Darwin, Schopenhauer, la teoria dei quanti, dello spazio-tempo e dell’assoluto a-temporale… Vari modi descrittivi per la realtà empirica e metafisica
Proprio un secolo e mezzo fa, nel 1859, Charles Darwin pubblicava il suo ancora oggi controverso ma rivoluzionario “Origine della specie”, le polemiche non si son ancora acquietate ma quel che suona strano –secondo me- è l’opposizione virulenta opposta alla teoria evoluzionista dai cosiddetti “creazionisti” (o credenti) di matrice religiosa, e più avanti spiegherò i motivi del mio stupore. Debbo far presente che non mi considero -strettamente parlando- un seguace della teoria Darwiniana, nel senso che al massimo la considero una spiegazione strumentale alla dimostrazione della cosiddetta realtà empirica… o della casualità.
L’ipotesi evoluzionista è basata sull’osservazione del processo trasformativo della materia e della vita conseguente alla modificazione od espansione dello spazio/tempo. In un certo senso questa teoria deve in ogni caso tener conto di un “inizio” e pertanto è vicina all’altra teoria della creazione progressiva del mondo, comunque basata sulla presenza di un Dio creatore da cui l’universo viene creato. Secondo la speculazione del Big Bang l’inizio del momento creativo viene posto nell’esplosione primordiale del nucleo originario della materia, in seguito al quale incomincia pian piano il processo manifestativi della vita. Infatti i religiosi apprezzano molto la teoria del Big Bang come “dimostrazione” della volontà creatrice di Dio ma dovrebbero altrettanto accettare, per essere coerenti con i loro credo, anche il processo evoluzionistico delle varie forme vitali prefigurato da Darwin e dai suoi successori. D’altronde se fosse vera la creazione “ad personam” fatta da Dio per ogni organismo vivente, separato da ogni altro (un pesce è un pesce, una asino è un asino, un uomo è un uomo, etc.), si potrebbe supporre una certa parzialità da parte dell’Altissimo, non solo per la scala gerarchica fra le varie specie ma anche perché alcune forme vitali sono addirittura scomparse dalla faccia della terra come se fossero “invise” o “trascurate” dal creatore stesso, il che non mi pare un segno di giustizia verso le creature….
Ma lasciamo da parte queste considerazioni e per un solo attimo lasciatemi illustrare altre elucubrazioni, di carattere filosofico, sortite dalla mente analitica di Schopenhauer, un filosofo contemporaneo di Darwin, che per altro molto piacque ai religiosi che in lui vedevano un “giudicatore del creato”, un moralista che sapeva distinguere fra bene e male, che sapeva raggiungere un traguardo: “.. se uno correndo tutto i giorno, giunge a sera, può dirsi soddisfatto… Ebbene, ora ce l’ho fatta, il crepuscolo della mia vita diventa l’alba della mia fama” (Senilia pag. 84 del manoscritto originale del 1856).
Egli si definiva nelle sue memorie uno “sprezza-uomini” uno che disprezzava la stupidità umana apprezzando per contro la sua intelligenza personale. Questa sorta di orgoglio intellettuale separativo è sicuramente poco “evoluzionista” ed infatti la sua “arte di conoscere se stessi” è tutta rivolta alla conoscenza della “persona” come entità avulsa dal contesto, un’individualità “prescelta”, evidentemente da Dio. E questo atteggiamento piacque molto ai dottori della chiesa che -anch’essi- si sentono “benedetti” e privilegiati e protetti per la loro fede in Dio (per altro cieca).
Dal punto di vista della realtà assoluta (ma anche da quello quantistico, fino ad un certo punto dell’analisi) la creazione può essere “progressiva” solo nell’ambito del divenire nello spazio tempo ma, come evidenziò anche Einstein, questo concetto dell’esistenza spazio temporale è puramente figurativo, non ha cioè vera sostanza essendo un relativo configurarsi di eventi costruiti e proiettati nella mente. Perciò nella visione della assoluta Esistenza-Coscienza la creazione è un “apparire”, che si manifesta simultaneamente, sia pur considerata dall’osservatore uno svolgimento conseguente allo scorrere del tempo nello spazio. La manifestazione è di fatto un semplice riflesso nella mente del percepente che riesce a captarla ed elaborarla solo attraverso il “fermarla” nella coscienza. Un singolo fotogramma della totale manifestazione che, sia pur sempre presente nella sua interezza, viene illuminato dalla coscienza individuale, visto nella mente e srotolato nel contesto spazio tempo e denominato “processo del divenire”. Da ciò se ne deduce che la descrizione evoluzionista di Darwin è “relativa” tanto quanto la visione “creazionista” dei più retrivi religiosi. Con buona pace del filosofo Schopenhauer.
Ho immaginato anche una sorta di equazione per visualizzare quanto qui espresso. Se prendiamo il tutto come insieme, in cui ogni cosa appare e si manifesta, e lo definiamo 1 (Uno) in qualsiasi modo aggiungendo o togliendo a questo Uno sempre l’Uno resta. Esempio: 1 + 1 = 1 – oppure 1 – 1 = 1 Ma d’altronde questo concetto è stato già espresso molto chiaramente in una Upanishad in cui è detto: “Se dal tutto togli il tutto solo il Tutto rimane”
Paolo D’Arpini
19 aprile 2009 alle 09:40
Gentile Paolo D’Arpini, sovente mi capita di leggere le Sue riflessioni ed ascoltarLa nel corso di incontri organizzati dall’Associazione Giordano Bruno di Viterbo. Spesso condivido quel che dice, meno spesso quel che scrive.
Colgo l’occasione per esprimere un mio punto di vista diverso rispetto a quanto da Lei scritto sul Darwinismo.
Per me, ma ovviamente a dirlo sono anche più illustre personalità, la teoria darwianiana è stata una delle poche ad essere stata confermata da conoscenze derivate da scienze relativamente più giovani, vedi la genetica. Forse è la teoria che in maniera più decisa e violenta ha fatto aprire gli occhi a (parte) dell’umanità sulla reale consistenza della realtà. Affermare che l’esistenza dell’uomo, al pari delle altre specie animali e vegetali, non è frutto di cause astoriche o metafisiche, ma solamente prodotto di “casi” naturalistici, mette ovviamente in discussione ogni visione causalistica ed escatologica del mondo. Questo dovrebbe far riflettere soprattutto chi si batte quotidianamente contro tutti i tentativi di oscurare la realtà al fine di imporre “regimi culturali” che giustifichino religioni e filosofie idealistiche.
Attenzione, qui non si tratta di sostituire a visioni della vita metafisiche il darwinismo, che ovviamente non è nato per questo, ma solamente di approfondire tutte le conoscenze che la scienza ci mette a disposizione per guardare bene negli occhi la realtà che ci circonda. Questo per un “illuminato” dovrebbe essere quasi un imperativo categorico, altrimenti si rischia solo di creare delle alternative a quelle che sono le “spiritualità dominanti” organizzate in religioni o sette e rimanere sullo stesso piano interpretativo. La scienza ha dei limiti e non può spiegare tutto, ma questo non è un buon motivo per superare i limiti attuali delle nostre conoscenze scientifiche con le favolette, gioco questo ben conosciuto dai teologi. Pertanto cerchiamo di definire sempre il campo delle nostre definizioni e dibattiti, evitando di forzare l’entrata di argomenti che mal si accostano all’argomento centrale con cui ha aperto la riflessione, vedi p.e. la relatività di Einsten, perchè il rischio è di dire e giustificare tutto ed il contario di tutto.
Dobbiamo stare molto attenti quando citiamo la parole spiritualismo o spiritualità, se poì per giustificare la loro scelta si deve ricorrere a qualche forma di impianto teologico-metafisico non sostenibile. Il credere a qualcosa di non dimostrabile può essere una semplice deriva della nostra struttura neurale e cognitiva che ha pemesso l’uomo di sopravvivere fino ad oggi (a noi ed altra specie): renderci conto di questo per alcuni è un brusco risveglio, per altri potrebbe essere un invito a guardare il mondo e tutti gli altri esseri viventi con maggiore rispetto ed amore.
Rendendomi conto che queste poche parole non possono avere esaurito un dibattito che meriterebbe lunghe sessioni di discussione, chiudo questo mio commento con la speranza di continuarlo nei prossimi tempi.
Le porgo i miei migliori saluti
Giovanni Iapichino