“In viaggio con me stessa” In solitaria contemplazione da Roma a Milano e viceversa riscoprendo l’ Italia e la propria vita – Una riflessione di Laura Lucibello
Carlo Verdone scriveva e recitava in “In viaggio con papà”, io mi accingo a scrivere la recita di “In viaggio con me stessa”.
Antefatto : esco da una settimana di tristezza ed è programmato un viaggio a Milano per andare a prendere mio figlio, e tutti i suoi bagagli di 2 anni di vita in quella città.
Per sicurezza mia e degli altri vado dal gommista per sostituire le gomme ormai andate. Lui mi chiede “ma vuoi quelle da corsa o normali? No, perché se corri ti metto quelle adatte” ed io “che differenza di prezzo c’è?” Il costo è decisamente più alto e quindi rispondo “Beh, per questa volta mettimi quelle normali, Shumaker dovrà ancora aspettarmi”. Trova poi un problema allo sterzo. Aggiustiamo anche quello.
Torno a casa, benzina fatta, e trovo ad attendermi il piccolo Oscar smanioso ed eccitato per il suo primo giorno di asilo che mi corre fra le braccia felice. Per scaricare le sua tensione giochiamo tanto a pallone, poi con il naso gli faccio un po’ di solletico sulla pancia, lo saluto e vado a preparare la cena.
Partenza sabato alle 8,00, con tutta calma faccio colazione e via. (mentre scrivo – sono seduta al parco ad aspettare mio figlio, sono arrivata troppo in anticipo rispetto ai suoi programmi – un ragnetto giallo cammina sulla mia gonna nera, non lo scaccio: i due colori si abbinano bene).
Il mio umore è ancora alquanto basso mentre imbocco l’autostrada ed accendo la radio, un po’ per farmi compagnia un po’ per sentire le notizie sulla viabilità. (il ragno è sempre più curioso e sale sul quadernetto, poi passa sulla pancia e tenta la scalata, più su, io soffio leggermente e lui torna indietro)
Sono ad Orte e passano la notizia che a Firenze sud si è ribaltato un camion invadendo i due sensi di marcia, 3 km di fila. Nessuno si è fatto nulla ma l’autista ha combinato un bel casino. C’è un’oretta buona prima di arrivare lì, forse la situazione si sblocca.
La strada corre sotto le mie ruote e la situazione dell’incidente peggiora: 5 km di fila, invitano ad uscire a Incisa. Senza esitazione, pur non conoscendo la strada, esco e prendo in direzione Firenze nord per trovare un altro ingresso in autostrada che superi il tratto ostruito.
Mi ritrovo così in un paesaggio da favola : castelletti antichi, dolci colline, il fiume che scorre placido. Passo davanti a The Mall (l’outlet più in) e penso “dicono che quando ci si sente giù basta un bell’abito, un paio di scarpe nuovi, per gratificarsi. Ma no! non ho bisogno di tirarmi a lustro, ho me stessa e mi vado bene così. E tiro dritta.
Ho urgenza di fare pipì, trovo una piccola area di servizio in mezzo alle colline, e mi metto anche a scattar fotografie.
All’improvviso mi pervade un senso di tranquillità, perfino le canzoni trasmesse alla radio che prima mi procuravano malinconia e acuivano la tristezza, ora le percepisco diversamente e mi mettono allegria. Già “allegria” l’estremo saluto che Fiorello questa stessa mattina da a Mike Buongiorno nel Duomo di Milano.
Com’è bello perdersi da soli fra quelle colline, mi accorgo che non ho nessuna fretta di imboccare nuovamente l’autostrada, voglio assaporare quel piacere di solitudine che mi pervade. (il ragnetto se ne è andato disinteressato al finale e stufo dei miei soffi)
Mi trovo, troppo presto, nuovamente in autostrada, alla radio comunicano che i km sono arrivati a 9 e che sta intervenendo la protezione civile per i malcapitati che dovessero sentirsi male. Mi chiedo perché nonostante i ripetuti avvisi la gente persista ad infognarsi nel caos aspettando ore prima che qualcun’altro li liberi prima o poi. Quanto tempo perso ad angustiarsi.
Io ora sto correndo (per puro gusto non per fretta), nessuno avanti a me (160 km all’ora, speriamo non mi becchi qualche autovelox).
Nell’altro senso di marcia vedo km di massa umana racchiusa in lamiera, alla radio comunicano che gli operatori stanno facendo del loro meglio per sgomberare la strada.
Bologna, Modena, Parma, improvvisamente mi metto a ridere: sono le 12,30 e penso ai poveri operatori affamati, vista l’ora, che cercano di pulire la strada da prosciutti e salami – poiché quello il camion trasportava – e chissà se qualcuno di loro, vedendo tanto spreco, avrà pensato di approfittare di quel ben di dio.
Ore 13,00 sono già all’uscita di Milano, telefono a mio figlio che sconcertato mi dice che non mi aspettava così presto, aveva un appuntamento con una amica. Lo tranquillizzo e fra me e me gioisco: avrò ancora un paio di orette tutte per me. Parcheggio, ho fame e vado verso il solito baretto che è chiuso. Giro gli occhi dall’altro lato “Bar tabacchi del viale del sorriso”, bene è lì che devo andare!
Arriva infine mio figlio che mi vuole portare assolutamente ad una mostra a Palazzo Reale: fidati ti piacerà. Andiamo, l’ingresso è gratuito. “Il ciclo del tempo” di Alessandro Papetti. A caratteri cubitali “Nell’arte ha senso ciò che veramente avviene; ciò che veramente accade” (Alessandro Trabucco). Entriamo nei tre gironi, infatti si tratta di un ciclo di dipinti in grandi “ambienti pittorici” di forma circolare (del diametro interno di 8 metri ciascuno), nei quali il visitatore ha la possibilità di entrare per immergersi fisicamente all’interno dello spazio pittorico, dedicati all’acqua, al vento e al bosco, e nel quale è invitato a esplorare innanzitutto i limiti dello spazio e del tempo.
Nella dimensione della circolarità che in maniera disorientante e ironica appare senza prospettiva ne punti di riferimento, ne angoli, il senso della percezione si altera. Vorticosamente. La verità è una curva ……
Il cerchio dell’Acqua traduce in profondità il bisogno di immergersi, il Vento di riempirsi del vuoto e di liberarsene, del Bosco il desiderio di perdersi.
Grazie Stefano è veramente una bella mostra.
Tutti gasati entriamo nella mostra accanto “I videoritratti di Robert Wilson” (mami devi assolutamente vedere anche questa, magari ti aspetto fuori io l’ho già vista, mah! se no vengo di nuovo anche io), il ragazzo alla cassa ricorda che mio figlio è già stato il giorno prima e non gli fa pagare il biglietto.
Una forma d’arte che va al di là del tempo e dello spazio – una frase mi attira “La solitudine è la condizione necessaria della libertà”.
Tutti è due abbiamo bisogno di non pensare, io conosco bene i suoi problemi di ragazzo rimasto senza lavoro con decisioni da prendere per il suo futuro, lui non conosce i miei ma sensibile e intelligente com’è percepisce qualcosa, non parliamo dei problemi, ci penseremo domani, solo ogni tanto mi guarda e mi chiede: farò bene a lasciare Milano?
Saliamo sulle terrazze del Duomo che dominano Milano ci incantiamo a guardare il marmo bianco non c’è un pezzetto che non sia lavorato con statue e merletti, poi al cinema.
“Il grande sogno” – tema tosto il ‘68. La protagonista si chiama Laura e mi ci rispecchio anche se per l’età e impedimenti di altro genere non sono stata un’attivista, ma lo sono nell’anima e mi sono resa conto di aver generato in mio figlio un moderno sessantottino. Ne sono fiera, anche se come madre soffro per quel che nella vita dovrà affrontare considerato lo stagnante nichilismo della società attuale. Chiudiamo la serata con una cenetta a due.
Domenica mattina, non c’è fretta, andiamo a sederci al bar con un bel cappuccino bollente e cornetto – quanto tempo era che non mi sedevo più al bar a fare colazione? – al tavolo accanto arriva un papà con il suo bimbo e tutti a cantargli “tanti auguri a te, tanti auguri a te” (ne avrà compiuti 5 o 6?).
Si carica la macchina e via di ritorno. Lasciamo il sole di Milano (strano ma vero) per trovare strada facendo nuvole e pioggia, ma due arcobaleni (a Firenze e prima di Roma) fanno capolino e i magnifici colori sembrano presagio di schiarite.
Forse il racconto è troppo lungo, forse non interesserà a nessuno, ma è il mio viaggio e me lo sto ancora gustando.
Laura Lucibello