Capranica: esperimento di ecologia sociale e profonda -
“Il ritorno a casa”
18 e 19 ottobre 2008 – Arte sul tema, Tavola rotonda, Festa in piazza.Per due giorni a Capranica possiamo meditare e discutere sull’argomento del ritorno a casa. Dov’è la nostra casa e come si fa ad essere accettati nella casa, da quanto tempo manchiamo dalla casa e siamo sicuri -soprattutto- di non essere già nella nostra vera casa?
Capranica – Incontro organizzativo del 30 agosto 2008:
per chi voglia dare una mano a portare, per almeno uno dei due giorni, il proprio “ritorno a casa”, per chi voglia solo passare un pomeriggio insieme dedicato a tutto ciò e a conoscerci, per darci idee e collaborazione, per proporre e discutere, vi aspettiamo in una “casa”, sabato 30 agosto a Capranica, nel centro storico, Via Castelvecchio 10.
Tel: 0761678477- 3389400869
Questo invito non è e non sarà prossimamente firmato da sigle, siamo solo persone e un po’ animali che annusano l’aria e l’odore della terra sulla quale camminano, insieme.
“Il Ritorno a Casa” secondo Doriana Goracci.
Ciao, torno a casa…rientro a casa…lascio casa…sono senza casa…chiudi casa …apri la casa…ci vediamo a casa mia?…tornatene a casa tua…questa è casa mia!…ho una nuova casa…la mia è una vecchia casa…Credo che almeno una di queste frasi l’abbiamo pronunciata nella vita ed è stata detta da chi ci ha messo al mondo e continuerà ad essere ripetuta dalle generazioni dopo di noi. “Vivere nel luogo in cui si vive sapendo che è la nostra casa, significa essere del luogo”, una sorta di pensiero ed agire, che ci fa camminare sicuri, disinvolti, senza differenza, tra ciò che siamo e la terra che camminiamo: bel concetto romantico e profondo ma richiede fatica ed una grande pazienza: c’è chi accoglie e chi si avvicina.
Il rumore del trasloco, non passa inosservato, ma come varchi la soglia di quelle quattro mura, sembrano svanire i problemi fuori, cominci ad abbandonarti, a cancellare le emozioni più forti, che ti hanno stordito e riprendi ad ascoltare le tue emozioni, i bisogni di chi dorme e mangia con te, condivide quelle quattro mura, sempre che tu non sia sola o solo. Ci sono ritorni da eroi e ritorni di perdenti, vinti e consumati, ritorni di anziani che hanno lavorato per una vita, lontano…ci sono i ritorni in famiglia, a casa…ci sono case che ti fanno paura e quelle che ti proteggono, fuori c’è la terra, la strada, come quella dove si posano le fondamenta del tuo abitare il mondo. Ritorni a casa dopo una vacanza, una gita, una festa, una cena, un funerale, un addio, un arrivederci.
Questo incontro è per parlare della nostra casa, come si fa ad essere accettati nella casa, da quanto tempo manchiamo dalla casa e se siamo sicuri -soprattutto- di qual’è la nostra vera casa? Per questo e per tutti gli altri motivi che potranno venire fuori, affrontandoli insieme, solo facendoli emergere, abbiamo pensato di titolare la manifestazione: “Il Ritorno a casa”
”Il tuo Cristo è ebreo.
La tua macchina è giapponese.
La tua pizza è italiana.
La tua democrazia greca.
Il tuo caffè brasiliano.
La tua vacanza turca.
I tuoi numeri arabi.
Il tuo alfabeto latino.
Solo il tuo vicino è uno straniero.”
(da un manifesto tedesco degli anni ‘ 90)
Doriana Goracci
————————————————–
“Il Ritorno a Casa” secondo Paolo D’Arpini
“Vivere nel luogo in cui si vive sapendo che è la nostra casa, significa essere del luogo” Questo è il pensiero dell’ecologia profonda e corrisponde al sentire di chi non coglie alcuna differenza fra sé ed il luogo, di chi ritiene di esser figlio della terra. E la terra non ha cantoni esterni, la terra tutta è una ed indivisibile ovunque e comunque. La terra -e vorrei specificare- “questa terra di Tuscia” è la mia casa, per me che ci abito, assieme alla comunità di chi ci ha abitato prima di me e ci abiterà dopo di me. Ma il percorso del ritorno a casa – che è fisico e romantico allo stesso tempo- richiede una fatica ed una grande pazienza. Richiede accettazione da parte di chi accoglie e da parte di chi si avvicina… “Ospite” è sia chi riceve che colui che viene ricevuto, nella società umana, dei nobili esseri umani del mondo, così si definisce l’accoglienza….. Io personalmente sono anticamente originario della Ciociaria (di Arpino appunto) e quando si è “viandanti e senza patria” occorre stare attenti a come ci si comporta… a come ci esprime… Spesso mi sono interrogato su cosa significhi essere straniero, in effetti mi son sempre sentito straniero, un ebreo errante senza essere ebreo, anche quando abitavo a Roma (città in cui son nato), ed anche quando mi trasferii in Veneto dove vissi per molti anni, ovviamente anche a Calcata dove addirittura sono due volte straniero, sia per i calcatesi originari, che mi vedono come una jattura, l’iniziatore che ha portato tutti i forestieri a Calcata, e sono forestiero pure per la nuova comunità degli “artisti e bottegai” del centro storico, perché non mi sono mai uniformato alle norme del “teatrino” calcatese… del fine settimana. E’ per questo che in uno dei miei “melodrammi” dicevo “quanti sono gli stranieri in Italia? Almeno il doppio di quelli dichiarati dall’Istat”. Forse dovrei dire che sono molti di più, giacché talvolta si può essere stranieri non solo se si è oriundi. Talvolta viene considerato estraneo, a Viterbo, uno originario di Vallerano o Ronciglione, e pure chi viene da un rione periferico come Bagnaia. Magari si è stranieri allorché non si è tifosi della stessa squadra di calcio, o se si parla con un negro per strada… o ci si veste in modo strano… Il destino crudele di noi “stranieri” lo conoscono in molti e non solo a Viterbo. Un amico straniero come me, Marco, che abita da anni a Blera, ha suggerito una soluzione raccontando la sua esperienza di lunga vita in campagna, facendosi accettare dal luogo stesso, ma forse questo gli è stato possibile perché il suo lavoro è rivolto alla terra… Diceva, Etain, un’altra straniera in terra di Tuscia: “Il fatto è che non è più nostra consuetudine cercare l’accordo con il luogo, considerandolo primario alla vita, solitamente riteniamo che sia la comunità a doverci accettare. Ma in verità il contenitore vero della nostra vita fisica e psichica è proprio il luogo, l’ambiente naturale, che ci ripara e nutre ed istruisce, se siamo pazienti e capaci di ascolto” Ritengo però che non si possa né debba evitare l’integrazione con la comunità, altrimenti c’è arroganza e separazione culturale nel voler mantenere la distanza con gli altri…. E’ pur vero che spesso non ci sentiamo accettati dal resto della comunità ma dobbiamo -come detto sopra- compiere un esperimento congiunto di avvicinamento al luogo ed ai suoi abitanti…. Così pian piano il ghiaccio si scioglie e dopo ripetute prove possiamo finalmente dire di essere tornati a casa, di aver riconosciuto e di essere stati riconosciuti. Paolo D’Arpini
11 agosto 2008 alle 21:33
Non sono solita esprimere i miei pensieri ma questa volta vorrei raccontare la mia esperienza personale, sperando che possa essere d’aiuto a qualcuno che non ha ancora trovato la sua casa.
Sono nata a Roma da genitori non romani e soprattutto mia madre mai integrata, ancora oggi che ha 76 anni.
Per riflesso anche io almeno fino ai 20 anni mi sentivo una forestiera con la voglia ed il pensiero sempre di tornare alle origini. Ma quali erano le mie origini? Forse le stesse di mia madre? Non lo credevo davvero e lo smarrimento ed il conflitto aumentava.
Per ragioni che non sto a raccontare, non voglio tediarvi, quando avevo 21 anni sono scappata di casa con mia madre, le mie sorelle ed un fratellino di 6 anni, andando comunque a vivere in una piccolissima casa a soli 600 m da dove eravamo prima.
Anche quella comunque non la sentivo la mia casa. Poi mi sono sposata ho avuto due figli, ma ancora non mi sentivo a casa mia.
Sono passati gli anni e ad un certo punto quasi per incanto ho capito dov’era la mia vera casa. Era proprio dentro di me, avevo trovato la mia pace, mi accettavo e venivo accettata ed accolta. E come una lumaca o una tartaruga continuo a portare la mia casa sulle spalle sentendomi finalmente a casa ovunque io vada.
12 agosto 2008 alle 13:51
“Ritorno a casa”
Sai Paolo, proprio stamane, riflettevo sulla “casa”, ovviamente riferendomi a casa mia! Motivo di questa riflessione: mi sono decisa a “buttare” un po’ di “carta” (vecchi quaderni, riviste, fogli sparsi..) dalla mia camera, in realtà non ne avevo molta voglia, ma essendo saltato il progetto di un bel tuffo in piscina, ho ripiegato su questa occupazione! Mentre sistemavo, ho avuto una sensazione di grande affetto verso questa casa(quella in cui vivo con i miei genitori e mio fratello) e me la sono presa “comoda” nella pulizia dei vari ambienti. In effetti era quasi “necessario” pulire e togliere tanta polvere, ma soprattutto è stato bello percepire gli spazi dove prima regnava solo caos e “indifferenza”, energizzati dalla mia attenzione; da quel sentimento di affetto di cui ti ho detto prima…….L’attenzione; credo che ogni luogo possa diventare “speciale” nel momento in cui ci accorgiamo che “esiste” e proviamo, come esseri umani, a “collegarci” ad esso. L’evoluzione sta nella continua scoperta di un linguaggio “comune” tra noi e la realtà circostante, passando attraverso il silenzio e il rispetto.
Personalmente avverto l’esigenza, dopo periodi di assenza, di ritrovarmi a “casa”, di “stare” nell’abbraccio del mio spazio e del suo “affetto”…….
Un abbraccio
Francesca