Formaggio con un nome… ovvero: “La personalizzazione bioregionale del cibo..” di Etain Addey – Intervento scritto per il convegno su “Ecologia profonda, alimentazione naturale, spiritualità senza frontiere” Roma, dal 2 al 4 ottobre 2009 – Arancera delle Serre di San Sisto
La settimana scorsa ho fatto il primo formaggio della stagione: la stagionatura è durata solo tre giorni perché era esattamente un anno e mezzo che non facevamo più il pecorino e quindi non abbiamo resistito alla tentazione di tagliare subito questa prima forma. Anche se il formaggio di tre giorni ha poco sapore, il piacere di assaggiare di nuovo il pecorino fatto in casa era troppo grosso. L’anno scorso ci è successo un fatto sconvolgente: le pecore non hanno partorito, evidentemente perché il montone non era buono. Non ci era mai successo in ventisette anni, e ci ha fatto toccare con mano come l’intera stagione della mungitura dipenda da quest’unico animale maschio. Questo anno abbiamo comprato un montone nuovo.
Normalmente si aspettano almeno tre settimane per assaggiare il formaggio fresco, quando avrà sviluppato quel sapore complesso che viene dal latte di pecora, perché in verità i primissimi giorni sa solo di latte e sale. Ma che dico, “di pecora”? Questo è il latte di Fatima, Violetta, Check, Mate, Mascara, Cioccolato, Scossa, Sonia, Gessica, Carnevale, Giacinta, Sunny, Costanza, Margarita e Lunetta. Non dico che si sente proprio il sapore del latte di ognuna, ma ieri ho letto sul giornale un trafiletto che riportava il risultato emerso da uno studio condotto dall’Università di Newcastle e pubblicato dalla rivista Anthrozoos e cioè:“Una mucca anonima, senza nome, produce meno latte di una che un nome invece ce l’ha”.
Sono quelle ricerche che fanno sorridere perché sono stati spesi soldi e usate energie intellettuali per sapere una cosa che, a pensarci bene, è evidente! Il fatto di dare un nome a un animale, come a una mucca o a una pecora, implica un rapporto molto diverso da quello che potrebbe esistere tra un operaio che munge meccanicamente e la mucca che malvolentieri porta sull’orecchio una brutta targa di plastica gialla con scritto CL299644021. Anche quella mucca ha una sua grande dignità e interiorità ma nessuno l’ha riconosciuta e quindi quella mucca non “dà il latte”: le viene tolto
Quando una pecora o una mucca ha un nome, vuol dire che qualcuno si preoccupa di lei, le riconosce una sua individualità e una sua storia. Non abbiamo una pecora di cui non conosciamo la parentela, la personalità, le abitudini, la storia personale. Quando mungo Fatima, mi ricordo della sua mamma Ultima che da agnello si perse nel bosco per alcune settimane finché fu trovata da Martino di notte e riportato a casa solo dopo molte ore. Quella volta l’amico Neil e io abbiamo dovuto tagliare un passaggio fra i rovi nel buio fino al precipizio dove era prigioniero Martino con l’agnello Ultima in spalla. Mi ricordo anche la mamma di Ultima, che era una di tre agnelli gemelli. Era così piccola che Luigi me l’aveva regalata nella speranza che con amore e biberon la salvassi dalla fame. Quella notte che Luigi arrivò a casa con Clara neonata era il 9 febbraio, la notte che avevo appena saputo che mio padre stava morendo. Quell’animale fra le mani quella sera mi ricordò con la sua piccola presenza che la vita continua. Fra le lacrime ho tirato su Clara e ha fatto parte del gregge per moltissimi anni, era sempre una pecora piccola ma era di una determinazione incredibile e ha fatto poi molti agnelli vispi. Fatima le assomiglia e ora che è vecchia, abbiamo tenuto una sua figlia, Violetta, per non perdere quella famiglia nel gregge.
Fatima è una delle pecore che viene da sola a farsi mungere e quando ha qualcosa che non va, un ramo fastidioso di spine attaccato alla lana o un piede che le fa male, si avvicina perché sa che noi l’aiutiamo. E’ naturale che un animale con un rapporto del genere con chi la munge non trattenga il latte, ma lo lasci scorrere.
Rosa spesso mi ha raccontato la storia di una vacca che avevano nella stalla anni fa. La chiamavano “la Barembana” (che credo significhi Maremmana) perché aveva le corna larghe. “Era molto brava. Un anno con il latte suo ho fatto novanta forme di formaggio! Ma solo Antonio la poteva mungere! A lui la vacca era affezionata. Per lui faceva di tutto. Pensa che quando la Barembana arava con il compagno, se non riusciva a tirare, si inginocchiava addirittura per fare forza, povera bestia!” Della Barembana Rosa si ricorda ridendo vari episodi di vita. “Una volta mi chiamò il Roscio di Gigino che veniva su dal campo di sotto dove aveva colto alcune piante di granturco. Passava per il campo dove pascolava la Barembana e mi urlava <Rosa, appiccichi ‘l foco che fammo il granturco arrosto!> Quella vacca l’ha visto e gli ha fatto la caccia per tutta la salita e il Roscio a urlare <Rosa, la vacca!> E io a rispondere <Buttale giù le piante> e lui aveva tanta paura che le ha buttate le piante con tutto il granturco! Io volevo dire solo le foglie, che la Barembana era ghiotta parecchia di quelle foglie!”
La Barembana era diventata famosa nel vicinato per quanto latte dava, e già che non era neanche una mucca da latte ma una vacca “da tiro”. Sapendo delle novanta forme di formaggio, uno dei vicini, un certo Melchiore, era solito pregare Antonio ogni volta che passava davanti a casa, “Vendetemi ‘sta vacca che mi piace tanto!” Antonio gli rispondeva che non sarebbe riuscito a mungerla, “Neanche la Rosa ci riesce” lo avvertiva sempre. “Ci riesco, ci riesco, che voialtri ci cavate tanto latte e a me ‘l formaggio piace!” insisteva Melchiore.
L’hanno venduta e mi rattrista sempre questo fatto perché la vacca sarà rimasta male, ma in campagna c’è una specie di legge non scritta che dice che se qualcuno desidera proprio un tuo animale, alla fine porta male non darglielo, rimane l’invidia…
“Melchiore ha portato a casa sua la Barembana e oh! Non è mai riuscito a cavare una goccia di latte da quella vacca!”
Le novanta forme di formaggio erano frutto di una sottile reciprocità e così credo anche il nostro pecorino.
Etain Addey
Il presente articolo è stato scritto come intervento per la manifestazione “Ecologia profonda, alimentazione naturale, spiritualità senza frontiere” – Roma: del 2 e 4 ottobre 2009 – Arancera di San Sisto
Il manifesto introduttivo:
Programma Generale: