque schierate all’interno di un atteggiamento ‘conflittuale’, ‘contro’, anche se a parole si segue quello che dice Peter Berg, cioè che il bioregionalismo debba essere ‘pro-attivo’. Il pericolo che percepisco è quello di tutti i fondamentalismi: l’intransigenza, la logica del ‘o con noi o contro di noi’, dei ‘buoni e puri’ contro i ‘cattivi e corrotti’, l’atteggiamento di superiorità che porta a rinchiudersi all’interno della propria ‘tribù’ e a guardare con sospetto se non con odio tutti coloro che ‘ancora’ non si sono convertiti alla Verità, l’atteggiamento dell’auto-ghetizzazione, quindi della marginalità a cui ci si condanna, quasi che gli ‘eletti’ che hanno compreso come stanno le cose siano destinati ad essere i nuovi profeti inascoltati e per questo ancora più rinsaldati nelle proprie convinzioni e nella propria lotta contro tutto e tutti, contro gli ‘infedeli’. In questo atteggiamento ho imparato a vedere, prima di tutto in me, la paura che vi si nasconde dietro, l’attaccamento fideistico ai propri ideali e convinzioni come conferma della propria ‘identità’ e contro il rischio di perderla, la voglia di sentirsi nel ‘giusto’, accettati dai propri simili, in ostilità contro gli ‘altri’. In fondo è una grande rimozione e proiezione sugli ‘altri’ (i non-ancora-bioregionalisti) della propria Ombra, dei propri lati oscuri, in realtà comuni a tutti gli esseri umani, e quindi una comprensione limitata e distorta degli elementi basilari della psicologia e della spiritualità umane così come sono stati indicati da tutti i grandi Maestri dell’umanità, spesso frettolosamente rinnegati a causa delle Chiese violente e ipocrite che si sono costruite sui loro insegnamenti, col rischio però di ‘fare di tutta l’erba un fascio’ e di ‘gettare il bambino insieme all’acqua sporca’.

So, mi rendo conto, vivo sulla mia pelle la difficoltà della condizione umana, attuale e di sempre, e il pericolo che stiamo correndo a causa di una visione parziale e anti-ecologica, non sto a mia volta contrapponendo una Verità ad un’altra, soltanto oggi mi sembra molto più importante capire che oltre alla questione ambientale, alla distruzione del pianeta Terra, all’arroganza ‘antropocentrica’, il problema vero sia l’inaridimento dell’animo Umano, la perdita della comprensione e della ‘carità’ verso i propri simili così come verso tutte le creature e forme di Vita, e questo atrofizzarsi del cuore umano può essere curato solo con l’umiltà e l’Amore incondizionato, non con atteggiamenti di superiorità ed arroganza intellettuale o sbandierando le proprie scelte di vita come le uniche possibili e giuste.

Altrimenti si passa facilmente da una giusta e lodevole esigenza di migliorare il rapporto dell’Umanità con la Vita, ad un atteggiamento di nuovo escludente, parziale, che nega gli stessi sacrosanti presupposti da cui è partito, arroccandosi su posizioni integraliste e anti-umane e in definitiva anti-ecologiche. Se ci si identifica con troppo fervore in una ‘parte’ non si riesce più ad abbracciare il ‘tutto’.

A chi ha avuto la pazienza di leggere fino a qui vorrei dire che so benissimo che ciò che ho scritto è fondamentalmente un’autocritica al mio passato ‘integralismo’ a cui voi e la Rete avete fatto e fate da specchio. La mia intenzione era quella di spiegare a quanti hanno condiviso con me anni di impegno e ricerca comune come mai mi sia ‘ritirato’ dalla Rete, ben prima di queste ‘dimissioni ufficiali’, come mai abbia smesso di partecipare e abbia intrapreso un cammino meno ‘estremo’, meno sicuro di avere le certezze su cui prima mi illudevo di basare la mia vita, più comprensivo delle debolezze umane e più aperto ai ‘mondi’ che prima rifiutavo con tanta arroganza.

Per quanto mi riguarda (ma sappiamo che le storie individuali riflettono sempre qualcosa di universale) in qualche modo tutto ciò è necessario ed è l’avverarsi di un sogno che feci ormai più di vent’anni fa e che mi ha sempre accompagnato, un sogno vero, fatto di notte, un’indicazione del mio ‘destino’ che evidentemente il mio inconscio conosceva già benissimo: sognai che c’era un conflitto tra professori e studenti perché gli studenti trasgredivano a delle regole (mangiavano il formaggio sbriciolandoselo in bocca con le mani alzate) e i professori rispondevano con la repressione e la punizione a quella che consideravano intollerabile indisciplina, facendo diventare enorme quella che era una sciocchezza; si era però ormai creata una lotta, una contrapposizione insanabile e a quel punto io intervenivo cercando di mediare, di far capire ad entrambi che non aveva nessunissimo senso continuare a lottare per tali inezie, che anzi entrambi, professori e alunni, avrebbero dovuto capire di essere creature fragili e inermi sulla stessa identica barca, ovvero su di un pianeta pieno di vita avvolto nell’oscurità dell’universo infinito, avrebbero dovuto mettere da parte le insignificanti ostilità che portavano avanti con tanto cieco accanimento e assumere invece un atteggiamento reverenziale, meravigliato e umile di fronte al Mistero. Quel mio intervento, nel sogno, fu accolto da urla e fischi da parte degli studenti che lo presero come un tradimento (nel sogni io ero uno di loro) e con fastidio da parte dei professori, solo pochi ne sembrarono colpiti e abbassarono gli occhi.   

Ora, ironia della sorte, ‘faccio il professore’ e mi trovo spesso nella stessa situazione rappresentata nel sogno, con la stessa difficoltà di far cessare le ostilità che i ragazzi manifestano verso le Autorità e viceversa, oltre alla difficoltà quotidiana di educare all’amore per la Vita, per la Terra, per l’Umanità in un mondo che sembra aver perso la bussola. Ma non ho più la presunzione di essere io, il Bioregionalista o il militante della Controcultura, ad avere il vero ed unico orientamento, le vere e uniche coordinate per ritrovare la strada. Chi fosse interessato a leggere in modo più approfondito le riflessioni che ho sviluppato negli ultimi anni può richiedermi il libro che ho fatto uscire lo scorso maggio, intitolato ‘Estreme ustioni – romanzo in versi’ per la Aletti editrice, o anche ordinarlo in qualsiasi libreria.

Ora, dopo questa lunga e forse per molti inopportuna lettera, vi saluto, augurandovi ogni bene per il proseguimento del vostro cammino, in fondo questo non è un ‘addio’, le strade sono tante e proprio perché stiamo tutti qui su questo magnifico pianeta le strade sono tutte contemporaneamente ‘compresenti’ e si dividono e si intersecano di nuovo. Come dice Castaneda, si può seguire qualsiasi Via, basta che sia una Via con il Cuore.

O come scrive Gary Lawless: 

Nel cuore dove

tutte le strade si incrociano,

si incrociano e continuano,

dove tutto ciò che noi

amiamo si unisce dove

il meglio, dentro di noi,

vola

Ciao a tutti, Alessandro Curti

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