L’apnea del credere

L’apnea del credere

Da un po’ di giorni mi sto occupando di politica ed economia, sempre in chiave di ecologia profonda ovviamente, e sebbene  queste cose  corrispondono ad una mia personale esigenza di concretezza, ovvero di esprimere qualche “verità”  oggettiva,  sento ora la necessità di  approfondire  questo concetto, ovviamente lo faccio in modo discriminativo e qui di seguito esprimo  alcune sensazioni  sul significato che do alla parola “verità”. Tempo addietro scrissi una lettera sulla spiritualità laica in cui segnalavo la condizione  degli atei e dei credenti ponendoli in  una sola categoria di pensiero, quella del “credere”.  Ora vorrei specificare meglio il perché colloco questi due apparenti “opposti” sullo stesso livello. Lo faccio  evidenziando come entrambi, credenti e non credenti, abbiano bisogno di una ragione  giustificativa per la loro convinzione…. Innanzitutto una domanda. Qual’è la differenza sostanziale fra il restare assorbiti nella quiete della coscienza indifferenziata, rispondendo agli stimoli della vita con spontaneità e leggerezza,  e la reazione spasmodica basata sull’assunzione  di  concetti ideologici  che ci fanno da gabbia comportamentale?  Un uomo studia libri su libri, ascolta e tiene grandi discorsi, cerca seguaci e diventa egli stesso seguace, inizia insomma a “credere” in un sistema, in un vantaggio, egli imposta ogni sua azione nel rispetto di uno schema sul quale erige una struttura  “idealistica”,  con essa ritiene di poter “istruire” gli altri e di poter esprimere “la verità”.   Ma come è possibile che la verità sia statica, una cosa prestampata ed immobile, un rigido ideale? Essa può esser “vera” solo se è vera nel  fluire continuo della vita, assestandosi ed adeguandosi alle circostanze correnti,  essa non  sclerotizza gli eventi, non  impone  restrizioni, essa respira con tutto ciò che esiste. Basarsi su un credo (in positivo od in negativo) per raccontare la verità è  voler dare alle  parole un valore che non hanno… ed in buona sostanza come nasce la parola?Il linguaggio attraverso il quale osiamo affermare “questa è la verità” è molto lontano dalla pura coscienza. Infatti all’inizio esiste una consapevolezza astratta, una coscienza intelligente e non qualificata, da questa sorge il senso dell’io, l’ego,  il quale a sua volta da origine ai pensieri, ai concetti,  ed infine questi diventano parole e scrittura. Quindi il linguaggio è di molto successivo alla conoscenza innata. Come è possibile che attraverso la parola  si possa esprimere la verità, cos’è questo  se non cieca arroganza?  Quando noi dichiariamo  “questa è la verità” è come se dicessimo “io so’ della Roma perché è la mejio squadra” e siamo pure convinti, certo, siamo convinti  anche  quando diciamo “il cristianesimo è mejio, l’islam è mejio, l’ateismo è mejio,  il fascismo è mejio, anzi no, è mejio il comunismo..” e contrario per contrario tutto ciò in cui crediamo “è sempre mejio!”. Se usiamo adesso un po’ di discernimento, non possiamo far a meno di osservare che ognuna di queste verità appartiene  all’io, è solo ciò in cui crediamo, ma può esser definita verità una verità che è solo individuale? Una verità che può essere descritta? C’è un antico detto taoista che dice: ”il tao che può esser detto non è il Tao”.E Ramana Maharshi, un saggio dell’India, disse: “..la verità è nel  profondo silenzio  del nostro cuore…”. Purtroppo  alcune persone sbandierano la loro verità ai quattro venti,  pretendono di averla trovata in fantastiche proiezioni della psiche, nelle curiosità di varie religioni, negli inferni e paradisi, nella reincarnazione e nel materialismo ateo, perché essi amano il mistero e non la verità…. Ed in verità a che servono queste “verità” fasulle, ignorando  la vita del giorno per giorno, del qui ed ora,  se non per speculare sull’immaginario del credere?   Per sperimentare la verità di vita basta stare nella spontaneità del  respiro… senza decidere in anticipo quando inspirare e quando espirare….  Nel credere  invece ci tratteniamo  in perenne apnea….

Paolo D’Arpini

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