Giorgio Nebbia: “Di meno è meglio!” – Socialismo secondo natura o capitalismo naturale?
Non date retta a chi vi dice che il mondo va avanti con i soldi, che
il progresso economico e sociale dipende dal possesso e dalla spesa
di denaro con il quale si può comprare tutto. Il mondo va avanti con
le, e il progresso dipende dalle, cose materiali, dalle risorse
offerte dalla natura, dagli oggetti fabbricati con i minerali, i
prodotti agricoli, forestali e zootecnici, con le fonti di energia,
con i metalli, eccetera. Sono la natura, le cose materiali ottenute
dai beni della natura con il lavoro umano, che possono soddisfare i
reali bisogni umani — bisogno di alimenti, di acqua, di salute, di
libertà, di dignità, di istruzione, eccetera.
Anche i bisogni apparentemente immateriali richiedono oggetti: non si
può leggere, comunicare, ammirare la bellezza, senza avere carta
fatta di cellulosa, un telefono fatto di plastica e rame, un posto su
cui sedersi. Così come variano i bisogni umani a seconda delle
persone, del luogo in cui vivono, delle credenze a cui ciascuna
persona è soggetta, così variano la forma e i caratteri degli oggetti
che soddisfano tali bisogni.
Una sola cosa hanno in comune gli oggetti: La loro produzione e uso,
sempre, in tutte le società, da quelle iperconsumistiche a quelle
miserabili, comporta una crescente sottrazione di risorse dalla
natura e una formazione di scorie e rifiuti gassosi, liquidi e solidi
che finiscono nell’aria, nelle acque, nel suolo, con danni alla
salute umana.
L’attuale “credo”, l’unico esistente nel mondo, del capitalismo e del
libero mercato impone l’aumento continuo della produzione e dell’uso
di beni materiali, e pertanto un continuo impoverimento e una
crescente contaminazione della natura. Anzi, sostengono i detrattori
del capitalismo, a mano a mano che si esauriscono le riserve più
vicine e accessibili di minerali e fonti energetiche, una società
capitalistica “deve” andare a prenderle nei territori di altri paesi,
eventualmente con mezzi violenti sia per la natura stessa, sia per i
popoli che vivono in tali paesi.
Fra le persone che si interrogano su quello che succederà domani, con
una popolazione mondiale in aumento, e con risorse naturali sempre
più scarse e di peggiore qualità e con crescenti pericoli e danni per
chi verrà dopo di noi, alcuni — e alcuni di coloro che scrivono su
questa rivista e che la leggono — ritengono che solo una profonda
critica o revisione — o eliminazione — del credo capitalistico
possa ritardare future catastrofi.
“Nossignore”, dicono altri, il capitalismo ha in se tante virtù e
capacità da poter consentire la produzione degli oggetti necessari
per la attuale e per la futura popolazione terrestre con minore,
anziché maggiore, usura delle riserve delle risorse necessarie per il
futuro. E’ la tesi di un gruppo di studiosi che vengono dai movimenti
proto-ecologici — da quella contestazione ecologica nata negli anni
sessanta e settanta del Novecento — e che hanno poi passato il
resto della vita a fare delle proposte concrete di capitalismo
ecocompatibile, se così vogliamo dire, “secondo natura”.
Le guide spirituali e scientifiche di questo gruppo sono l’americano
Amory Lovins e la moglie Hunter Lovins, una strana coppia con una
lunga militanza nelle associazioni di difesa dell’ambiente, autori di
libri di successo, alcuni tradotti anche in italiano (”Energia
dolce”, pubblicato a Milano da Bompiani nel 1979).I Lovins hanno
creato un centro di ricerca nel Colorado, in mezzo alle Montagne
Rocciose, in un paesino che si chiama “Snowmass” che sarebbe come
dire, in italiano, “Nevoso” (immaginate un laboratorio di ricerche
sul futuro in mezzo ai boschi, sul Cervino o sulla Maiella o sulla
Sila). Di certo i boschi e la neve devono essere stati fonte di
ispirazione perché i libri dei Lovins sono molto stimolanti e
provocatori e spiegano che è possibile, con adatte soluzioni tecnico-
scientifiche già note, diminuire drasticamente, anche di quattro
volte, i consumi di energia e di materiali nelle case, nelle
automobili, negli elettrodomestici, nelle fabbriche. Ed è possibile,
di conseguenza, diminuire la massa dei rifiuti e delle scorie che
finiscono nell’ambiente perché, se le merci sono progettate
correttamente, gran parte dei materiali delle merci usate può essere
trasformata in nuovi oggetti.
Le relative proposte sono contenute nel libro “Fattore 4″, pubblicato
dalle Edizioni Ambiente di Milano nel 1998 e in altri libri e saggi.
Il più recente contributo è rappresentato dal libro scritto dai
Lovins insieme a Paul Hawken, intitolato: “Capitalismo naturale. La
prossima rivoluzione industriale”, tradotto subito anche in italiano
e pubblicato in questo 2001 a Milano dalle stesse Edizioni Ambiente.
Non si tratta di utopie perché il libro che propone un “capitalismo
secondo natura”, è pieno di esempi concreti e sostiene che il
capitalismo, se vuole sopravvivere, deve cambiare radicalmente
materiali, fonti energetiche, processi e caratteri dei manufatti; se
accetterà questa sfida — una vera, nuova, rivoluzione industriale –
- non solo sopravviverà, ma potrà anche continuare a fare, e a fare
sempre di più, soldi, che è poi il fine del capitalismo.
La ricetta sta nella “progettazione”; si tratta di mettere al lavoro
falangi di ingegneri, chimici, biologi, col preciso compito di
riprogettare tutti gli oggetti sotto i nuovi
vincoli “ecologici”, “naturali”. I quali vincoli sono poi uno solo:
soddisfare i bisogni umani — di abitazione, di calore, di
illuminazione, di mobilità, di informazione — con “minori” consumi
di energia e di metalli, di plastica, di carta, eccetera.
Uno dei successi della nuova svolta è la “iperautomobile” progettata
dai Lovins fra le nevi del Colorado; una automobile che trasporta le
persone a velocità sostenuta con consumi di energia che possono
scendere a 50 chilometri con un litro di benzina. Sogni ? no,
rispondono i Lovins perché simili automobili sono già sulle strade e
diventeranno normali quando le grandi industrie si decideranno a
costruirle in grande serie secondo le regole di un “capitalismo
naturale”, appunto. I lettori curiosi troveranno i dettagli
nell’ultimo libro dei Lovins e nei siti Internet
<www.naturalcapitalism.org> o <www.rmi.org>
Un altro campo di lavoro di grande importanza è rappresentato
dall’edilizia: Le case e gli uffici sono progettati e fabbricati in
genere con i dettami nel caso migliore della bellezza e originalità,
nel caso peggiore del miniomo costo monetario. Ma chi pensa al
costo “in natura”, della fabbricazione e della gestione e
manutenzione degli edifici, dei ponti, delle strade ? Il libro dei
Lovins indica varie soluzioni tecniche, non strane, ma di semplice
buona progettazione, per orientare gli edifici, per aprire finestre e
porte in modo da massimizzare la luce solare che entra — e quindi
diminuire drasticamente i consumi dell’elettricità per
l’illuminazione o il condizionamento dell’aria, per diminuire i costi
del riscaldamento, per far durare più a lungo gli infissi e le
pareti ?
Un edificio, una casa, sono macchine complesse con i loro scambi di
gas e di energia e di luce con l’esterno e quindi con un costo —
non solo monetario, ma fisico, “naturale” — che può essere
diminuito anche di molte volte.
Il libro sul capitalismo “secondo natura” riporta molti altri esempi
di come è possibile “consumare di meno”, di come è
possibile “risparmiare” carta, imballaggi, evitare beni usa-e-getta
sostituendoli con beni durevoli. Le soluzioni proposte sono
realizzabili attraverso un riesame e una modificazione dei materiali
e dei cicli produttivi, un argomento che mi sta a cuore perché è
proprio quello che alcuni di noi per anni hanno studiato e insegnato
nelle Facoltà economiche italiane — devo dire con ben scarso
ascolto da parte degli economisti e meno ancora delle imprese. La
vendetta della merceologia deve proprio arrivare dalle Montagne
Rocciose ?
Il problema più interessante, anche per questa rivista, riguarda però
il rapporto fra capitalismo e nuova rivoluzione industriale. Il
capitalismo, almeno come ce lo fanno vedere qui in Occidente, impone
comportamenti e azioni — più merci, maggiore uso di energia, più
beni usa-e-getta, un crescente ricambio dei beni durevoli, oggetti
sempre più inutili — proprio contrari a quelli raccomandati da un
libro che pure ha la parola capitalismo proprio nel suo titolo..
Come farà l’imprenditore convertito al “capitalismo naturale” a
trovare i soldi per i nuovi stabilimenti, per spiegare agli
acquirenti le virtù dell’iperautomobile, dell’iperfrigorifero, del
riscaldamento domestico solare, le virtù della standardizzazione,
dell’acquistare “meno” merci? La pianificazione, progettazione e
transizione verso nuovi oggetti e macchine fabbricati “secondo
natura” presuppone un intervento statale e centrale, anzi europeo,
con soldi per i nuovi imprenditori, con corsi universitari, con
laboratori scientifici pubblici di controllo — orientati verso il
nuovo credo: “di meno è meglio”. Io chiamo questo un socialismo
secondo natura, ma se volete chiamarlo capitalismo naturale a me va
bene lo stesso, purché lo si attui.
Giorgio Nebbia
http://www.ecologiapolitica.it/liberazione/200108/articoli/recensioni.