“Matrismo” la solidarietà al femminile di Sara Morace e Carla Lonzi e l’incontro nell’umana congiunzione dell’8 marzo 2009 al Circolo Vegetariano di Calcata
Il matrismo non è un concetto elaborato da femministe arrabbiate sul genere di Elvira Banotti: “Quanti esseri umani ci sono sulla terra? – due miliardi- un miliardo è di troppo… sono i maschi..”. Piuttosto il matrismo è un’intuizione sulla convivenza solidale che contraddistinse tutto il neolitico, infatti alcuni lo definiscono anche “comunismo delle donne”.
Tanto per cominciare occorre dire che attorno agli anni ’70 ed ‘80 del secolo scorso sorse una consapevolezza diversa sul significato di “genere” e sul rapporto fra maschio e femmina. Lo studio compiuto principalmente dall’archeologa Maria Gimbutas sui reperti del neolitico europeo dimostrò come la cultura di quel tempo fosse dominata da una forte impronta femminile. Il rispetto verso la creatività della donna era l’aspetto portante delle comunità primitive, questo aspetto sociologico fu ulteriormente considerato e compreso intuitivamente da Sara Morace e Carla Lonzi, tante per nominare alcune studiose del tema.
Il “matrismo” è stato così definito per evidenziare che non si trattava di un “matriarcato” in contrapposizione alla successiva affermazione patriarcale, bensì di un vivere naturalmente solidale in cui la funzione della donna nella società era perfettamente integrata e rispettata per le sue alte qualità di civiltà e di amore. In verità è ormai certo che nel periodo neolitico l’invenzione dell’agricoltura, della tessitura, della ceramica, etc. furono le risultanze dall’ingegno femminile.. forse solo l’arte, ovvero la raffigurazione di immagini, si può far risalire all’inventiva maschile, in quanto forma di adorazione della natura, della grande madre e dei suoi figli e frutti.
Avvenne però, in un momento alquanto incerto e sfalsato in vari luoghi e situazioni, che tale solidarietà matristica si sfilacciasse pian piano, assumendo forme di controllo sociale, vedi ad esempio le civilizzazioni mediterranee attorno al 3000 a.C., in cui sorse un vero proprio matriarcato, cioè la preponderanza femminile assunse la forma di dominio sociale e politico, con le conseguenze ben note dei sacrifici rituali maschili (l’uccisione del primogenito e l’istituzione del re di un anno) e conseguente spaccatura all’interno delle comunità che sino allora avevano vissuto in lieta armonia. Inoltre con l’accumulo dei beni e delle derrate derivato dall’introduzione dell’agricoltura irrigua, sorsero i presupposti per l’acquisizione di proprietà private (non più comunitarie) e nacque anche il “matrimonio” ed il conseguente patriarcato che oggi conosciamo. Tutto ciò avvenne in un periodo molto diluito nel tempo, che possiamo indicare fra il 5000 a.C. ai tempi moderni.
Veramente lo scopo di questo articolo non voleva essere quest’analisi storica sul processo che ha consegnato l’umanità al potere maschile bensì la descrizione di un impulso naturale a ritrovare un equilibrio fra i generi attraverso il superamento dei “ruoli” sociali basati sul genere stesso. Indubbiamente dal punto di vista della qualità intrinseca il maschio è maschio e la femmina è femmina. Non si tratta di mescolarli in funzione di ottenere un ibrido “unisex”. Si tratta solo di superare l’orgoglio e l’assunzione di primato di uno o l’altro dei due generi.
“Uomo e donna = umanità” dicevo ad un incontro sull’umana congiunzione tenuto tanti anni fa a Roma. E questo esperimento è ancora in corso, è l’approccio per il prossimo incontro dell’8 marzo 2009 che si tiene al Circolo vegetariano di Calcata.
Vi saluto affettuosamente, Paolo D’Arpini