Genova. Non fu che un inizio….
A Genova non andò la fantasia al potere.
Chi andò a Seattle prima e poi a Napoli e poi in quel gran porto in stato d’assedio di guerra, non voleva andare al potere, lo voleva contestare. Chi rappresentò e oggi rappresenta l’Autorità del G8, complici tutti i governi e di qualunque coloritura dell’arcobaleno, non ha mai mangiato pane amore e fantasia ma si è messo alla tavola della ragione di Stato, pianificando pasti di sicurezza e repressione, a suon di cancellazione di qualunque Giustizia e Verità. In quei giorni andarono in migliaia a Genova, masse di giovani come non se ne vedevano da anni e tanti senza età e volto, contro la globalizzazione, tanto che li chiamarono noglobal. Ognuno aveva un suo buon motivo per essere in quelle piazze, per ritrovare sè stesso e l’altro. C’ero anch’io con una figlia di sedici anni, accompagnavo lei, che aveva uno sguardo già molto più ampio del mio, per istinto animale, lo stesso che mi portò là, a difendere lei e i suoi amici: ma erano, mi resi subito conto, migliaia.
Quelli che oggi hanno sedici anni, ne ho sentiti parecchi, non sanno niente di Genova ma conoscono i fatti raccontati da tutti i Media del mondo, di poco meno due mesi dopo: l’11 settembre 2001. Ci venne consigliato di praticare il cammino della non violenza, noi che di violenze ce ne intendevamo avendo porto non una guancia ma tutto il corpo, senza nessuna arma a difesa. Si parlò di pace e di guerra, ci dicemmo che eravamo milioni e la guerra la potevamo fermare: fermarono noi. Ci siamo trascinati per anni, dapprima sempre di più, poi sempre di meno, per strade e piazze d’ Italia e d’Europa , sapevamo che non era che l’inizio e la lotta doveva continuare, come potevamo scordare che “C’est n’est qu’un début, continuon le combat” di trent’anni prima? Oggi è cronaca giudiziaria, trascinamenti di carte e documenti seppelliti e poi emersi, testimonianze a faldoni, foto e registrazioni di quando i Media eravamo noi.
Siamo in pieno regime, con i soliti noti e quelli che mai avremmo pensato essere noti nella collusione, in dittatura di mafia globale, prima fra tutte quella della comunicazione. Torna il senso di colpa, magari a quelli nati nella prima metà del secolo scorso, come a Levi, che scrisse Sommersi e
Salvati, dove la storia degli oppressi era quella a cui nessuno avrebbe creduto, le cui testimonianze delle violenze subite sarebbero andate distrutte. Non abbiamo ancora mai ragionato davvero sulla “banalità del male”, sulla sua affermazione nei secoli cambiando giacche spille e regimi, sul perchè ci siamo “salvati”: non sanno in troppi che fu un’inizio Genova e per questo dobbiamo cominciare davvero a lottare, fosse pure una resistenza infinita.
Doriana Goracci
Risposta.
Cara Doriana, graze per la tua lettera accorata, la pensa come te anche la mia buona amica Etain Addey, che partecipò appunto alla manifestazione di Genova del 2001, e mi raccontò molti particolari interessanti di ciò che lì avvenne… e di come fosse necessario continuare la lotta. Io purtroppo non son fatto per questo tipo di “combat” son troppo Gandhiano nello spirito e ritengo che non si possa opporre violenza alla violenza, ma questo non significa che intendo accettare passivamente -senza denuncia alcuna- la prevaricazione ricevuta. Serve una coscienza pulita ed una onestà morale assoluta per poter ottenere risultati nella coscienza sociale, infatti una delle cose che sentii rinproverare ad Etain sui fatti di Genova (a l’envers) fu che molti dei dimostranti, che protestavano contro il consumismo, lasciavano per strada lattine e bottiglie vuote e sacchetti di patatine….
Ciao, P.D’A.