“Giappone come pezzo di vita e di mondo che appartiene all’uomo” – Esperienze di viaggio di Laura Lucibello
Caro Paolo, quando mi hai chiesto di raccontarti qualcosa del viaggio in Giappone mi sono resa conto che mi venivano fuori solo banalità, da turista per caso.
Mi sono quindi interrogata su cosa in effetti ha lasciato dentro di me
un viaggio tutto sommato dispendioso in termini economici e di tempo.
Premetto che non era un viaggio da me particolarmente sentito e
voluto, la mia presenza era semplicemente “scontata” visto che si
trattava di una riunione di famiglia, con i ragazzi che da anni ormai
hanno la loro vita e viaggiano per conto loro.
Traendo però spunto da un articolo di Giancarlo Dotto (”Se hai
un’anima. Tokio è li per prendersela. Te la restituisce, un po’
stracciata, ma solo in prestito. Una volta che ci sei, lasciati
perderti. Che il piacere è proprio questo………. Tokio alimenta il
caos per esorcizzare il caos. Saluti, inchini, sorrisi, cerimoniali,
maschere, regole. Rituali maniacali per difendersi da quell’incidente
insostenibile che è l’imprevisto, ovvero la vita. Nulla a Tokio
somiglia a quello che tu, per tutta una vita, hai imparato a
riconoscere come il principio di realtà. Sospendi la logica, sospendi
te stesso, questa la chiave. Non devi farti domande, soprattutto non
devi darti risposte.”), posso affermare di condividere pienamente
quanto da lui scritto e fare mie le stesse sensazioni.
Il Giappone, e soprattutto Tokio, è un laboratorio sfrenato delle mode
e delle tendenze del futuro. Le nuove generazioni non credono più al
lavoro come dedizione e valore assoluto, hanno scoperto l’hic et nunc,
l’ebbrezza del qui e ora. Le ragazzine vestite in stile Barbie-sexi si
muovono in branco, esibizioniste, sembrano volerti dire “meglio
risultare eccessive piuttosto che confondersi nella mediocrità della
vita”, e qui anch’io sono caduta nella trappola dell’illusione
facendomi fotografare vestita da eroina dei manga giapponesi come
Sailor Moon, la ragazza combattente (vedi foto allegata).
Ma basta spostarsi nella piccola (si fa per dire) Kanazawa per
ritrovare l’atmosfera del Giappone, che conosciamo attraverso i
racconti, la storia, le pitture, che evoca la bellezza di antichi
rituali, il silenzio, la saggezza, la spiritualità, i giardini
incantati e perfetti, lo struggente amore di “Madame Butterfly”. Qui
il passato meglio si armonizza con il presente e con il futuro.
Ed è qui che ho trovato nel Museo del XXI secolo dell’Arte
Contemporanea una bellissima mostra “Cento storie sull’amore”.
Il 2009 è stato un anno che ha visto il tumulto di guerre tragiche, il
mondo attorno a noi sta cambiando velocemente e c’è bisogno di una
rinnovata ricerca di valori.
Valori che solo il senso di amore, per la vita, per il prossimo, per
la natura, possono contrastare l’apatia e l’indifferenza. Come disse
il filosofo giapponese Tanikawa Tetsuzo “Durante la nostra breve vita
abbiamo sempre scoperto nell’amore qualcosa in cui credere.”
Non posso raccontare e spiegare tutte le cento storie, anche se tutte
valide, semplicemente perché si tratta per lo più di installazioni e
filmati, rappresentanti denunce sociali – alienazione – isolamento -,
che andrebbero visti direttamente. Riporto quindi a rappresentanza
l’unica opera riproducibile. Questa che segue è una poesia musicata
stampata a grandi lettere su una parete (in giapponese con traduzione
inglese) di B-Bandj, classe 1972.
How we run from love
maybe one day we won’t have to run away / what are we so afraid of
everything we look at / everything we wont is in the music / we look
for it in the music / (it’s the air, it’s in the atmosphere) / but
somehow when we actually find it, we doubt it so we keep running away
from love / still we look for it’s beauty
we don’t learn how to love (we just remember it feels just like home
right over here / I think we don’t learn how to love, we just
remember/ love is like sun rays after the rain / maybe the rain will
finally fall on the desert one day you know? / even where it never
rains, hopefully there will be rain / it falls then you could call it
love / it depends on how you feel about it / love could be anelping
hand to those in need/ it could be when your house becomes a home/ I
feel right at home over here / I could be out in the street or in the
forest / if the vibration is good, then I might coll it love / I feel
right at home over there / I could be in Tsukuba / I could be in
Africa / I could be in Kanazawa /you tell me what is love / I’m
telling you what is love, you can tell me what is love /this is an
open dialogue / this is why I’m expressing myself hoping that you can
express yourself too / and it doesn’t have to be through conversation
/ we dont’t have to talk / we can listen to the rhythm rhythm …/
expressing you and happiness / I just feel so blessed enjoying the
atmosphere / you don’t have to say it’s spiritual / you don’t have to
say anything.
(Forse caro Paolo, se ti va, potresti tradurla per chi non conoscendo
l’inglese volesse assaporarla).
L’ultima città visitata è stata Kyoto, molto organizzata per un
turismo di massa. Ma anche qui siamo riusciti in parte a rimanere
fuori dal circolo vizioso dei classici percorsi prettamente turistici
andando a visitare l’antico e suggestivo Tempio di Inani, arroccato
sulla montagna, frequentato e conosciuto solo dai giapponesi, tant’è
che ci sono solo spiegazioni e indicazioni in lingua locale, ma se ti
perdi trovi sempre qualcuno molto cortese che anche se non conosce
neanche una parola di inglese riesce a farsi capire.
Mi accorgo solo ora che più scrivo, più si affacciano nella mente
aneddoti, racconti, considerazioni, incontri. Già incontri, me l’ha
fatto notare mia sorella quando ad un certo punto se ne è uscita
dicendo “bisognerebbe andare in vacanza con Laura, riesce sempre a
conoscere gente, a trovare un’amicizia”. E’ vero vado sempre cercando
il contatto con gli umani, in qualsiasi paese mi trovi. Ed infatti a
febbraio e marzo verrà a trovarci Masako, simpatica ragazza che sta
studiando l’italiano perché amante della nostra cultura, conosciuta in
un piccolo ristorante con cucina giapponese gestito da ragazzi, il più
vecchio, il bel boss, ha 32 anni.
E con questo termino il mio racconto, anche perchè si è fatta
mezzanotte e gli occhi cominciano ad urlare.
O-ia-su-mi na-sai (buonanotte), Laura Lucibello