N° 2 – Cronache , commenti, testimonianze ufficiali, memorie su come sono nati Calcata ed il Circolo vegetariano di Calcata

Continuando questa rassegna sulla memoria di Calcata e del Circolo debbo fare un inciso, riguarda il periodo di 5 anni dal 1985 al 1990. Corrisponde al periodo in cui dovendomi occupare a tempo pieno di mio figlio Felix, nato nel 1984, che mi era stato affidato stabilmente dal Tribunale dei Minori, dovetti svolgere le mansioni di madre-padre ed inoltre cercai di dedicare le mie attenzioni alla sopravvivenza agricola, occupandomi di coltivazione biologica ed allevamento di animali da cortile, oltre a trascorrere lunghi periodi in India.

Poi quando Felix cominciò ad andare a scuola ripresi a tempo pieno le attività al Circolo, ricominciando a scrivere a destra ed a manca ed occupandomi della promozione di Calcata. Perciò, volendo questa essere una memoria ufficiale, lascio da parte i miei ricordi personali e riprendo le testimonianze dal 1990.

Coltivando ceci, fave, piselli, verdura mista ed allevando galline, papere, capre, pecore ed altri animali, da questa esperienza nacque l’idea della “pensione per animali erbivori”.  E da questo articolo inizia una costante collaborazione con la coreografia giornalistica.

Mini-hotel per capre e galline.

A Calcata un ‘ostello’ per gli animali ripudiati dai villeggianti.

Calcata non è soltanto un genuino paese del viterbese immerso in un parco suburbano è anche il paradiso di montoni, capre, pecore, asini, oche, papere e di tutti gli animali erbivori in generale. Qui ovini, caprini, bovini e gallinacei possono nutrire l’umana speranza di trascorrere una placida, lunga esistenza brucando erba e beccando mais senza la paura di essere trasformati in hamburger, prosciutti, hascè e petti di pollo farciti. Ad occuparsi di loro pensa da un paio d’anni (e pare con buoni risultati) l’ associazione vegetariana naturista di Calcata, che non avendo alcun interesse culinario nei riguardi di ruminanti e bipedi piumati, ha organizzato una sorta di asilo per gli animali il cui naturale destino sarebbe quello di finire inforchettati.

“Cani e gatti hanno a disposizione alberghi, pensioni, organizzazioni amiche. A capre e simili chi pensa? Anche loro sono amici degli uomini, anche loro vengono adottati da certe famigli e poi ripudiati senza riconoscenza. Con l’aggravante che vengono pure mangiati”. Non appena i vegetariani di Calcata ricevono notizia di animali in pericolo intervengono con rapidità per salvare le vittime predestinate. In genere l’opera di soccorso riguarda oche, papere, caprette, conigli di chi abita in campagna o in ville con giardino intende sbarazzarsi nel periodo estivo prima di partire per le vacanze.

Il primo ospite del centro viterbese fu due anni fa un montone che se non avesse trovato una sistemazione adeguata sarebbe stato venduto e poi trasformato in carne da macello. Uno degli ultimi esemplari ad aver evitato una triste fine è stata una simpatica asina di Magliano per la cui salvezza l’associazione ha addirittura pagato un riscatto. “Molto più difficile -testimonia D’Arpini- è soccorrere maiali, buoi e vacche. Fosse per noi saremmo felici di sottrarre alla morte anche quelli, saremmo pronti ad accogliere un gregge intero, ma finiremmo per sembrare ridicoli agli occhi della gente. Sappiamo che in Italia noi vegetariani siamo veramente pochi e finora la nostra opera di sensibilizzazione in questo senso non ha avuto molto successo”. Presso l’ostello di Calcata i signori clienti erbivori vengono curati, nutriti gratuitamente (salvo un facoltativo contributo) ed utilizzati a scopo promozionale. “Li mostriamo alla gente -dicono quelli dell’associazione- ed insegnamo ad amarli come si amerebbe un cane od un gatto”. Non è, quella dell’erbivorofilia, la primaria occupazione dei vegetariani calcatesi i quali, oltre a diffondere i propri principi alimentari, si occupano di erboristeria e delle attività ad essa collegate.

Margherita De Bac – Il Corriere della Sera 11.08.1990

Questa notizia dell’Ostello per animali erbivori fu riportata anche da altri quotidiani come Il Messaggero (Anna Maria Caresta) e L’Unità (Fabio Luppino). Contemporaneamente avevo iniziato a riconsiderare il mio abitare il luogo e partendo da una visione bioregionale elaborai un’ipotesi di riassetto territoriale per l’alto Lazio, considerando le omogeneità cuturali e geografiche come legante. Con la proposta di una Regione che dovrebbe chiamarsi Etruria. Questo è un leit motiv ricorrente, a partire da una prima pubblicazione sul nostro Bullettin 1991, che fu poi riprodotta sotto forma di lettera al Gazzettino del Lazio dello stesso anno, questo argomento andò sempre più affinandosi divenendo oggetto di discussione culturale e politica in vari ambiti. Sino al suo apparente sotterramento di oggi. Non riproduco qui quel primo articolo “bioregionale” (scritto molto prima della fondazione della Rete Bioregionale Italiana che nacque ad Acquapendente Monte Rufeno nel 1996)  ma senz’altro vi ritornerò sopra, nel corso della rassegna.

Paolo D’Arpini

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