“Mors vita est!” – Paura della morte ed economia del “post mortem” fra religione business e conoscenza in chiave di spiritualità laica
Rende più un cadavere che un vivente, questa è la realtà che si è andata formando in millenni di ipotesi sulla morte. Certo non si spendono più cifre “faraoniche” per la costruzione di piramidi e mausolei… ma in compenso la spesa funeraria è andata “democraticamente” uniformandosi alla massa. E gli affari non si fanno solo sul cadavere ma anche sull’anima del cadavere, che viene allettata da varie religioni a compartecipare ai variegati paradisi ed inferni. Per i “credenti” ci sono le messe di suffragio, le preghiere pro defunti, le cerimonie per gli avi…. magari pure il martirio-assicurazione di salvezza. Sapete che furono i cinesi ad inventarsi la prima cartamoneta? Ma non serviva per le transizioni commerciali fra esseri viventi, no, era utilizzabile solo nel post mortem, dove c’erano apposite banche di scambio che finanziavano i piaceri dei cari estinti nei vari paradisi buddisti, taoisti, confuciani od animisti… Roba da mettersi le mani nei capelli…(se ancora resistessero nelle tombe) oppure da sganasciarsi dalle risate (dipende dalle propensioni filosofiche).Suvvia, oggi viviamo nel secolo della tecnologia e della scienza, per cui certi progetti sull’oltretomba (paradisi, inferni, limbi, purgatori, etc.) hanno meno appeal e trattandosi di un secolo “materialista” ecco quindi che molti degli affari si fanno sul cadavere… imbellettato, profumato, con esequie first class, bare e sarcofagi sontuosi, forni e fornetti, per non parlare di depositi crioenergetici in standby, ipotesi di sepoltura nello spazio, cremazioni con fiori di gelsomino, mourning e processioni a pagamento e vai col vento!
La morte è il più grosso affare della storia umana.
Dai tempi più remoti, da quando cioè ci si illuse che è possibile “ingannarsi” sulla scomparsa dell’io individuale o sulla procrastinazione della vita corporale, l’uomo ha continuato a seguire il mito della lunga vita o della vita oltre la vita. Pian piano offuscato il miraggio della immortalità fisica (ma ancora ci si prova con i trapianti, etc.) ecco che l’uomo si è adattato a credere nella continuazione dell’io in un aldilà. Le varie leggende narrano di come gli eroi della specie abbiano tentato il tutto per tutto per sopravvivere a se stessi… ed ove non bastava il medico, lo stregone od il dio miracolante, ci pensava l’imbalsamatore a preservare quel simulacro corporale buono almeno ad illudere i superstiti, i sopravvissuti in attesa di… Ogni civiltà ha avuto il suo stile nell’affrontare la morte ma la fede verso un oltretomba ha continuato e continua a consolare frotte di morienti.
Vediamo ora come mai è così importante per l’uomo voler allungare la propria vita od al meglio illudersi che non sia finita con il decesso. La paura della morte è della scomparsa di sé, la perdita dell’auto-consapevolezza riferita ad una specifica forma e nome. Chiaramente la brama esistenziale è alla base di questo processo, ciò è riscontrabile non solo nel caso di desiderio di prolungamento della vita fisica ma anche nella speranza della continuazione in altra dimensione. Paradossalmente questo è il caso anche dei suicidi che apparentemente rifiutano la vita ma sostanzialmente sperano in un prosieguo più sopportabile (non solo i kamikaze ma pure i disperati che si buttano dal ponte). In effetti nel momento in cui la morte si avvicina l’attenzione si fa più vivida e non si percepiscono gli stati di sofferenza ma si sperimenta una forte pulsione adrenalinica in cui non c’è percezione di angoscia o sgomento (questa è l’esperienza raccontata dai sopravvissuti ad incidenti, etc.). Il vero dramma della morte è invece vissuto nei momenti in cui più forte è la bramosia per la vita. Più l’esistenza ci appare desiderabile, e la paura di perderla è più forte, maggiore è l’amaro sapore della morte in bocca.
La morte a volte appare nel bacio appassionato dell’amante che ci fa temere la sua improvvisa fuga, nel sorriso di un bimbo che mette malinconia per la sua impermanenza.. o nel profumo d’un fiore, nello sguardo perso del guerriero, nella poesia estatica che ci solleva dal mondo, nel frutto che stiamo addentando… La morte in realtà è dietro ad ogni azione della nostra vita, essa non è altro che la sete di vita, mai soddisfatta, e di cui sempre angosciosamente si teme la perdita. La morte è nel nostro desiderio di prolungare il piacere o di scansare il dolore.
Eh sì, cara morte, tu sei la compagna più fedele dell’uomo!
Ma torniamo all’analisi iniziale e vediamo come è stato possibile, ed è ancora possibile, che alcuni uomini possano superare questo timore ancestrale e scansare la speculazione sulla dipartita. Questi uomini, chiamiamoli saggi, rappresentano il picco evolutivo dell’umanità, la meta che è il fiore della natura umana. Essi ci insegnano a guardare oltre le apparenze, ad osservare quel processo “automatico” che ci porta ad identificarci con quel “corpo” o quella “mente” –ed infatti anche la mente è una gabbia egoica- ed i saggi non riconoscono alcuna entità mentale o fisica separata dal tutto che possa andare o venire e sopravvivere a se stessa. Ed allora cosa resta? Il nulla il vuoto? Niente affatto… è un “pieno” perfetto che resta, che era è sarà, in quanto non condizionato dal concetto spazio-temporale. Il messaggio dei saggi è univoco ed assoluto ed è presente nella coscienza di ognuno ed è sufficiente riconoscerlo in noi stessi per scoprirne la verità e la perenne presenza. E poi, dove sono e chi sono questi “saggi” ove esiste quella unica coscienza indivisa?
A volte si usa il paragone della trasmutazione dell’acqua in ghiaccio e del ghiaccio in acqua per significare l’apparente trasformazione della stessa sostanza. L’ipotetica differenza è solo nella densità mentale dell’osservatore, basta poco calore (od “intelligenza”) per sciogliere quel ghiaccio… e riconoscerlo per quel che sempre è stato: acqua nell’acqua. Il solo problema è l’illusione mentale che spinge l’uomo a riconoscersi in ciò che non è ed a continuare ad illudersi di poter perpetuare la sua condizione di ghiaccio ed a soffrirne conseguentemente ed inutilmente.
Ma cosa sarà di questo “mondo” allorché la “conoscenza” avrà raggiunto tutte le cellule dell’organismo universale? Come faremo a divertirci nel tramandare la storia vissuta dalle genti? Niente paura, il bagaglio genetico è sufficiente memoria… inoltre esiste una branca di ricerca (e se non esistesse me la invento in questo momento) che viene definita “genetica psichica”, una catalogazione del processo mentale cristallizzato nella materia. Questa trasmissione avviene un po’ come per la memoria dell’acqua, ogni pensiero, azione, propensione, etc. resta stipato in una sorta di inconscio collettivo, od aura, in cui tutta la memoria passata presente e futura risiede e da lì viene continuamente ritrasmessa e resa viva attraverso ogni essere vivente.
Una storiella nella storia.. vi ricordate di Gargantua e Pantagruel che in visita al polo osservarono delle sfere fluttuanti? Esse erano le parole ghiacciate pronunciate da tutti gli esseri viventi ed infatti rompendone l’involucro immediatamente la parola risuonava nell’aria, per –subito dopo- rapprendersi in un nuovo guscio. Nulla va perduto nell’universo, neanche i pensieri. Perciò non occorre preoccuparsi per preservare la nostra memoria ai posteri, anche loro riceveranno qualcosa di noi e trasmetteranno qualcosa di sé. Magari cambierà la forma delle “vestigia” esaminate o tramandate, che si manifesteranno sostanzialmente in chiave psicosomatica conscia ed inconscia… ma sarà sufficiente cambiar metodo di lettura, dallo studio dei “reperti” si passerà all’esame dei “rapporti”….
Paolo D’Arpini