Proposta di carcere auto-gestito – Al Presidente del Consiglio – Al Ministro della Giustizia – Alle Commissioni Parlamentari Preposte

Il sottoscritto firmatario, in considerazione delle condizioni pessime in cui versano i detenuti e del costo altissimo sostenuto dalla comunità nel mantenimento degli attuali Istituti carcerari,  invita  gli Organi dello Stato, le Camere e  le Commissioni Parlamentari preposte a intraprendere un esperimento di riorganizzazione carceraria che sia realmente educativo e induttivo al pieno reinserimento sociale dei sottoposti al carcere. 

 

 

A tal fine il sottoscritto propone  un modello di carcere basato sulla auto-conduzione da parte dei detenuti, affiancati da volontari laici  non stipendiati e con gli stessi poteri dei carcerati e  conviventi stabilmente negli Istituti rieducativi stessi.

 

Il modello suggerito è quello di un ‘carcere-comunità’ in cui i membri volontariamente accettano di seguire questa metodologia e possono gestire la struttura e provvedere al suo mantenimento  sia economicamente che regolamentariamente, scegliendo lo svolgimento di  un lavoro autonomo od organizzato collegialmente all’interno della struttura stessa.  Un sistema carcerario cooperativo che prevede la produzione in proprio di beni, cibo, opere d’arte, oggetti e suppellettili scambiabili o commercializzabili  liberamente, sia all’interno che all’esterno,  come pure la possibilità di eseguire
prestazioni d’opera per conto terzi.  I membri lavoratori di questo carcere modello rinunciano ad ogni rimessa  in denaro (da parenti od amici) prevista dall’attuale regolamento carcerario e si impegnano quindi a vivere unicamente del proprio lavoro, gestendo inoltre anche  la mensa  ed i vari altri  servizi interni.

 

Gli addetti al controllo (le attuali guardie carcerarie) saranno  ubicati all’esterno  dell’Istituto  ed  avranno la funzione di impedire l’uscita (o l’entrata) non consentita dal perimetro carcerario  e di svolgere quegli interventi che si rendessero necessari in casi di emergenza.   Si consiglia che un siffatto carcere modello possa sorgere in zone disabitate ove sia possibile  occuparsi  di agricoltura, pastorizia o simili attività.  Si consiglia inoltre che tale esperimento si effettui inizialmente per quei condannati non recidivi,   naturalmente sensibili a questo metodo edificante, lasciando però la possibilità anche nei penitenziari  (riservati ai detenuti recidivi) di giungere all’autogestione, ove le condizioni generali lo consentano. 

 

 

Il sottoscritto  ritiene che questa proposta innovativa, oltre che portare vantaggi alla società ed alle casse dello Stato e garantire dignità umana ai detenuti,  sia portatrice di  Civiltà, Emendamento e Compassione.

 

Cordiali Saluti.

 

Paolo D’Arpini

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